25 aprile, intervento Anpi provincia di Potenza. Di seguito la nota integrale inviata da Maria Rosaria D’Anzi, vicepresidente ANPI Provinciale Potenza.
Come ogni anno, il 25 aprile è il giorno in cui ricordiamo che la Costituzione e l’antifascismo devono essere pratica quotidiana. E ancor di più in questo momento storico in cui le guerre continuano a insanguinare il mondo e il pericolo nucleare si fa sempre più minaccioso.
In Europa e in Italia c’è una nuova ondata di nazionalismo e autoritarismo.
Sono in discussione democrazia, libertà, uguaglianza, lavoro, solidarietà, pace, cioè l’impianto stesso della repubblica democratica fondata sulla Costituzione e nata dalla Resistenza.
Esiste un preciso piano politico per riscrivere la storia da parte della destra oggi al governo; una pratica che si sta realizzando attraverso la negazione della radice antifascista della Repubblica, la sistematica manipolazione dei fatti, il discredito dell’antifascismo quale paradigma e fondamento etico della vita politica dell’Italia repubblicana. Del resto, l’utilizzo strumentale e politico della storia si è dimostrato essere già in passato, e continua a farlo ora, una precisa strategia di affermazione del potere.
La questione, però, non si limita soltanto al ripetuto e grave tentativo di alterazione del passato da parte di questo governo (ricordiamo tutti la rilettura capziosa dell’eccidio delle Fosse ardeatine e di Via Rasella); ciò che crea allarme, da un anno e mezzo a questa parte, è l’insieme delle scelte politiche orientate a comprimere, quando non a negare, i diritti fondamentali delle persone, alimentando e acuendo la crisi sociale in atto, e mancando di dare le necessarie risposte ai bisogni e alle esigenze delle cittadine e dei cittadini di questo paese.
I progetti di legge oggi in discussione, ovvero DDL Calderoli e la proposta di riforma costituzionale per l’introduzione del premierato sono orientati a stravolgere gli elementi fondanti della nostra Costituzione: ilcombinato disposto delle due riforme distruggerebbe le basi costituzionali dell’intera impalcatura delle istituzioni democratiche: la centralità del Parlamento, l’indipendenza della magistratura, la divisione e il reciproco bilanciamento dei poteri, il ruolo del Parlamento sarebbe ridotto a un compito puramente notarile rispetto alle decisioni del premier e del governo, e il Presidente della Repubblica vedrebbe depotenziato il suo ruolo.
Un ruolo che è stato invece decisivo in tante recenti occasioni: si pensi solo alla nota diffusa dal Quirinale all’indomani delle manganellate subite da studenti adolescenti a Pisa o alla lettera di apprezzamento rivolta dal presidente Mattarella ai docenti dell’Istituto scolastico di Pioltello, al centro – come ricorderete – di uno scomposto attacco ideologico da parte del Ministro dell’Istruzione e del Merito (lo stesso che, qui a Potenza e non solo, abbiamo visto impegnato in recenti e imbarazzanti passerelle elettorali), per aver agito, invece, una scelta legittima prevista dall’autonomia scolastica e dalla normativa vigente.
E mi riferisco alla scuola non solo perché è la realtà che conosco più da vicino, ma anche perché proprio la scuola è oggetto di mire ben precise, a cominciare dal cambio del nome del Dicastero (non più “Pubblica istruzione” ma “Istruzione e merito”), una precisa scelta lessicale rivelatrice dell’intento di snaturare, di tradire la funzione unificante della scuola democratica sancita dalla Costituzione, e di introdurre l’idea di scuola che, sulla base di un virtuale “merito” si fa “competizione”; diviene autoritaria e classista, in cui –testualmente – «l’umiliazione è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità».
“Repressione” e “disciplina” rappresentano la sintesi di un modello di scuola – quindi di società – che si sta realizzando in Italia con provvedimenti che di educativo non hanno nulla, e che stanno dentro a una logica securitaria e autoritaria, presentati con un linguaggio populista, intollerante e intriso di retorica.
Gli interventi sulla scuola portano alle azioni di controllo e gestione dell’informazione, meglio, con l’occupazione dei mezzi di informazione.
La vicenda che ha recentemente riguardato lo scrittore Antonio Scurati, premio Strega nel 2019, è soltanto l’ultimo tentativo in ordine di tempo di colpire la libertà di espressione e di informazione in Italia, e rientra nel più complessivo intento, già in atto, di trasformare il servizio pubblico a megafono del governo. Il tentativo di censura non è però andato a buon fine e la reazione è stata immediata: il testo di Scurati è rimbalzato praticamente ovunque, letto in molte trasmissioni e, per arginare il caso, perfino la Presidente del Consiglio è stata costretta a pubblicarlo. Si chiama ironia della storia.
Si tratta di una censura già attuata poiché l’elenco di giornalisti e scrittori messi all’indice o direttamente querelati (tra questi, Tomaso Montanari, Donatella Di Cesare, Davide Conti e Luciano Canfora, che è uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo e rinviato a giudizio) dimostra che questa destra ha un serio problema con il giornalismo libero, il dissenso e, più in generale, con il pensiero diverso e il sapere critico.
Insomma, ci muoviamo in un clima in cui le libertà costituzionali sono costantemente minacciate da una visione regressiva che mira a riportare indietro le lancette della storia; e intende farlo agendo anche contro l’autodeterminazione e la libertà di scelta delle donne (e il riferimento qui è alla norma approvata due giorni fa dai due rami del parlamento e pronta per la pubblicazione in G.U, inserita in un decreto di attuazione del PNRR e che consentirà l’ingresso nei consultori alle associazioni pro-vita; nonostante l’UE avesse bocciato questa mossa del governo poiché, come è evidente, questo emendamento nulla ha a che vedere con le finalità del PNRR, che è stato pensato per migliorare la qualità di vita delle persone e non per attaccarne le libertà.
Per concludere, esiste un problema che riguarda la capacità delle forze progressiste nel costruire oggi un programma minimo unitario per arginare le destre e realizzare una credibile idea di società e di governo.
Anche recuperando la storia delle lotte passate, questo ideale programma non potrà che partire dalla ricostruzione dal basso dell’unità dei lavoratori, dei senza lavoro e dei tanti emarginati.
Difesa dei diritti civili dunque, ma anche, o per meglio dire soprattutto, lavoro non precario, giusto salario e pensioni adeguate, in grado di incidere realmente nella qualità della vita e nel benessere sociale.
È la difficoltà di questo momento storico, confermata dall’esigua partecipazione al voto, a spronarci a riprendere le fila di una unità di intenti, anche tra le diverse forme della rappresentanza sociale, culturale e non solo, nel solco di quella grande rete di associazioni che è “la Via maestra”, la via della Costituzione (ricordiamo tutti la manifestazione nazionale a Roma dello scorso 7 ottobre, con la partecipazione di oltre 200 mila persone).
E proprio in nome dei valori della Costituzione, a cent’anni dell’uccisione di Giacomo Matteotti, a cinquant’anni dalla strage impunita di piazza della Loggia a Brescia, gli atti concreti che possiamo compiere riguardano, citando Canfora, «la capacità critica che è l’arma più importante in assoluto. Ed evitare che la storia venga dimenticata, farsi capire, spiegare, raccontare e applicare i primi undici articoli della Costituzione».
Con qualche enfasi retorica, una volta si diceva che il futuro sarebbe stato diverso. Ecco, adesso c’è mancanza di futuro, non solo per le nuove generazioni.
Allora, fare futuro, costruire un futuro diverso per cambiare davvero lo stato di cose, e far riemergere e sostenere energie oggi sfiduciate, deve essere il nostro compito e il nostro obiettivo. Questo deve il nostro impegno.
Apr 25