Basilio Gavazzeni: allegrie carnevalesche e festevolezza quaresimale. Di seguito la nota integrale.
Che febbraio! Niente neve, un paio di acquate, qualche spavalda raffica di tramontana, troppo troppo sole, il Carnevale con una penuria mai vista di mascherine e coriandoli. Di sicuro, però, non è stata scoraggiata la voglia di scorpacciate, fosse pure in ristrette agapi amicali, magari accomunati solo dalle tipiche chiacchiere, da salsicce piccanti di Grassano e spallute birre sarde. È certo, comunque, che il vero Carnevale, riconquistati i giovanissimi, è stato quello attizzato dal Festival di Sanremo. Forse, giacendo in poltrona, ci si era assopiti, ma quando la vittoria ha cominciato a librarsi sulla voce nostrana ci siamo destati, sorgendo, alla fine, tutti Fratelli di Lucania. Benedetto Amadeus, nome calamitato dall’autotrascendenza teocentrica, supplica più imperiosa che ottativa, se soppesiamo i due elementi lessicali che lo compongono: perché “Deus” soggetto al vocativo, e “ama”, forma verbale all’imperativo, insieme ingiungono a Dio di amare l’uomo, non all’uomo di amare Dio. E benedetto il giullare dal nome evocativo di maggiolate, a lui stretto da fraternità elettiva e professionale. Benedetti entrambi, nonostante le trasgressioni aspettate e messe in conto, perché in un mese predisposto a febbri, influenze e bare, hanno arrecato salutari distrazione e allegria a milioni di italiani a corto di buon umore. La festa dei fidanzati si è trovata sovrapposta al Mercoledì delle Ceneri che dischiude la Quaresima, ma non ne ha adombrato la celebrazione penitenziale: le braccia dei sacerdoti hanno mulinato a lungo deponendo pizzichi di cenere su chiome appena cesellate e profumate dai parrucchieri o su crani politi. Mica è punitiva la Quaresima. Con un colpo di reni spirituale, per la grazie longanime tesaurizzata da Gesù Cristo, il Principe delle nostre anime, eccoci pronti al cammino sapienziale. È felicità più compiuta, massima “eudaimonia”, la Quaresima, che offre anche i mezzi adatti a raccoglierne il miele. L’umile cenere ci ricorda la qualità ontologica del nostro essere plasmato di creta ma insufflato di spirito vitale dal Dio della creazione. L’incitamento a cambiar vita propone una cura di giovinezza irrinunciabile, per slontanare l’ossidazione dei peccati. La riconciliazione con Dio, perorata da San Paolo, non pretende che curviamo la schiena come servi, ma che affondiamo nell’abbraccio del Padre. E l’elemosina, la preghiera e il digiuno? La prima ci libera dal vangelo di Mammona, e a noi e ai nostri cari frutta un capitale, mentre ci convince a elargire pochi spiccioli ai bisognosi. La seconda ci invita a rientrare nella mandorla silenziosa della nostra interiorità, per ritrovare l’assoluta presenza, una e plurale, della Trinità. Il terzo ci fa aprire gli occhi sulla fame nel mondo e trovare il modo di unirci a quelli che vi provvedono, ci riguadagna i cinque sensi offuscati da smodate libagioni, ci evita perfino certe corse affannose al Pronto Soccorso. La Quaresima, tuttavia, non è un periodo liturgico al soldo dell’utilitarismo. Parteciperemo al buon combattimento di Gesù Cristo che, per la nostra felicità, rinuncia alla sua, avanzando con la Croce verso il Calvario e lasciandovisi appendere. Vili, non riusciremo a spingerci fin sotto il patibolo, per quanto smaniosi che un solo rubino del sangue che ne stilla annienti le nostre nefandezze. Il Sabato Santo, dopo la drammatica Parasceve, ci acquatteremo poco lontano dalla tomba, sbocconcellando sereni il pane quotidiano, sicuri noi, diversamente dagli Apostoli, che Lui risorgerà.