Basilio Gavazzeni: “Contro chi denigra Don Lorenzo Milani”. Di seguito la nota integrale.
Nel 2017 Papa Francesco, in pellegrinaggio a Barbiana, definì don Lorenzo Milani «un prete duro come un diamante che illumina la Chiesa». Per il Presidente della Repubblica, a Barbiana in occasione del Centenario della sua nascita, è stato «un grande italiano». La Presidente della Commissione Europea ha indicato quale motto per il vagheggiato Rinascimento dell’Europa l’I CARE scritto sull’umile lavagna della scuola di Barbiana. Migliaia di scuole in Italia e nel mondo si adornano del suo nome. Ogni anno 10 mila visitatori, in prevalenza giovani, salgono a Barbiana a venerarne la tomba. “Lettera a una professoressa” è appena stato tradotto anche in cinese. Ciò nonostante c’è ancora qualche testolina (ormai ex-teste di ferro?) che si erge a contestarne la grandezza e il magistero, detrattori saputi, ma sostanzialmente all’oscuro dei valori milaniani, succubi, a quanto pare, di un suggeritore a sua volta disinformato e presuntuoso. Allora, ecco Paolo Landi, uno fra gli allievi che meglio ha tradotto nella vita e nelle intraprese gli insegnamenti del Maestro e conserva fedelmente il suo làscito civile, scendere in campo a rispondere da par suo. Generoso com’è, mi concede in anticipo alcune precisazioni di una risposta più elaborata che sta rifinendo. Mi lascia anche la libertà di spulciarvi qua e là, a beneficio del nostro Sassilive. È a Ricolfi del Messaggero, a Galli della Loggia del Corriere della Sera e a Ferrara del Foglio che Landi risponde. Gli articoli dei tre, nei giorni del Priore di Barbiana, sarebbero divenuti oggetto di quella pomeridiana lettura del giornale cui si dedicavano i suoi alunni, per sviluppare il senso critico e acquisire «capacità di ragionare con la propria testa». Se i tre autori, poi, si fossero esposti al contraddittorio, sarebbero ridiscesi da Barbiana «con la coda tra le gambe», come accadeva a molti che osannavano l’indipendenza del loro giornale. Landi ricorda a Ricolfi che don Milani non dispensava ricette su nulla. Se incitava strenuamente a far strenuamente scuola, non sollecitava all’imitazione: «Fatela come vi suggerirà l’epoca in cui vivete. Essere fedele ad un morto è la peggiore infedeltà». Landi non consente che contro don Milani venga schierato Pasolini che, della Lettera a una professoressa, scriveva di dover dire «tutto il bene possibile, non mi è mai capitato di essere così entusiasta, d’essere obbligato a dire agli altri: leggetela! È un libro che riguarda la scuola, ma nella realtà riguarda tutta la vita». Don Milani denunciò il classismo che nella scuola dell’obbligo bocciava i figli dei poveri, faceva misure eguali fra diseguali, curava i sani e respingeva i malati. La proposta che la scuola dell’obbligo, incrementato il tempo pieno e abrogata la bocciatura, assicurasse a ogni alunno il diritto a 8 classi basiche, corrispondeva pienamente all’articolo 3 della Costituzione che afferma inclusione, non selezione. Il no alla bocciatura era riferito solo alla scuola dell’obbligo, non alle scuole superiori o all’università. Come pensare che a don Milani non stesse a cuore la preparazione più rigorosa di ingegneri, medici ecc. ecc. A Galli della Loggia, Landi replica che don Milani non poteva “detestare” l’articolo 34 della Costituzione, in cui si afferma che «i capaci e meritevoli anche se privi di mezzi hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». Semmai avrebbe osservato che tale articolo, non contando allora su nessun sostegno, in verità era meno inclusivo di quanto sembrasse. Secondo Galli della Loggia, don Milani l’avrebbe detestato «perché il popolo studiando perdeva la sua purezza e l’appartenenza alla classe». Ma allora perché nella scuola di Barbiana ci si sottoponeva a 12 ore di studio quotidiano per 365 giorni l’anno, e perdere tempo equivaleva a una bestemmia? Perché v’era tanta matematica, per esempio. E letteratura, arte, storia erano considerate materie importanti, «talmente importanti che quando saliva a Barbiana il prof. Agostino Annamati e nonostante fosse domenica con lui leggevamo Dante e Manzoni, o invitava il prof. Erseo a spiegarci una formula di fisica e matematica che lui non era in grado di spiegare»? Landi tasta il polso culturale ai tre giornalisti che chiaramente hanno sdottorato su un don Milani di loro invenzione: «Con il Priore, abbiamo studiato il motore Wankel, lei prof. Ricolfi lo conosce? Abbiamo misurato la distanza fra la terra e il sole attraverso l’ombra di un cipresso, lei prof. Galli della Loggia ne sarebbe capace? Abbiamo fotografato l’eclisse di sole con una macchina fotografica autocostruita, con un tubo di plastica. Se un giorno il prof. Ferrara salirà a Barbiana troverà le foto […]. Abbiamo simulato il sistema solare sul piazzale della chiesa, con la rotazione della terra e dei vari pianeti. Nella scuola si può osservare un planetario autocostruito. Memore senza dubbio della cultura ebraica che non conosceva la separazione fra uomini del braccio e uomini della mente, don Milani era attento alle materie tecniche e alla manualità applicata al legno e al ferro (detto sottovoce: Landi per hobby è un maestro nella lavorazione del legno). Affermare, poi, che don Milani fosse contro il latino e il greco cozza con il fatto che vi risaliva di continuo per illustrare l’etimologia e le mutazioni delle parole. Galli della Loggia sostiene che don Milani era avverso alla modernità. Landi gli replica che a Barbiana, sprovvista di luce elettrica, «le lingue straniere erano apprese ascoltando conversazioni in madrelingua su un giradischi a pile, per poi organizzare un nostro erasmus a Parigi, Londra, Francoforte […]. Per far lezione sull’arte don Lorenzo usava 120 diapositive acquistate nei vari musei europei. Per il disegno tecnico era usato un tecnigrafo e c’era anche una “Divisumma” dell’Olivetti (al mondo la prima calcolatrice elettronica automatica scrivente dotata di saldo negativo, in grado di eseguire la divisione) … Erano previste visite alla Scala di Milano, allo zoo di Roma, ai Musei di Roma, Parigi, Londra …». Modernità sconosciute alla scuola di Stato, sottolinea Landi. Che non si attarda più di tanto a contestare ancora a Galli della Loggia, la falsità che Barbiana fosse una scuola confessionale, e a Ricolfi l’affermazione che don Milani si collocasse agli antipodi dei Padri Costituenti, in particolare di Piero Calamandrei, e altre baggianate in concatenazione. Conclude: «L’ignoranza, diceva don Milani, “è una brutta bestia per i poveri”, ma lo è ancor di più per i professori». Via le chiacchiere e, soprattutto, le menzogne, ridicole allumacature sull’obelisco don Lorenzo Milani. Grazie, Paolo Landi, per l’essenziale apologia che contrapponi alle denigrazioni. Un grazie maggiore ti è dovuto perché nel Centenario in corso, sei dovunque a spiegare come il messaggio del tuo Priore possa essere attualizzato creativamente, per la rinascita della scuola di Stato precipitante e per rialzare lo spirito civico infiacchito degli Italiani.