Basilio Gavazzeni: “Dietro a Cristo nel fuoco dei giorni”. Di seguito la nota integrale.
In una lettera Fëdor Dostoevskij scriveva: «[…]Se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è al di fuori della verità, e davvero la verità si trovasse fuori di Cristo, preferirei comunque rimanere con Cristo piuttosto che con la verità». Stupisce il paradossale cristocentrismo dell’affermazione che appare anche in un dialogo dei “Demoni”, ma lascia perplessi quelli che sui banchi dei primi latinucci hanno mandato a memoria il detto «Amicus Plato, sed magis amica veritas» (Mi è amico Platone ma mi è più amica la verità). Don Luigi Giussani, che era un teologo di rango oltre che un carismatico trascinatore di giovani studenti, pare dichiarasse che nell’alternativa avrebbe scelto la verità. È probabile che Dostoevskij, esternando tanta sbrecciata ammirazione per Cristo che sembra assurda, intendesse riconoscere in Lui l’ultraverità. Ineccepibile, invece, dal punto di vista filosofico e teologico, il poeta Evgenij Aleksandrovič Evtušenko quando, in un poscritto, interpretò la sua professione di fede «Io credo in Dio» con «Io credo nella verità». Lo sottolineò, in un saggio, Joseph Ratzinger, prima teologo poi papa, per il quale Gesù Cristo fu “aleteia”, la verità di Dio, il Magistero assoluto che con mite fermezza contrappose al secolarismo e al relativismo dei contemporanei. Per anni mi sono rattristato perché, perfino in raduni ecclesiali, Cristo non era il “faro” nemmeno secondo la visione di Charles Baudelaire. Udivo mettere a tema quisquilie teologiche e vedevo bravi preti accendersi in vane discussioni. Mai che divampasse da qualche crepa dei discorsi inconcludenti una fiammata di amore appassionato per Cristo. In seminario, mia consolazione segreta, sicuro lenimento, era affidarmi alla direzione e alle effusioni dell’anonimo autore dell’”Imitazione di Cristo”, per quanto Pier Paolo Pasolini da par suo ne squalificasse l’afflato devoto. Durante il Liceo superai una crisi di fede grazie alla lettura dei libri dedicati a Cristo da Jean Guitton, il filosofo che Paolo VI invitò al Concilio. Finalmente mi sorgeva davanti il Cristo storico la cui conoscenza non ho più smesso di accrescere. Che ne sarebbe della fede senza la storia? Non mi fu difficile poi accondiscendere con slancio alla cristologia di un teologo romano in fioritura approdato provvidenzialmente alla Pontificia Università Lateranense allora tanto depressa. Senza dubbio è possibile amare il Cristo del Vangelo “sine glossa”, senza commenti di sorta, come professava san Francesco d’Assisi. Ho incontrato fedeli di tal fatta davanti alle quali era giocoforza deporre ogni spocchia intellettualistica e inchinarsi reverenti. Vi sono, tuttavia, persone bigotte che ambiscono salire ai vertici delle mistica aggrappate a Giovanni della Croce e a Teresa d’Avila, ma che di Gesù Cristo non gliene cale più di tanto, prendendo per cielo la loro testolina. Siamo consapevoli, sì o no, anche solo culturalmente in senso libresco, che Cristo è il personaggio della storia più studiato al mondo e che la sua bibliografia è di gran lunga superiore a quella di chiunque altro e in continua crescita? Se l’omiletica nelle chiese, nonostante i foglietti e i tablet in soccorso sugli amboni, soggiace alla noia, non è forse perché Cristo ne è solo un pretesto per divagazioni e moralismi, e perché non è percossa nell’intimo dalla parola e dalla presenza agonica di Cristo? Da non dimenticare, certo, la poesia di Baudelaire che mette in scena un predicatore sacrilego che, finita la sua performance oratoria, si volge al Crocifisso del pulpito che sta per lasciare e gli sussurra: «Eh, quanto ti ho innalzato, Cristo!» Ricordare un instancabile apostolo delle popolazioni brètoni fra il Seicento e il Settecento, tal Luigi Maria Grignion da Montfort, santo inserito nel calendario liturgico. Che predicatore! In una missione, sul pulpito non disse parola: inondò di lacrime il Crocifisso e la sua compunzione travolse nel pianto tutti gli astanti. Anni fa, a un professorino di cristologia che annaspava fra i testi dedicati a Cristo, consigliai di far lezione soltanto con i tre volumi di Joseph Ratzinger, ultimati e pubblicati quando divenne Benedetto VI e raccolti nel primo tomo del VI volume dell’Opera omnia: “Gesù di Nazaret. La figura e il messaggio”. Qualcuno li considera la sua quarta enciclica. Uomini affamati da una fame che ignora di che cosa ha fame, cerchiamo Gesù! «Sequamur eum» (S.Agostino).