Basilio Gavazzeni (Fondazione Lucana Antiusura): “Tra Natale e Capodanno”. Di seguito la nota integrale.
La solitudine e il silenzio intorno conciliano meditazione bramate da mesi. Due drammatici casi di indebitati (uno risolto in tre giorni, l’altro cui la Fondazione Lucana Antiusura non è stata in grado di porre rimedio) mi hanno impedito di rifinire l’articolo che intendevo proporre per la Festa. Penso agli editoriali natalizi che anni fa il settimanale” Città domani” , diretto da Patrizio Sicolo, affidava solo a me. Indimenticabile il primo, a lato di una Natività contadina realizzata a carboncino da Luigi Guerricchio, una prima pagina che nelle edicole sfondò: qualcuno ne fece un quadro. Nell’articolo che avevo quasi pronto per Sassilive, mi chiedevo se durante l’Avvento non avessimo sonnecchiato, presi dal “black friday” dilatato che, mirando alle nostre tasche, cerca di sostituirsi al tempo liturgico nell’attesa di Colui che « può fare nuove tutte le cose» ( Ap 21,5). Forse, ipotizzavo, in tal modo abbiamo voluto smemorarci, levare lo sguardo dallo spettacolo insopportabile ‒ due guerre, crisi del clima, immigrazioni con morti per acqua, violenza e femminicidi ‒ cui i giorni ci costringono. Sostenevo che, non avessimo raggiunto l’alta specola dell’Avvento, per vedere più lontano e ritornare al nostro dovere con maggiore responsabilità, il Natale avrebbe offerto un assoluto recupero. Perché il presepe di Betlemme è l’eu–topia dove è possibile attingere il senso della vita personale e collettiva. Natale è Lui, Gesù Cristo e il suo Regno, contrastato ma, per tutti gli uomini, un « acquisto per sempre», intangibile e glorioso nell’eternità e , nello stesso tempo, « agonico sino alla fine del mondo», come dice Pascal, con gli uomini che ama, per la giustizia e la pace sulla terra. Senza Cristo qui e ora è evidente che non c’è salvezza. Non è possibile « una soteriologia senza cristologia » per esprimerci con la formula applicata da Italo Mancini allo scacco del marxismo. Ora davanti al funesto paradigma tecnocratico il papa, nell’Esortazione apostolica “ Laudate Deum”, non si è trattenuto dal dichiarare che « un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio è il peggiore nemico per se stesso» (n.74). L’incontrollabile deriva mondiale conferma. Noi credenti insieme a ogni uomo di buona volontà riconosciamo che con gemiti inesprimibili « lo Spirito Santo sopra il curvo / mondo cova con caldo petto, e ali, oh, come splendenti! » per dirla con Gerard Manley Hopkins . E concludevo osando buon Natale.
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Oggi, 27 dicembre, la Chiesa festeggia san Giovanni, « il discepolo che Gesù amava ». È il caso di lasciarmi trasportare da quest’aquila di Dio per il cielo in cui le fu dato di librarsi. Il pescatore, figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo dove avrà trovato il genio per scrivere il quarto Vangelo e l’Apocalisse? Contò forse su un “ghost writer” ? Agli specialisti l’ardua sentenza. Leggo le pagine dell’Apocalisse in cui “ il Demoniaco” (Ap 12,9 b) e il suo sistema si contrappongono a Cristo e al suo sistema, e della « grande tribolazione» e di coloro che rendono « bianche le loro vesti nel sangue dell’Agnello». Contemplo la vittoriosa esaltazione della Gerusalemme nuova, del « paradiso di Dio » ( Ap 2,7b), contro il quale nulla potrà nessuna Babilonia. Stamane nella messa ho proclamato il racconto del quarto Vangelo in cui Pietro e Giovanni, allertati da Maria di Magdala, si precipitano al sepolcro di Cristo da cui è scomparso il corpo. Giovanni, giuntovi veloce, vi getta uno sguardo dalla soglia, non vi entra prima che l’altro, arrivato dopo di lui, non vi entri e appuri con autorevolezza l’accaduto. Poi, eccolo anche lui davanti alle bende afflosciate e al sudario del capo come riavvolto su di sé: « e vide e credette » ( Gv 20,8). È una felicità per l’omileta illustrare la fulminea intuizione che Cristo è risorto. Mi soffermo pure sull’episodio dell’adultera ( cfr Gv 7,53-8,11). Il Cristo, prima di erigersi a folgorare gli accusatori con una battuta divenuta proverbiale, chinato « faceva segni col dito » per terra. Scriveva? Non c’è prova che Cristo sapesse scrivere. E d’altronde come poteva scrivere nella polvere una sentenza di Mosè o catalogare i peccati degli accusatori o vergare il testo di Ger 17,13, ipotesi sostenuta da Ambrogio e Agostino? Più acuta e verosimile l’opinione di Franςois Mauriac : chino a terra con le dita nella polvere, il Maestro evitava di guardare la colpevole, perché vi sono momenti nella vita in cui ognuno desidera non essere guardato.
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Può sembrare strano che la Chiesa, il 26 dicembre, il giorno dopo Natale, celebri santo Stefano, primo martire. Non ne è turbata l’atmosfera di luce e di gioia diffusa dalla Liturgia fedele ai Vangeli di Luca e Giovanni, il « Gloria a Dio nei più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama » ( Lc 2,14)? In realtà Natale celebra soprattutto il Bambino in cui rifulge l’unione della natura divina con la natura umana, Dio che si fa uomo « per noi uomini e per la nostra salvezza », come recitiamo nel Credo , « pienezza di grazia e di verità » da cui « tutti abbiamo avuto ricevuto grazia su grazia » (Gv 1,14-16). In verità Luca riferisce anche che Giuseppe e Maria non hanno trovato ospitalità nell’albergo e che il neonato viene deposto in una mangiatoia. E Giovanni, da par suo, nel celebre Prologo, registrando che il Verbo si è fatto carne circoscrive la condizione in cui il Figlio di Dio si è inabissato, appunto la “sàrx” ( carne) che è il tempo lo spazio e tutte le limitazioni degli uomini (Gv 1.14). Ma sarà Paolo a esplicitare lo “svuotamento”, la “kenōsis” del Verbo che, « essendo nella forma di Dio, ha preso la forma del servo […] fino alla morte e alla morte di croce» ( cfr Fil 2,6-8) . Allora innalziamo il fulgore e la letizia del Natale, ma non dimentichiamo che la vicenda di Cristo volge alla croce. Senza oscurare il tripudio del Natale, la festa di santo Stefano, primo martire, ci ricorda che la Gloria è inscindibilmente legata alla Croce.
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Il 28 dicembre è festa dei santi Innocenti, martiri. La Liturgia dispone un’orazione stupenda: « Signore nostro Dio, che oggi nei santi Innocenti sei stato glorificato non a parole, ma col sangue, concedi anche a noi di esprimere nella vita la fede che professiamo con le labbra ». L’inno della Liturgia delle Ore chiede : « Quo proficit tantum nefas? / Quid crimen Herodem iuvat? »: A cosa giova una strage tanto grande? In cosa giova a Erode? Pensiamo agli Erodi e ai loro scherani che infestano la terra.
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Capodanno. Discorso tutto d’oro del Presidente della Repubblica: la democrazia è esercizio di libertà. Leggo in diagonale « Per una Costituzione della Terra. L’umanità al bivio» di Luigi Ferrajoli, professore emerito di Filosofia del diritto. Mi preparo così a parlare domani in chiesa dell’”algor-etica” per la pace proposta da papa Francesco. Quando fuori cessano finalmente i botti e il crepitio dei fuochi di artificio augurali e apotropaici, si può andare a dormire. Buongiorno 2024, il Signore ti coroni con i suoi benefici (cfr Sal 64).