Basilio Gavazzeni: Kyrie Eleison sul caso di stupro a Palermo. Di seguito la nota integrale.
Dall’Arena di Verona è debordata in tivù la cantata proterva della Carmencita di Georges Bizet: «L’amour est enfant de Bohême,/ Il n’a jamais connu de loi;/ Si tu ne m’aimes pas, je t’aime:/ Mais si je t’aime, prends garde à toi.» Poche sere dopo, su altro canale, erompeva prima vittoriosa, poi martire fino al rogo, Giovanna d’Arco, produzione di qualche tempo fa, tuttavia l’ultima del cinema che fin dall’origine ha annesso al proprio immaginario l’eroina astata dello stendardo gigliato. Discorro della prima e dell’altra con un amico in rientro da una lunga vacanza presso la marina di Sibari. Lui, attratto dal personaggio della diciassettenne che liberò la Francia, ha scansato con mano decisa la padellata di opinionisti televisivi contrapposti ad arte sullo stupro di Palermo. Spiego all’amico che la diciassettenne eroina di Francia non aveva in odio gli Inglesi, semplicemente annunciava essere volontà del «buon Dio» che tornassero «a casa loro» (sic!). Il suo processo è fra i più celebri della storia con quelli di Socrate, Cristo, Galilei, Dreyfus, Sacco e Vanzetti. Pochi sanno che il suo scudiero Gilles de Rais divenne poi uno stupratore seriale di fanciulli il cui caso atterrisce ancora gli studiosi del crimine. Il mio amico è nell’età in cui, se i neuroni sono intatti, si è in grado di spandere con larghezza quel che si è tesaurizzato sul proprio fienile intellettuale. La sorprendente precisazione circa la biografia di Gilles de Rais ci costringe a riflettere sulla vicenda degli stupratori palermitani. Da quali oscuri anfratti sono balzate fuori quelle bestie? Non è tipo che lesini crudezze, il mio amico. Non sono dei Rimbaud che praticano lo sregolamento dei sensi per attingere la veggenza poetica. Non sono mercenari cui è concesso barbaricamente di arrotondare il soldo col diritto a spadroneggiare sul corpo di una donna in fiore. Non sono pastori di altri tempi in foia a causa dell’astinenza coatta come nella Fontana della Vergine di Bergman. Sono figli nostri, accarezzati a oltranza, quelli che hanno disfatto il corpo e l’anima di una coetanea, anche lei figlia nostra, dopo averla predisposta alla condizione sacrificale. Nessuno dell’ambiente dove è stato preparato il delitto ha trattenuto al riparo l’una e respinto i secondi, magari ricorrendo a una violenza che Gandhi avrebbe approvato. Nessuno si è preso la briga di fare una telefonata alle Forze dell’Ordine. L’amico, svariando, cita come Giorgio Bocca trent’anni fa ben antivide la deriva quando scrisse una pagina feroce sull’educazione impartita alle bambine dalle nostre madri meridionali. Non mette conto enumerare i naufragi educativi degli ultimi decenni. L’amico irride all’educazione sessuale che si è inabissata davanti ai trionfi della pornografia. Si chiede in che cosa consista l’educazione ai sentimenti che adesso si sciorina. Ah, il meschino cielo delle buone intenzioni! E i ragazzi che dovrebbero salire in cattedra? «Te lo figuri – mi chiede – lo scapestrato Alcibiade con l’incarico di istruire il maieutico Socrate su come potargli le brame?» Conclude che sua madre affermava di preferire un figlio morto a un figlio canaglia. «A chi lo dici» potrei replicare, ma un’intrattenibile associazione di idee mi evoca santa Monica che, fattasi ruscello di lacrime e preghiere, rigenerò il figlio tralignante partorendolo sant’Agostino. La Chiesa li ha celebrati insieme proprio alla fine di agosto. Altre associazioni mentali spingono nella conversazione le figure di Agata, Lucia, Agnese, Cecilia, di Chiara, della stessa Pulzella d’Orléans e di Teresa di Lisieux e di Maria Goretti e, al vertice, della quindicenne di Nazaret che, grazie allo Spirito Santo, verificò il grembo tumescente per la discesa del Verbo. Chi sa quali miracoli d’incanto femminile riguadagnati dall’Agnello s’incantano con lei e le altre nella Gerusalemme celeste! La memoria scolastica poi ci riporta Nausìcaa, Antigone, Beatrice, Ofelia, Margherita, Violaine ecc. ecc. Digradando nella poesia del Novecento italiano, ecco almeno la montaliana Esterina, («i vent’anni ti minacciano») scevra da timori davanti al «domani oscuro». Per lei il poeta ode rintoccare «un presagio nell’elisie sfere». Scongiura: «Un suono non ti renda/qual d’incrinata brocca/percossa; io prego sia/per te concerto ineffabile/di sonagliere.» Ci rattrista, invece, Vincenzo Cardarelli che, pur contemplando un’adolescente perfetta nell’aura di «un’ombra sacra», «bocca di sorgiva» «perla rara», dispera: «Come fiamma si perde nella luce,/al tocco della realtà/i misteri che tu prometti/si disciolgono in nulla.» In nulla? Il mio strenuo compagno si congeda scuotendo il capo. Ambedue, col senso di colpa che accomuna i poveri boomer della nostra generazione, ci siamo palleggiati anche le ipotesi di salvezza possibile ai soperchiatori e all’abusata. Le grida e le accensioni dell’opinione pubblica lasceranno il posto a sussurri, a indifferenza e, infine, al silenzio. Carceri e psicoterapie non saranno risolutive. Non a ogni cosa può rimediare l’uomo! Dio solo potrà liquefare le menti insane e i cuori pietrosi dei prevaricatori, soprattutto rinverginare con la speranza la sventurata. Dio non consenta che si strascinino nella polvere dei giorni futuri trovando il riscatto solo dopo il grande buio. Mutati dalla giustizia e dal dolore, venga loro concessa dall’alto una nuova forma di esistenza. Siamo buoni sotto il cielo! Kyrie eleison.