Basilio Gavazzeni: Misericordia e speranza per gli indebitati e gli usureggiati. Di seguito la nota integrale.
Fra i poveri, gli indebitati i sovraindebitati e le vittime d’usura non sono un grido altisonante. Non soltanto metaforicamente, ma anche foneticamente. Le loro implorazioni esalano soffocate, perché le distrette che li soverchiano tolgono loro il respiro. L’usura, in particolare, che addirittura strozza ed è un vero tentativo di decreazione, visto che Dio creò i viventi, insufflando loro la rûaḩ, il suo spirito vitale. Su questo dato biblico la teologia morale dovrebbe fondare quella riflessione sull’usura che invano aspettiamo da decenni.
Agli sgoccioli del Novecento, nel cuore di Napoli, al gesuita Massimo Rastrelli fu data la grazia di ficcar lo viso, per dirla con Dante (Par. XXXIII 83), nell’oscura alienazione. Lui la smascherò, e provvide la migliore metodologia per prevenirla e soccorrerne le vittime reali e potenziali. Così divenne il profeta antiusura, attorniato da alcuni presbìteri insorti come lui contro il mostro ingrottato nell’ombra, e oggi è considerato il maestro di quanti, alla testa di 35 Fondazioni antiusura, sono compaginati dalla Consulta Nazionale Antiusura San Giovanni Paolo II. Esemplare uomo di Dio, Massimo Rastrelli non poteva non corrispondere alla sua misericordia. Faceva raggricciare la pelle ai primi discepoli quando, lacerante, la sua voce s’impennava denunciando una delle conseguenze più intollerabili del ricorso all’usura nei bassi napoletani: Manca il latte ai bambiniii!
San Paolo definisce Dio ricco di misericordia (Ef 2,4). Gesù è artigliato nei visceri dalla misericordia: si leggano gli episodi cui si riferiscono Lc 7,13; Mc 6,34; Mc 8,3; Mt 30,34; Mc 1,41. Splanchnízomai è il verbo greco legato ai visceri che ne definisce lo scuotimento emotivo davanti a situazioni pietose, un verbo che rimanda al sostantivo veterotestamentario raḩamîm legato al ventre materno e riferito a Dio. Amici, la quinta beatitudine del Discorso della montagna recita: Beati i misericordiosi perché a loro sarà usata misericordia (Mt 5,7). Ricordiamo le cristianissime parole con le quali Lucia Mondella, nel capitolo XXI dei Promessi Sposi, sgretola il cuore di tenebra dell’Innominato: Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia! Poiché anche a noi donne e uomini antiusura è elargita la misericordia divina, è un privilegio raccogliere l’invito di Gesù: Siate misericordiosi come Dio, vostro Padre, è misericordioso (Lc 6,36) quando sovveniamo gli infelici che approdano alle nostre sedi.
Si osservi che l’incontro fraterno con la persona esclusa dal credito legale, a rischio d’usura o strangolata, è già un’immediata consolazione per lei, sia possibile o no aiutarla con le risorse economiche messeci a disposizione dallo Stato o con quelle da noi stessi raggranellate. Nessun bias personale e nessuna discriminazione soggettiva devono ritardare la puntuale applicazione al servizio che, secondo il principio di sussidiarietà, lo Stato si attende da noi, in ottemperanza ai criteri di merito che ha prefissato al discernimento dei casi. Amici, non ci sia ragione a disturbare l’attenzione del nostro ascolto e la prontezza del nostro intervento quando è dovuto, tenuto conto che, ahinoi! già osta fin troppo la lentocrazia delle Banche, ma ognuno si faccia scrupolo di prolungare un minuto più del necessario l’afflizione di un richiedente meritevole. La procrastinazione si oppone alla misericordia e, alla fine, alla stessa legalità.
Senza dubbio vi sono richiedenti e richiedenti. La malheur nel senso inteso da Simone Weil, la sventura sventura, pura, non è l’unica causa dei debiti. Non ne è neppure la maggiore. Non è da sottovalutare l’idolatria di Mammona come la chiama Gesù (cfr Mt 6,24) apparentata a quella degli usurai che aizza molti a un avventurismo economico disastroso, ignorando le avverse contingenze che ci travagliano. Altri, già in condizioni precarie, affonda nei debiti perché inceppato dalla disunità della famiglia che, se fosse concertata, sia pure con mediocri entrate potrebbe reggere un progetto di riscatto. La casa dell’uomo contemporaneo è poi sempre più squassata dall’azzardo. I numeri dei suoi adepti innalzano statistiche indomabili. A comprendere l’immane esondazione non bastano le categorie della psicologia e della sociologia. Anni fa, in un simposio filosofico internazionale, il teologo Joseph Ratzinger, interrogato sulla massiva diffusione della tossicodipendenza dalla moglie di Ernst Bloch, il filosofo del Principio Speranza (1954), controdomandò perché, in stagioni storiche non meno provate delle nostre, il ricorso alle droghe, che pure erano conosciute, non fosse mai divenuto una pratica di massa, ma fosse rimasto l’appannaggio di pochi individui o gruppi deviati. Anche dell’azzardopatia le scienze sociali non bastano a spiegarcene il perché. Non dovrebbero pronunciarsi i filosofi e i teologi per fornircene un’ermeneutica più esaustiva? A noi compete il dovere di denunciare allo Stato che l’azzardo è ormai la prima causa dell’usura, ma non dimentichiamo che la rovinosa dipendenza, come la stessa usura, affonda le radici nel malessere delle anime.
Le Fondazioni Antiusura sono fiere dei risultati mietuti nella prevenzione antiusura. Lo Stato ne riconosce il contributo al risanamento di vaste porzioni della realtà sociale che gli risulterebbero impossibili da dissodare, se non schierando una turba di costosi dipendenti. Per questo le rifinanzia da trent’anni. Le Fondazioni non nascondono le escussioni patite dai loro patrimoni sia di assegnazione statale sia propri. Purtroppo, fra i beneficiari dei prestiti da loro garantiti presso Banche convenzionate, ve ne sono di quelli che ricadono nei gorghi dei debiti, lapsi per diversi e comprensibili motivi. Indigna, invece, una minoranza di beneficiari di cui non abbiamo percepito la profonda slealtà all’apertura delle pratiche. Meriterebbero il peggiore trattamento usurario. Non sono sfiorati dalla vergogna sociale. Nella mobilissima diaspora delle esistenze hanno appreso l’arte di rendersi irreperibili. È il caso di lamentare che beneficiari liberati e riconsegnati a un autonomo e sereno rapporto con il credito legale di rado ritornino a dire un grazie? Prendiamone atto, come lo stesso Gesù quando vede ritornare a ringraziarlo uno solo dei dieci che ha guarito dalla lebbra (cfr Lc 17, 11-19). Ciò non ne fiacca il genio misericordioso, l’assoluta scelta della pro-esistenza. Anche la misericordia della Fondazioni Antiusura non si lascia fuorviare dalle negatività, non si arresta davanti alle contraddizioni dei beneficiari. Nella decisione samaritana a favore di persone e famiglie vessate dal Mammona di iniquità, le Fondazioni guardano oltre i tradimenti e l’irriconoscenza. Sono grate a Dio e allo Stato per i traguardi raggiunti da non pochi che con loro sono riusciti nel prodigio di recuperare la libertà e la dignità creditizie.
In questa valle di lacrime striata dal sangue, in questo mondo dove il grano collutta con la zizzania, tale è la storia in cui siamo chiamati a operare. Chi è sovrastato dai debiti e sotto usura o a rischio forse si dice e si chiede come il prototipo degli umani sofferenti: Dov’è la mia speranza? Qualcuno ha visto il mio benessere? (Gb 17,15). A noi rispondere a questi amari interrogativi e scoprire, perfino nelle incongruenze più aggrovigliate dei richiedenti, una spinta onesta, un germe che col nostro sostegno costituisca il principio di un nuovo modo di vivere. È davvero possibile? Si può sperare di poter sperare, secondo un’espressione appena coniata dal Presidente della Repubblica? Sì, anche nelle situazioni più disperate, a condizione che vi siano un preliminare umano: la responsabilità, e un preliminare divino: la grazia. Dietrich Bonhoeffer scriveva che nella società e nella vita personale esistono la dimensione dell’ordine e la dimensione del miracolo. La prima è l’acqua delle nostre fonti, la seconda è il vino del Vangelo. Se ce ne dimenticassimo, cari amici delle Fondazioni, saremmo infedeli alla profezia di padre Massimo Rastrelli e disutili al soccorso, riducendoci a poveri pelagiani frustrati perché ìmpari a battaglie immensamente superiori alle nostre forze.