Basilio Gavazzeni: “No alla disperazione, conforto da carogne”. Di seguito la nota integrale.
La Speranza si addice proprio a chi dispera, sennò che Speranza sarebbe. Mai dimenticare quel che ne scrisse Charles Péguy di questa sorellina tra la Fede e la Carità teologali. Ma le disperazioni dei nostri giorni sono ineguagliabili, la Storia non ne ha mai scatenate di così ultimative, andiamo ripetendo. Noi non ci saremo, per fortuna, si consolano alcuni. Il mondo è tutto una polveriera, ripetono altri, non soppesando quanto sia ottocentesca e perfino consolatoria l’immagine a paragone delle testate nucleari che costellano il globo. Due guerre di cui non si profilano né l’esito né la fine. La prima che sta riducendo una nazione florida in un deserto di macerie e la sua terra fra le più feraci del mondo a una immensa linea di contenimento che fa tremare l’Europa. La seconda, in cui un popolo, dopo aver patito un’insidia atroce, spera di snidare e sterminare il brulicante serpaio sotterra che non si asterrebbe mai dall’offesa, ma che, ciò perseguendo con metodo, stria fatalmente la superficie di sangue incolpevole e disperde un popolo che ha pure diritto a una sede. E da mille fili collegati alle due maggiori e ad alcuni dei loro pertinaci conduttori, un moltiplicarsi di conflitti in gran parte ignorati. Popolazioni travagliate e uomini in fuga per le vie più accessibili ma pericolose dai loro territori impraticabili. La strettoia di Suez impedita con gravi danni inferti alla già precaria economia europea che ne fruisce come scorciatoia della sua navigazione commerciale, andata e ritorno, verso e da oriente. E la Cina che sta a guardare o a guatare? mentre persegue la sua egemonia. E gli Stati Uniti, senza i quali l’Occidente sarebbe perduto, che sono prossimi a un tornante elettorale travagliatissimo. E l’Unione Europea che sembra senz’anima, dove non trovano spazio creatività e novità, la pratica del compromesso e della concertazione che un Jacques Delors aveva testimoniato e inculcato, alla luce dei princìpi tutti cristiani della sussidiarietà e della solidarietà. E infine l’Italia, fra esaltazioni sportive, turistiche, canore e gastronomiche e docce scozzesi economiche, rialzo generale dei prezzi, ricchi che gavazzano e poveri in crescita, violenze mai viste di adolescenti e femminicidi, incidenti sul lavoro e sanità calante, sotto una politica “lunga promessa con l’attender corto”, per dirla con Dante. Come non sentirsi fragili? Siamo fragili, ma non vogliamo cedere alla distrazione. Vogliamo vivere, ma non possiamo sottrarci alla notte del mondo. Ma è tutto nell’abisso della notte? Lo scrittore Antonio Spadaro mi permetta di mutuare le voci di tre poeti convocati in un capitolo del libro tutt’altro che impolitico che ha appena pubblicato (“La pagina che illumina. Scrittura creativa come esercizio spirituale”, Edizioni Ares, 2024). Nonostante tutto, Walt Whitman nel «Canto di me stesso» scriveva: «Il semplice fatto di esistere – che vi è di meglio?». E Gerard Manley Hopkins in un “sonetto terribile” dal titolo «Carrion Comfort»: «No, non farò banchetto di te, disperazione, conforto da carogne; /non slegherò i già lenti ultimi nodi d’uomo/in me, né stremato griderò: non posso più. Io posso;/posso qualcosa, spero, desidero che il giorno venga, non scelgo il non essere». Noi siamo della specie che, con Bartolo Cattafi, spera che «ribalti la pietra pasquale/il lato tombale delle cose». Una preghiera per Alexei Navalny la cui vicenda è chiaramente cristica. Come Cristo, quando giunse quella che chiamava la sua Ora, passò dalla sicura Galilea alla Giudea, salendo a Gerusalemme incontro alla morte per noi tutti, anche Navalny aveva lasciato alle spalle il libero Occidente per rientrare nella Russia di Putin, sapendo di andare a morire per il suo grande popolo tiranneggiato. Diversamente uomini di Speranza, a smuovere risurrezione, Gesù di Nazaret e Alexei Navalny. E noi ci tiriamo indietro?