Passerà il disagio. L’acqua tornerà a scorrere dai nostri rubinetti. Si riempiranno di nuovo le dighe. Si farà anche la conta dei danni e forse qualche responsabilità la si individuerà pure.
Ma quando quei giorni arriveranno non lasciamoci deviare.
Dovremo dirci finalmente con chiarezza che spesso le emergenze sono gli alibi che nascondono una politica che “non pensa con una visione ampia”, come scrive Papa Francesco.
Dovremo ricordare a chi di competenza che una terra che costringe i propri giovani a fuggire, in realtà già da tempo ha chiuso i rubinetti del futuro e ha prosciugato le dighe della speranza.
Dovremo gridare ad alta voce che è da lungo tempo ormai che si sta svendendo la Basilicata perché, come mi disse un eminente personaggio politico esattamente trent’anni fa, “non si può pensare di sacrificare gli interessi del Paese per lo sparuto numero di persone che vivono da queste parti”.
Dovremo denunciare che in questi ultimi decenni a sacrificare i beni comuni di questa nostra terra sull’altare del mercato privato e del profitto ad ogni costo sono state politiche scellerate di tutti i colori, e non poche volte anche taciti patti con poteri più o meno oscuri e più o meno illegali.
Dovremo rispondere a quanti hanno definito l’indignazione popolare di questi giorni come “qualunquismo da marciapiede”, che “molte volte la stessa politica è responsabile del proprio discredito a causa della mancanza di buone politiche pubbliche”, per dirla ancora con il Papa.
Dovremo riconoscere, senza fare sconti neanche a noi stessi, che uno dei problemi più antichi di questa nostra regione è quell’atteggiamento esasperatamente servile e clientelare nei confronti di qualunque potere che ha reso troppo corta la nostra memoria collettiva, e che per quattrocento persone ad indignarsi nelle piazze ce ne sono cento volte tanto che restano nelle case semplicemente a delegare.
Ed infine dirci con altrettanta chiarezza che finché consegneremo ai potentati economici interi pacchetti di feste patronali, sagre di paese e festival di qualunque tipo, ogni profezia, sia essa religiosa che laica, resterà afona e imbavagliata.
don Marcello Cozzi