L’ormai tradizionale immagine di un grande Tricolore calato dal tetto del Palazzo della Provincia dai Vigili del fuoco ha raccolto gli appalusi, stamani, a Potenza, di centinaia di persone presenti in piazza Mario Pagano per partecipare alla Festa della Repubblica, nata 76 anni fa.
Alla cerimonia hanno partecipato il prefetto, Michele Campanaro, parlamentari, uomini politici, amministratori regionali e locali: in piazza erano presenti i gonfaloni di molti Comuni del Potentino.
E’ stato letto il messaggio del Presidente della Repubblica e sono intervenute le autorità istituzionali e un componente della consulta provinciale studentesca.
Le cerimonie – aperte con la deposizione di una corona d’alloro davanti al monumento ai Caduti, nel parco di Montereale – proseguiranno nel pomeriggio, anche con la consegna di otto onorificenze “al merito della Repubblica Italiana” e due medaglie d’onore alla memoria di militari deportati e internati nei lager nazisti.
Festa della Repubblica 2022: intervento del Prefetto di Potenza, Michele Campanaro
Autorità,
cittadine e cittadini,
sono lieto e onorato di celebrare qui insieme con voi tutti, in questa splendida e simbolica Piazza, il 76^ compleanno della Repubblica, in cui ricordiamo il ritrovamento della libertà e della democrazia, prima occasione in cui si è esercitato il diritto di voto delle donne italiane. E proprio le donne, che votarono per la prima volta, ebbero un ruolo ed un peso determinanti nella scelta della forma repubblicana: votarono, infatti, circa 13 milioni di donne, a fronte di 12 milioni di uomini circa.
Il suffragio universale e la scelta repubblicana posero definitivamente le basi per la rinascita dei diritti di tutti, senza distinzioni.
Ci ritroviamo, quest’anno, nel mezzo di equilibri molto difficili e delicati, stretti tra la speranza di essere usciti dall’emergenza pandemica e una nuova crisi internazionale per una terribile guerra che si sta combattendo nel nostro Continente, tra Russia ed Ucraina.
Ancora una guerra, quindi! E a pagarne le conseguenze sono le generazioni più giovani, a cui stiamo dimostrando di continuare a dimenticare la nostra Storia più recente. Ce la ricorda, invece, il piccolo Davide Ventimiglia di appena dieci anni, nella sua lettera al Presidente della Russia per chiedergli con parole semplici di fermare la guerra. L’ho incontrato due mesi fa ed ho voluto che fosse presente qui oggi, con i suoi genitori, per ringraziarlo ancora una volta della sua sensibilità, a noi grandi spesso sconosciuta.
Ecco: le difficoltà che stiamo vivendo in questi momenti rendono ancora più importante commemorare quel 2 giugno 1946, giorno in cui il popolo italiano scelse la Repubblica, la democrazia e pose fine a uno dei periodi più bui dell’Italia moderna.
Come me, la maggior parte dei presenti in questa Piazza sono nati in un’Italia repubblicana, cresciuti e formati – come persone e come cittadini – in un orizzonte di democrazia e di progresso.
Settantasei anni fa, la Repubblica è nata tra grandi speranze e ha potuto contare sulla volontà, allora diffusa tra gli italiani, di ricostruire e far rinascere il paese, in un clima di libertà, attraverso uno sforzo straordinario di solidarietà e unità. Fu conquista di tutto il nostro popolo, voluta e tenacemente costruita dalle generazioni che ci hanno preceduto al prezzo di un impegno durissimo. Un popolo che, superata ogni retorica, seppellì i propri morti, si rimboccò le maniche, imparò di nuovo a guardare con fiducia al futuro.
Siamo riusciti, in quegli anni, a risalire dall’abisso della guerra voluta dal fascismo e a guadagnare il nostro posto tra le democrazie occidentali. E abbiamo, poi, superato tante tensioni e prove che hanno plasmato e fortificato la nostra giovane democrazia.
La scelta dello Stato Repubblicano affonda le sue radici nel significato profondo della Resistenza, fatto genuino di popolo, momento altissimo di unità e di coscienza di una nazione intera che volle riappropriarsi del suo destino in nome degli ideali più puri e perenni della nostra civiltà. Il cammino di libertà, che nel buio degli anni Trenta solo poche grandi menti avevano intuito, si è poi affermato nell’intera Europa, come principio motore della nostra storia.
Il 2 giugno 1946 non segna solo la data della nascita della Repubblica, ma è il momento in cui è stato piantato il germoglio della nostra Carta costituzionale. Quel giorno uomini e donne elessero l’Assemblea Costituente, che elaborò e approvò, a larghissima maggioranza, la Costituzione italiana, autentica Tavola dei valori e dei principi in cui riconoscersi, dei diritti e dei doveri da rispettare, attuali oggi come ieri.
Il cammino percorso a partire da quel giorno è stato lungo e travagliato, ma straordinariamente fecondo. L’opera di ricostruzione materiale e morale del paese sconvolto dalla guerra fu dura ma ricca di frutti. Le tensioni e le prove che insorsero sul piano sociale e sul piano politico vennero sempre superate nel quadro delle istituzioni repubblicane. E’ bene che le nuove generazioni conoscano e tengano sempre ben presente questa Storia, la nostra Storia moderna, perché da essa se ne tragga consapevolezza e fiducia per affrontare le complessità del presente.
La spinta per costruire insieme il presente ci può venire proprio dalla memoria del passato, dal tenere vivo ricordo e purezza dei valori di chi ha creduto che un’Italia libera, democratica e repubblicana fosse sempre possibile e non ha esitato a mettere a repentaglio la vita per raggiungere questi obiettivi.
La nostra Costituzione raccoglie in sé l’eredità profonda non solo della Resistenza ma anche del Risorgimento e dei valori della Costituzione della Repubblica romana del 1849; nella Carta si odono forti gli echi delle voci di Mazzini, di Cavour, di Cattaneo, di Garibaldi, di Beccaria.
Non dobbiamo mai compiere l’errore di considerarla un semplice insieme di enunciati su un pezzo di carta. Essa deve scolpire ogni giorno le nostre coscienze, di cittadine e cittadini. Vale per tutti, per i giovani, a cui spesso ci rivolgiamo chiedendo di averne consapevolezza; ma vale soprattutto per noi meno giovani, con ruoli di responsabilità istituzionale, che spesso indulgiamo nell’oblio e accantoniamo colpevolmente quei valori fondanti.
Piero Calamandrei che della Costituzione fu uno dei padri fondatori, ci ha lasciato in proposito delle parole splendide, da rileggere ogni giorno: «La Costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno metterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere le promesse, la propria responsabilità».
Il mio invito è tenere sempre alta l’attenzione verso quei valori che hanno reso possibile costruire l’Italia che conosciamo oggi, impegnamoci a non abbassare mai la guardia e a non tollerare discriminazioni, autoritarismi, sopraffazioni o addirittura violenze.
A quel tempo non fu facile imboccare la strada della riconciliazione. Così come non è stato facile giungere alla condivisione di una comune eredità; avere il coraggio di passare all’interno del continente europeo nel rapporto tra gli Stati, dal diritto della forza alla forza del diritto.
Come ha bene ricordato il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel discorso tenuto recentemente davanti al Parlamento Europeo, «la spinta al multilateralismo che caratterizzò gli anni successivi al Secondo conflitto mondiale era basata su una considerazione elementare: la collaborazione riduce la contrapposizione, contrasta la conflittualità, aumentando le possibilità di composizione positiva delle vertenze».
Costruire la pace è un processo, lento e graduale.
Viviamo nuovamente oggi – lo ricordavo prima – l’incubo della guerra nel nostro Continente, siamo di nuovo catapultati nella logica della sopraffazione degli uni sugli altri, della contrapposizione di un popolo contro un altro.
Perciò voglio ricordare a tutti noi che se stiamo uscendo dalla lunga fase di difficoltà dovuta alla pandemia – il virus non è ancora debellato del tutto, ma abbiamo imparato a combatterlo, ad attenuarne gli effetti – è proprio grazie al grande spirito di cooperazione che c’è stato tra tutti noi, che ci ha portato a scavalcare steccati e confini nazionali per uscire dalla tragedia che si è abbattuta sul mondo intero, oltre due anni fa.
Continuiamo, allora, a rendere omaggio a tutti coloro che, a costo di rischi personali, talvolta con il sacrificio della propria vita, hanno contribuito a conseguire i risultati di cui oggi possiamo giovarci.
Non dimentichiamo che un grande contributo è stato offerto dal civismo dei nostri concittadini, dal senso di responsabilità che hanno manifestato, dalla loro collaborazione nelle misure per attenuare la diffusione del virus e nel garantire il successo delle campagne vaccinali.
Questo esempio di collaborazione, contro un nemico comune dell’umanità, deve continuare ad impegnarci nel ricercare il dialogo, la condivisione, la cooperazione.
Allo stesso modo, anche la pace è una costruzione laboriosa, fatta di comportamenti e di scelte coerenti e continuative, non di atti isolati. Il frutto di una ostinata fiducia verso l’umanità e di un profondo e radicato senso di responsabilità nei suoi confronti.
La guerra non è, purtroppo, la nostra sola insidia. L’Italia di oggi vede crescere con preoccupazione fenomeni che costituiscono invece la negazione dei principi e dei valori costituzionali: fenomeni di intolleranza e di violenza di qualsiasi specie, violenza contro la sicurezza dei cittadini, le loro vite e i loro beni, intolleranza e violenza contro lo straniero, intolleranza e violenza politica, insofferenza e ribellismo verso legittime decisioni dello Stato democratico.
Anche per affrontare con prospettive di successo i problemi dell’oggi e del domani è importante valorizzare quell’esperienza che in oltre settant’anni ha dato all’Italia una più forte personalità internazionale, facendone una protagonista dell’Europa unita. Celebrare il 2 giugno, festeggiare insieme il compleanno della Repubblica, onorare i simboli della Nazione, esprimere un sentimento di più intensa appartenenza e comunanza patriottica, non significa fare vuota retorica, ma rafforzare le basi e le motivazioni del nostro agire individuale e collettivo.
Celebriamo quindi la ricorrenza della festa della Repubblica con lo sguardo e la volontà rivolti al domani in un’Italia libera e democratica, in un’Europa libera e democratica, unita e quindi in pace. Avviandomi a concludere, voglio ricordare le parole pronunciate in una “lectio magistralis” tenuta qui a Potenza dall’allora senatore a vita Emilio Colombo, eletto appena ventiseienne deputato dell’Assemblea Costituente e poi tra i fondatori dell’Europa di oggi: «Dobbiamo essere convinti che la politica di integrazione europea è un ideale portatore di valori di pace e di libertà, di solidarietà e di capacità di essere nel mondo costruttori di pace».
Questa è l’Europa che vogliamo, questa è la Repubblica che vogliamo: un solido edificio di diritti e doveri condivisi da un rinnovato patto generazionale e costruiti sulla libertà, sulla democrazia e sulla pace.
Viva il 2 giugno, viva la Repubblica, viva l’Italia.