La musica che esalta la mafia, intervento di don Marcello Cozzi, Presidente Ce.St.Ri.M. Di seguito la nota integrale.
“Si nu pentit, ci hai traditi, non vali niente, sei lo scuorno, sei un pentito uomo fallito, hai dimenticato i compagni”.
Io penso ai pentiti di mafia che incontro da anni, ai loro percorsi spesso abitati da tormento e fatica, a quei sensi di colpa che li divoreranno per sempre, al muro alzato da una società che li ha marchiati a vita, e penso infine ai mafiosi, quelli importanti e quelli meno importanti, che talvolta incontriamo nel tentativo quasi impossibile di strapparli alle logiche mortali dei clan. Poi ascolto queste parole tratte da una canzone del neomelodico napoletano Daniele De Martino, così come in chissà quante altre canzoni dello stesso genere, e mi assale sconforto e sconcerto.
Sconforto, perché in soli tre minuti una canzone può vanificare anni e anni di lavoro dedicati a far capire a chi ha deciso di collaborare con la giustizia che il vero tradimento è vivere da mafiosi, che vale solo colui che ha il coraggio di riconoscere il male fatto, che la vergogna (“lo scuorno”) deve sentirla tutta chi scommette su logiche di malaffare e morte, che i veri falliti sono quelli che pensano di non dover mai fare un passo indietro.
E sconcerto, per come queste canzoni vengano ascoltate nelle nostre piazze estive come se fosse normale inneggiare all’onore mafioso e all’infamia dei traditori.
“Con onore e dignità voi restate là perché o carcere vo sapit fa”, canta ancora De Martino, rivolgendosi invece a chi resta mafioso per sempre, a chi non si sporcherà con il disonore dell’infamia, a chi il carcere se lo fa da boss puro e duro. Fino a prefigurare tempi difficili per chi invece si è pentito: “ue fratello, qua non si parla, si agisce, è questa la fine di chi tradisce”.
Nel fare memoria delle vittime innocenti delle stragi di Capaci e Via D’Amelio abbiamo ribadito ancora una volta con forza che il contrasto alle mafie non può essere solo giudiziario e non può riguardare solo le forze dell’ordine, perché essendo la mafia prima di tutto un fenomeno culturale, allora nel contrastarla dobbiamo sentirci tutti protagonisti.
Ecco perché non posso accettarle queste parole. Perché nell’ascoltarle io penso a Falcone, Borsellino e tanti altri che per avere una legge che incoraggiasse i collaboratori di giustizia ci hanno rimesso la vita.
Ed ecco perché non posso accettare che vengano tranquillamente cantate nelle piazze delle nostre meravigliose comunità: perché penso che se davvero vogliamo contrastare le mafie valga anche per esse quello che Sandro Pertini diceva per il fascismo: “non è un’opinione, è un reato”
Mi appello dunque agli organizzatori delle feste di piazza perché si sentano anch’essi protagonisti attivi nel contrasto alle mafie iniziando con il bloccare il primo canale di diffusione del consenso mafioso che è la cultura sotto ogni forma.
Perché prima ancora che sangue, delitti e stragi, la mafia è un modo di concepire la vita.