Lavori in piazza Sant’Agnese e la possibile felicità del luogo nonostante tutto, intervento di Basilio Gavazzeni. Di seguito la nota integrale.
Il mio luogo, alla periferia sud di Matera, è Piazza Sant’Agnese. Qui arrivai nel 1978, la sera di Epifania. Nel buio pesto luceva soltanto la fioca lampadina sulla porta della canonica. Ebbi l’impressione di essere capitato in un rifugio montano di altri tempi. Seguì un gennaio sciroccoso e piovosissimo. Dalla Piazza, guardandomi attorno, covai l’utopia di un microcosmo di fraternità e bellezza.
Qualche anno dopo, invece, all’indomani di una Bruna, seduto su un gradino della chiesa, mentre aspettavo che si concludesse una gara podistica attraverso i Rioni di Agna e Cappuccini, fui preso di colpo dallo sconforto. “Non cambierà mai niente” dissi fra me. Il terremoto aveva trovato l’intera Piazza disselciata, perché il Comune ne aveva appena intrapreso il rifacimento. L’improvvisa e stragrande calamità costrinse gli Amministratori a far chiudere i lavori alla bell’e meglio e a deviare altrove le risorse disponibili. A lungo la Piazza rimase come allora. Soltanto per le opere parrocchiali del 1998 e del 2011 ne è stata modificata la porzione a ridosso delle due chiese.
Quando ero parroco, non ho mai sollecitato le Amministrazioni a provvedere alla decenza della Piazza, così da renderla funzionale alle manifestazioni popolari, laiche e religiose, e propizia nei pomeriggi e nelle serate estive alla ricerca di aria respirabile da parte di famiglie, bambini e anziani e, nottetempo, da parte dei nostri “giovani di muretto”, fra birre, furore di pallonate e grida. Mi ripugnava chiedere qualcosa che sembrasse a favore della Parrocchia. Ho creduto nel buon senso degli Amministratori. Ho sbagliato. Ne chiedo perdono alla mia gente che solo su di me poteva contare. Ricordo sempre l’esclamazione interrogativa di un aspirante Sindaco pervenuto in Piazza per la dovuta comparsata elettorale: “Ma, qui, state in questo modo?!”.
Si sperò che il 2019 di Matera marcasse finalmente un prima e un poi per le stesse periferie, e rimediasse alle brutture e all’inospitalità che le affliggono, e regalasse un senso superiore alla vita sociale di Matera. Si sa, più o meno, su quali artefatti, iniziative e performance si sono concentrate le risorse della cultura 2019. Come non stupirmi se, nel 2021, qualche loro rimasuglio è stato stanziato anche per la sistemazione di Piazza Sant’Agnese. Sotto la committenza di Invitalia S.P.A., inizio dei lavori il 21 luglio 2021, per la durata di 95 giorni. Un sogno purtroppo svanito sotto continue secchiate d’acqua gelida. Per mesi e mesi i lavori al rallentatore hanno occupato e imbruttito vistosamente la Piazza. Se la progettazione è stata calata dall’alto, come è prassi incorreggibile, l’esecuzione appaltata a una società avellinese non può che sollevare indignazione. Definirne approssimativi i risultati sarebbe un ipocrita e vile understatement.
Innanzitutto urgeva slargare l’imbocco della Piazza, magari con un asfalto provvisorio di poca metratura, sia per l’afflusso della gente, sia i movimenti degli stessi lavori. Si è deciso altrimenti. Così, ancora due settimane fa, una macchina si è sventrata sul gomito di cordolo che strozza l’ingresso, demolendolo.
Dal lato della pineta il lungo muro che conteneva la Piazza ristava solidissimo. Era solo il caso di risarcirne, qua e là, l’opus incertum di abbellimento, mentre era necessario ricostruire la cornice di copertura smantellata e sostituire la ringhiera tutta verghe storte o divelte. Si è optato per la sua demolizione. Lo scavo per rimuoverlo e la fondazione di un nuovo muro massiccio hanno imposto l’abbattimento di due grossi pini. A un altro pino sono state recise le radici: è seccato. A chiunque guardi fa pena lo spettacolo di una dozzina di alberi scortecciati in più punti dai denti della ruspa, dentro una pineta già troppo malmessa.
Al di qua del muro, verso la Piazza, è stato realizzato con cubetti di cemento un nuovo marciapiede orlato da cordoli di marmo. Il basamento è stato riempito parte con breccia, parte con materiali di risulta prodotti dalla demolizione del vecchio muro. Non ho appurato se fra il riempimento e il sabbione su cui sono stati irreggimentati i cubetti sia stato disteso un tessuto non tessuto o un massello innervato da reti elettrosaldate di ferro, come si usa per ovvie ragioni di mantenimento. Il nuovo marciapiede ha riconosciuto l’ospitalità a due grossi platani e a due esili ciliegi. Le fosse delle aiuole sono state riempite con scarti d’ogni genere. Ho insistito che venissero rimossi e sostituiti da un terriccio adeguato. In realtà ne hanno depositato quattro dita, ma senza rimuovere i cascami di lavorazione sottostanti. Né i progettisti, né gli esecutori, in particolare i più subalterni e forse al nero, per i quali l’obbedienza è virtù, si sono domandati se al marciapiede non si addicessero almeno tre altre aiuole da alberare per assicurare un po’ più di ombra, come nel passato.
La posa dei cubetti per il marciapiede si è incuneata nel sereno sagrato della prima chiesa di Sant’Agnese, disordinandone la forma e costringendo a porre di sbieco i cosiddetti dissuasori. Sul nuovo muro è comparsa una nuova ringhiera di sicurezza. In verità un po’ ondulata, tuttavia assemblata con pannelli scintillanti per la zincatura, chi poteva vagheggiarne una migliore? Ma, a distanza ravvicinata, ahimè, le verghe di ferro risultano di soli 8 mm, tali che esalteranno le gare muscolari degli adolescenti. Peggio: i piantoni, che àncorano la ringhiera ai marmi a corona del muro, sono cavi, aperti quel che basta perché la pioggia, infiltrandosi, li destini presto alla ruggine. La cattiva coscienza ha spinto poi qualcuno a tappare qualche fessura col silicone.
I vecchi edifici anni Sessanta che si allungano per la Piazza erano costeggiati da un ottimo lastricato, opera casuale di un’Amministrazione che fu. Ebbene, senza smuoverne i cordoli, l’ammattonato è stato sostituito dai cubetti sopraddetti, impropri a tale uso che, invano, si è provato a sigillare con una sabbione inadatto. Presumendo che la pioggia penetrerà fra gli interstizi, i manovali hanno perforato maldestramente i cordoli, per consentire all’acqua di sversarsi sulla Piazza, non ipotizzando che, invece, potrebbe insinuarsi sotto gli edifici, cosa verificatasi e fotografata.
A luglio inoltrato i lavori sono interrotti da settimane. Nella pineta resta da approntare lo spazio per i giochi infantili: erano necessari, visto che, a meno di 150 m, vi è già un parco giochi? Poi c’è da ripristinare un bagno di cui nessuno si farà carico, e rimuoverne un altro da sempre impraticabile, e curare gli alberi sopravvissuti, e metterne a dimora altri, e assicurare una fontanella alla sete dei cristiani, e il suo scolo a quella degli uccelli, e arredare con qualche panchina, ma, prima di tutto, asportare le reliquie dei lavori abbandonate in disordine e inguardabili. Problemi notevoli saranno costituiti dall’asfaltatura parziale o totale della Piazza e dalle soluzioni per far defluire l’acqua, perché anche qui avviene che piova e nevichi.
Il nostro popolo, disavvezzo alla partecipazione, guarda e passa, volta le spalle e attende al proprio miele, dietro l’uscio di casa. Mi si riferisce che in tutta la città i lavori sono condotti in siffatta maniera, a fortiori nelle periferie come la nostra. Perché i cittadini, cui sta a cuore la vera cultura di Matera, non denunciano sine ira et studio le malefatte dei lavori pubblici e il conseguente spreco di denaro prelevato in questo tempo di penuria dalla carne dei contribuenti, “lo sterminio che devasta a mezzogiorno” come uso chiamarlo abusando del Salmo 90?
Perché la polizia urbana non pedina, censisce, riprende e documenta per il Sindaco e gli Assessori questo andazzo da stroncare con fermezza, coinvolgendo il Prefetto e il Procuratore della Repubblica che, presumo, ne sono ignari?
Che Meridione sarà mai il nostro, senza onore per la deontologia che associa l’etica e la legalità al provato carisma della professionalità? Come potremo aver diritto alle previdenze europee, al PNRR e alle attenzioni che il Presidente Draghi si è impegnato a garantire ai Meridioni? Qui, domani non è mai un altro giorno? Qui l’alba di un nuovo giorno sorge soltanto nei del nostro poeta maggiore?
Piazza Sant’Agnese, nonostante quest’altra disavventura cui bisogna rimediare per quel che è possibile, nonostante lo squallore di un treno di edifici anni Sessanta che non conoscono maquillage da tempo immemorabile, ha una sua felicità. Il marciatore o il ciclista che vi approda nel deserto del pomeriggio può godersi il concerto fragoroso delle cicale annidate nella pineta piagata. Ha una sua umile identità questo luogo, e più alito pentecostale che altri. Ogni mattino, dalle prime luci, passeri, tortore, colombe, cornacchie e gazze ladre incrociano insistenti richiami, e sarabande di rondoni novelli, saettando, inscenano sfrenate coreografie. Da decenni non vi serpeggiano più le filiformi coronelle austriache, calunniate come vipere, che a caccia di lucertoline giungevano ad attorcigliarsi alla maniglia della canonica né i fieri e inoffensivi colubri di Esculapio.
Chiudo gli occhi e vi raduno tutti i paesaggi del mondo e, adesso, le meraviglie dell’immenso, le galassie e le nebulose che il James Webb Space Telescope, distante1,5 milioni di km dalla Terra, ci rivela. Coeli enarrant gloriam Dei. Quale altro luogo desiderare nel tempo e nello spazio? Senza dimenticare quelli che sono nella prova.