Una grana giudiziaria per l’Amministrazione comunale guidata dal sindaco di Matera Salvatore Adduce. Il Tar ha accolto il ricorso proposto da Eustachio Rondinone, Angela Raffaella Dragone, Maria Teresa Valentino, Marino Trizio e Michele Morelli sul permesso a costruire rilasciato dal dirigente del Servizio urbanistica del Comune di Matera alla società Co.Ge.M. per il recupero e riqualificazione dell’area del “Mulino Alvino” e la relativa delocalizzazione dei volumi demoliti in Via Dante e il cambio di destinazione ad attrezzature di interesse generale dei rimanenti volumi storici e realizzazione di un complesso residenziale con locali commerciali e sistemazione delle aree limitrofe in via Dante. Di seguito il testo integrale della sentenza, che apre un percorso amministrativo lunghissimo, naturalmente con effetti tutti da verificare sul piano amministrativo.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente sentenza sul ricorso numero di registro generale 4 del 2013, proposto da Eustachio Rondinone, Angela Raffaella Dragone, Maria Teresa Valentino, Marino Trizio, Michele Morelli, rappresentati e difesi dagli avv. Gianfranco Cascella, Giacomo Marchitelli, con domicilio eletto presso Segreteria T.A.R. in Potenza, via Rosica, 89;
contro Comune di Matera, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Franchino, con domicilio eletto presso Francesco Matteo Pugliese Avv. in Potenza, piazza Mario Pagano 118; Comune di Matera – Settore Gestione del Territorio – Servizio Urbanistica;
nei confronti di Co.Ge.M. – Costruzioni Generali Mediterranea Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Luigi Volpe, con domicilio eletto presso Luigi Petrone Avv. in Potenza, corso XVIII Agosto, 2;
per l’annullamento
– del permesso di costruire n.044459 dell’8.10.2012 rilasciato dal dirigente del Servizio urbanistica del Comune di Matera alla Società controinteressata;
– del parere rilasciato in data 5.9.2012 dallo stesso Ufficio con eventuale annessa relazione e, ove occorrente, del parere pro-veritate del prof. avv. Luigi Volpe del 20.8.2012;
– ove occorrente degli atti unilaterali d’obbligo dell’11.9.2012 e del 13.9.2012;
– di ogni altra determinazione e/o di ogni altro provvedimento o atto connesso, conseguente e consequenziale a quello impugnato, laddove lesivi e nei limiti dell’interesse dei ricorrenti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Matera in Persona del Sindaco P.T. e di Co.Ge.M. – Costruzioni Generali Mediterranea Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2014 la dott.ssa Paola Anna Gemma Di Cesare e uditi per le parti i difensori Giacomo Marchitelli, Giuseppe Franchino e Luigi Volpe;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.-Con ricorso notificato in data 7 dicembre 2012 e depositato il 4 gennaio 2013 Rondinone Eustachio, Dragone Angela Raffaella, Valentino Maria Teresa, Trizio Marino, Morelli Michele, tutti residenti in Matera, i primi tre alla Via Venezia e gli ultimi due citati rispettivamente al viale Italia e in recinto Annunziata Vecchia, hanno chiesto l’annullamento del permesso di costruire 8 ottobre 2012, prot. n. 0444459, a firma del Dirigente del servizio urbanistica, rilasciato a Egidio Tamburrino in qualità di legale rappresentante delle Cogem spa relativo alla realizzazione dei seguenti interventi:
a)recupero e riqualificazione dell’area del “Mulino Alvino” e alla delocalizzazione dei volumi demoliti in Via Dante;
b)cambio di destinazione ad attrezzature di interesse generale dei rimanenti volumi storici e realizzazione di un complesso residenziale con locali commerciali e sistemazione delle aree limitrofe in via Dante.
I ricorrenti chiariscono in punto di fatto che:
-il progetto prevede la delocalizzazione in via Dante, angolo via dei Bizantini su area destinata a verde pubblico, dei volumi rinvenienti dalla demolizione delle superfetazioni che hanno interessato nel tempo l’opificio industriale Mulino Alvino, di recente sottoposto a vincolo di tutela dalla Soprintendenza per i beni e le attività culturali, per la costruzione di un complesso residenziale;
-le due aree interessate dall’intervento sono classificate, l’una (Mulino Alvino) in “area extraurbana a disciplina pregressa (AEDP/8)” ex art. 55 delle Norme tecniche di attuazione che ricade in un sito di interesse comunitario e l’altra (Via Dante, interessata dalla localizzazione di volumi rinvenienti dalla demolizione delle superfetazioni dell’opificio industriale Mulino Alvino per la realizzazione di un complesso residenziale) classificata in gran parte (8000 mq circa) come area a verde pubblico “Vp7”, di cui un terzo di proprietà della Cogem spa, disciplinata dall’art. 35 delle Norme tecniche di attuazione e in parte nel tessuto urbano (“Ud/B1”) di impianto non recente a morfologia definita disciplinato dall’art. 80 delle norme tecniche di attuazione;
-con atto unilaterale d’obbligo dell’ 11 settembre 2012 la Cogem si obbligava a realizzare a propria cura e spese e senza scomputo di oneri la sistemazione a standard nell’ambito di via Dante, la sistemazione esterna dell’area dell’ex Mulino Alvino.
Ad avviso dei ricorrenti il permesso di costruire sarebbe illegittimo per i seguenti motivi di gravame:
I)incompetenza del dirigente a rilasciare il permesso di costruire che avrebbe dovuto essere rilasciato previa delibera del Consiglio comunale secondo la procedura di cui all’art. 14 del d.p.r. n. 380/2001, come richiamato dall’art. 5, comma 13, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70 convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106;
II) violazione dell’art. 5, comma 14, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70 convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, che non consente di violare il rispetto degli standards urbanistici, quale quello a verde pubblico dell’area di via Dante sul quale invece il progetto assentito prevede la realizzazione dell’intervento edilizio con contestuale delocalizzazione del verde fuori del centro urbano;
III) violazione dell’art. 80 delle norme tecniche o di attuazione, il quale prevede che nelle aree verdi libere all’interno del tessuto “Ud/B1” è possibile realizzare parcheggi, ma solo per soddisfare le esigenze della residenza o dei servizi che ricadono nel tessuto;
IV)violazione del vincolo di inedificabilità relativo posto dall’art. 49 del d.p.r. n. 753/1980, atteso che con riferimento all’opificio Mulino Alvino sono stati assentiti interventi di demolizione a distanza di circa 2-3 metri dalla ferrovia Appulo lucana.
2.- Per resistere al ricorso si è costituita la controinteressata la quale contrasta i motivi di ricorso sostenendo:
-che la speciale disciplina prevista dall’art. 5, comma 9 e ss. del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70 convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, contempla l’utilizzo dello strumento del permesso di costruire in deroga di cui all’art. 14 del d.p.r. 380 del 2001 soltanto per i primi sessanta giorni successivi alla pubblicazione di detta legge;
– che il mutamento delle destinazioni d’uso e quindi l’edificazione su una area destinata a verde sarebbe consentita dalle disposizioni dell’art. 5, comma 9 e ss. del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70;
-il progetto garantisce lo standard a parcheggi;
-con determinazione regionale 24 giugno 2005, n. 527, è stata concessa la deroga alla distanza legale.
3.- Il Comune di Matera, pure costituitosi in giudizio, afferma l’infondatezza del ricorso nel merito, assumendo, oltre a quanto dedotto dalla controinteressata che:
-la competenza del dirigente al rilascio del permesso di costruire era stata avallata, oltre che dal parere pro-veritate del Prof. Volpe anche dalla nota 6 dicembre 2012, n. 3450 con la quale il Ministero dell’economia e delle finanze, Ufficio coordinamento legislativo rispondeva ad apposito quesito formulato dal Comune;
-il Consiglio comunale aveva già individuato i siti di intervento (sia l’area di Via Dante sia l’area del Mulino Alvino) come aree da riqualificare, avendoli compresi con delibera del Consiglio comunale 1 aprile 2011, n.25 tra gli ambiti di intervento interessati dal Programma integrato di promozione di edilizia residenziale sociale e di riqualificazione urbana ai sensi dell’art. 4 della legge regionale 7 agosto 2009, n.25;
-non vi è un problema di intervento e modifica di un’area destinata a verde pubblico, in quanto si interviene su un bene di proprietà privata usato finora come spazio di esposizione di auto usate, ma quello della sufficienza degli standards richiesti dall’intervento costruttivo approvato, che soddisfa il valore minimo di superfici a standard previsto per la zona;
-la ditta beneficiaria del permesso di costruire si era impegnata a costruire aree destinate a standards;
– l’area del Mulino Alvino “costituisce a tutti gli effetti un’area urbana”, in quanto recepita come zona B di completamento a seguito della pubblicazione delle osservazioni al PRG;
-il piano per l’area del Mulino Alvino non deve essere sottoposto a valutazione di incidenza a norma dell’art. 5 del d.p.r. 357/1997.
4.- All’udienza pubblica del 6 febbraio 2014 il Collegio ha chiesto chiarimenti in ordine alla sussistenza della legittimazione ad agire in capo a ciascuno dei ricorrenti e poiché tale questione non era stata eccepita né negli scritti difensivi della controinteressata né negli scritti difensivi del Comune intimato, ha invitato le parti, a norma dell’art. 73, comma 3, del codice del processo amministrativo a discutere su tale questione, assegnando, peraltro, il termine di dieci giorni per presentare eventuali memorie difensive.
5.- Le parti in data 14 febbraio 2014 hanno presentato le memorie difensive autorizzate.
DIRITTO
1.- Oggetto del ricorso è il permesso di costruire rilasciato ai sensi dell’art. 5, comma 9 e seguenti del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, con il quale si autorizzava la controinteressata ad effettuare un’operazione di recupero e riqualificazione dell’area urbana del “Mulino Alvino” con delocalizzazione dei volumi demoliti per la costruzione di un complesso residenziale in Via Dante.
2.- In via preliminare, va risolta la questione, sollevata d’ufficio dal Collegio, relativa alla sussistenza della legittimazione ad agire in capo a ciascuno dei ricorrenti.
Occorre al riguardo chiarire che in tema di impugnazione di un titolo edilizio rilasciato a terzi la legittimazione alla proposizione del ricorso per l’annullamento di tale titolo discende dalla cd. “vicinitas” definita dalla costante e pacifica giurisprudenza amministrativa come una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell’intervento costruttivo autorizzato, che esime da qualsiasi indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall’atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione.
La mera esistenza di uno stabile collegamento con il terreno interessato dall’intervento edilizio è dunque sufficiente a comprovare la sussistenza sia della legittimazione che dell’interesse a ricorrere, senza che sia necessario al ricorrente anche allegare e provare di subire uno specifico pregiudizio per effetto dell’attività edificatoria intrapresa sul suolo limitrofo ( cfr. ex multis: Consiglio di Stato sez. V, 23/10/2013, n.5132).
Ne deriva che il concetto di “vicinitas” va inteso in senso elastico e quindi la sussistenza in capo al ricorrente di uno stabile collegamento con l’area interessata dall’intervento edilizio autorizzato va valutata caso per caso in relazione alle situazioni prospettate e alla stregua di un giudizio che tenga conto della natura e delle dimensioni dell’opera realizzata, della sua destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche ed anche delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento sulla qualità della vita di coloro che per residenza, attività lavorativa ed economica, sono in durevole rapporto con la zona in cui sorge la nuova opera (Consiglio di Stato, sez. IV , 04/02/2013, n. 644; id. , 29 novembre 2012 n. 6081; id., 31 maggio 2007, n. 2849).
A ciò consegue che la legittimazione ad agire non è limitata ai proprietari o ai titolari di diritti reali su immobili nella zona interessata dall’intervento, i quali potrebbero subire un deprezzamento del valore del loro bene, ma si espande sino a comprendere i residenti di zona e tutti coloro che a causa della loro attività lavorativa ed economica sono in durevole rapporto con la zona e che, tenuto conto della natura, delle dimensioni dell’intervento edilizio, delle sue implicazioni urbanistiche, prospettano un impatto negativo del nuovo insediamento sulla loro qualità della vita, ad esempio, come nella specie, per una riduzione delle aree destinate a verde.
2.1.- Alla luce dei principi sopra enunciati, nella fattispecie, non vi è dubbio della sussistenza della legittimazione ad agire in capo ai ricorrenti residenti in Via Venezia (Rondinone Eustachio, Dragone Angela Raffaella, Valentino Maria Teresa) che, come chiarito all’udienza pubblica attraverso l’illustrazione della planimetria di zona, è immediatamente prospiciente l’area- attualmente a verde- di Via Dante dove è prevista la realizzazione dell’intervento edilizio contestato.
2.2.- Non sussiste, invece, la legittimazione ad agire in capo ai ricorrenti Trizio Marino e Michele Morelli, i quali sono residenti in altra zona e non dimostrano la sussistenza di alcuno stabile collegamento né con l’area di Via Dante né con l’area del Mulino Alvino, ma si limitano solo a prospettare un generico impatto negativo dell’operazione sull’assetto urbanistico complessivo della città, senza specificare adeguatamente quale sia l’impatto degli atti impugnati sulla loro sfera giuridica.
Non sussiste pertanto né la loro legittimazione al ricorso, che implica la titolarità di una posizione giuridica soggettiva che sia differenziata da quella della generalità dei cittadini del Comune di Matera né è ravvisabile il loro interesse al ricorso.
Né può essere invocato l’interesse al corretto assetto urbanistico della città, atteso che il processo amministrativo, non costituisce una giurisdizione di diritto oggettivo, volta a ristabilire una legalità che si assume violata, ma ha la funzione di dirimere una controversia fra un soggetto che si afferma leso in modo diretto e attuale da un provvedimento amministrativo e l’amministrazione che lo ha emanato.
3.- Individuati i soggetti legittimati alla proposizione del ricorso è ora possibile passare all’esame del ricorso nel merito.
Il ricorso è fondato con riferimento al primo ed assorbente motivo di gravame, con il quale si postula l’incompetenza del dirigente ad adottare il permesso di costruire ex artcolo 5 comma 9 e ss del D.L. 70/11, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, senza la preventiva delibera del Consiglio comunale.
3.1.-Al fine di meglio comprendere la questione occorre preliminarmente riportare la normativa della cui interpretazione si controverte.
L’art. 5 comma 9 e ss del D.L. 70/11 (Semestre europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, così stabilisce: <<Al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili, le Regioni, approvano entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto specifiche leggi per incentivare tali azioni anche con interventi di demolizione e ricostruzione che prevedano:
a) il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale;
b) la delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse;
c) l’ammissibilità delle modifiche di destinazione d’uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari;
d) le modifiche della sagoma necessarie per l’armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi esistenti.
10. Gli interventi di cui al comma 9 non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria.
11. Decorso il termine di cui al comma 9, e sino all’entrata in vigore della normativa regionale, agli interventi di cui al citato comma si applica l’articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 anche per il mutamento delle destinazioni d’uso. Resta fermo il rispetto degli standard urbanistici, delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e in particolare delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di quelle relative alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
12. Le disposizioni dei commi 9, 10 e 11 si applicano anche nelle Regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le disposizioni degli statuti di autonomia e con le relative norme di attuazione.
13. Nelle Regioni a statuto ordinario, oltre a quanto previsto nei commi precedenti, decorso il termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, e sino all’entrata in vigore della normativa regionale, si applicano, altresì, le seguenti disposizioni:
a) è ammesso il rilascio del permesso in deroga agli strumenti urbanistici ai sensi dell’articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 anche per il mutamento delle destinazioni d’uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari;
b) i piani attuativi comunque denominati e compatibili con lo strumento urbanistico generale sono approvati dalla Giunta Comunale.
14. Decorso il termine di 120 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, le disposizioni contenute nel comma 9, fatto salvo quanto previsto al comma 10, e al secondo periodo del comma 11, sono immediatamente applicabili alle Regioni a statuto ordinario che non hanno provveduto all’approvazione delle specifiche leggi regionali.
Fino alla approvazione di tali leggi, la volumetria aggiuntiva da riconoscere quale misura premiale, ai sensi del comma 6 lettera a), è realizzata in misura non superiore complessivamente al venti per cento del volume dell’edificio se destinato ad uso residenziale, o al dieci per cento della superficie coperta per gli edifici adibiti ad uso diverso. Le volumetrie e le superfici di riferimento sono calcolate, rispettivamente, sulle distinte tipologie edificabili e pertinenziali esistenti ed asseverate dal tecnico abilitato in sede di presentazione della documentazione relativa al titolo abilitativo previsto>>.
3.2.- La disciplina illustrata si inserisce nell’ambito di una serie di misure adottate per la promozione dello sviluppo economico e della competitività e mira a rilanciare l’economia nel settore dell’edilizia privata, prevedendo una specifica disciplina premiante in favore degli interventi edilizi dei privati che mirano a perseguire gli obiettivi di razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, di riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare.
Con tale obiettivo, l’art. 5, comma 9, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, fissa i principi fondamentali ai quali il legislatore regionale dovrà attenersi nell’elaborare la propria disciplina in materia.
In primo luogo, va evidenziato che il legislatore statale si premura di definire il contenuto della disciplina premiante in favore dei privati che intendono realizzare interventi di riqualificazione e razionalizzazione del patrimonio edilizio, prevedendo: il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente, la possibilità di delocalizzare le volumetrie, la possibilità di attuare modifiche di destinazione d’uso tra loro compatibili ed infine nella possibilità di realizzare modifiche della sagoma necessarie per l’armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi esistenti.
In secondo luogo, il legislatore statale sancisce la immediata applicabilità delle disposizioni premianti in questione, in caso di mancata adozione da parte delle regioni della specifica disciplina nel termine di 120 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione e si preoccupa pertanto di dettare, con clausola di “cedevolezza” ovvero fino all’adozione delle specifiche leggi regionali, sia il contenuto della disciplina premiante sia il procedimento autorizzatorio da utilizzare per la realizzazione di tali interventi privati.
Ebbene, quanto al contenuto, il legislatore statale prevede che la volumetria aggiuntiva deve essere non superiore al venti per cento del volume dell’edificio se destinato ad uso residenziale o al dieci per cento della superficie coperta per gli edifici adibiti ad uso diverso.
Con riferimento, invece, al procedimento autorizzatorio il legislatore statale, “sino all’entrata in vigore della normativa regionale” prevede l’applicazione della disciplina autorizzatoria rafforzata di cui all’articolo 14 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che richiede la previa deliberazione del Consiglio comunale per il rilascio del “permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali”.
Tale deliberazione preliminare del Consiglio Comunale costituisce, quindi, un elemento necessario per il rilascio del permesso di costruire ai sensi dell’art.5, comma 9 e seguenti, del D.L. n.70 del 2011.
Tale meccanismo autorizzatorio rafforzato si giustifica sulla base della considerazione che, al pari del permesso di costruire in deroga disciplinato dall’art. 14 del d.p.r. n. 380/2001, il permesso di costruire rilasciato ai sensi dell’art.5, comma 9 e seguenti, del D.L. n.70 del 2011, determina una deroga alla disciplina ordinaria e alle previsioni degli strumenti urbanistici ed è pertanto un istituto di carattere eccezionale (introdotto con lo strumento della decretazione d’urgenza) giustificato dalla necessità di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari garantiti dalla disciplina urbanistica generale e, in quanto tale, applicabile esclusivamente entro i paletti tassativamente previsti dal legislatore statale ( quali ad es. l’inderogabilità degli standard urbanistici, la non attuabilità degli interventi di riqualificazione e aumenti di volumetria con riferimento ad edifici abusivi o situati nei centri storici o in area ad in edificabilità assoluta).
Tale particolare natura del permesso di costruire rilasciato ai sensi dell’art.5, comma 9 e seguenti, del D.L. n.70 del 2011, nonché l’espresso richiamo all’art. 14 del d.p.r. 380 del 2001 operato dall’art. 5 cit., comma 11, porta quindi ad escludere che l’autorizzazione in questione possa essere rilasciata secondo il procedimento ordinario, con la conseguenza che l’assenza della previa deliberazione del Consiglio comunale sul progetto presentato dal privato vizia il procedimento stesso.
D’altra parte, ad avviso del Collegio, la necessità della deliberazione del Consiglio comunale prima del rilascio da parte del dirigente competente del permesso di costruire in deroga previsto dall’art. 5, comma 9 e seguenti, del D.L. n.70 del 2011, si rivela coerente con le attribuzioni del Consiglio comunale in materia di pianificazione urbanistica e territoriale (ed eventuale deroga ad essa) previste dall’art. 42, comma 2, lett. b) del d.lgs 18 agosto 2000, n. 267, trattandosi di interventi che incidono sulle disposizioni urbanistiche ordinarie.
Va infine osservato che la preventiva deliberazione del Consiglio comunale in merito all’ammissibilità del rilascio del permesso di costruire ai sensi dell’art. 5, comma 9 e seguenti, del D.L. n.70 del 2011, consente a tale organo di valutare la sussistenza dell’interesse pubblico all’operazione, verificando la effettiva rispondenza del progetto all’esigenza “di razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente” e di “riqualificazione di aree urbane degradate” e quindi di riscontrare se sussistono le condizioni per il riconoscimento della disciplina premiante (volumetria aggiuntiva, possibilità di delocalizzare la volumetria in area diversa, cambio di destinazione d’uso, modifiche alla sagome degli edifici) e quindi per derogare alla disciplina urbanistica ordinaria.
3.3.- Alla luce della precedente ricostruzione, nel caso portato all’attenzione del Collegio, il Dirigente ha ritenuto di poter rilasciare direttamente il permesso di costruire in deroga di cui all’art. 5, comma 9 e ss del D.L. n.70 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, in virtù del disposto di cui al comma 14 dello stesso art. 9, il quale però si limita a prevedere la immediata applicabilità della nuova normativa recata dalle disposizioni statali in caso di mancata adozione, nel termine previsto, delle leggi regionali, senza che da tale disposto possa evincersi l’attribuzione in capo al dirigente del rilascio del permesso di costruire.
Invero, a maggior ragione, la mancanza di una disciplina legislativa regionale imponeva all’amministrazione comunale di conformarsi a tutte le prescrizioni dettate dal legislatore statale, ivi compresa quella relativa al procedimento da utilizzare per il rilascio del permesso di costruire e per i mutamenti di destinazione d’uso (art. 5 cit., comma 11), da mutuarsi dalla disciplina del permesso di costruire in deroga di cui all’art. 14 del d.p.r. n. 380 del 2001, con la conseguente necessità del preventivo vaglio del progetto presentato dalla controinteressata da parte del Consiglio comunale.
Né alcuna valenza sostitutiva può attribuirsi alla delibera del Consiglio comunale 1 aprile 2011, n.25, sia perché la stessa è stata adottata prima dell’entrata in vigore della disciplina edilizia in commento sia perché la stessa non ha ad oggetto l’esame e l’approvazione dello specifico progetto presentato dalla controinteressata ed assentito con il permesso di costruire in contestazione.
4.- Ne deriva la illegittimità sotto il profilo esaminato del permesso di costruire gravato, il che consente di assorbire gli ulteriori motivi di censura proposti e diretti a contestare profili sostanziali del progetto, non potendo il giudice amministrativo pronunziarsi con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati (art. 34, comma 2, codice del processo amministrativo), surrogando e anticipando la propria valutazione a quella dell’organo competente.
5.- Quanto alle spese di lite sussistono gravi ed eccezionali ragioni per disporre la loro integrale compensazione tra le parti, in considerazione sia della novità della questione trattata nel merito sia del comportamento del Comune che ha comunque conformato la propria azione amministrativa al parere reso dall’Ufficio del coordinamento legislativo del Ministero dell’economia e delle finanze.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
-dichiara il difetto legittimazione passiva di Trizio Marino e Morelli Michele;
– accoglie il ricorso proposto da Rondinone Eustachio, Dragone Angela Raffaella, Valentino Maria Teresa e per l’effetto annulla il permesso di costruire impugnato rilasciato alla controinteressata.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Potenza nelle camere di consiglio dei giorni 6 febbraio 2014, 17 aprile 2014, con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Pennetti, Presidente FF
Pasquale Mastrantuono, Consigliere
Paola Anna Gemma Di Cesare, Primo Referendario, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/04/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Senza voler scendere in merito a leggi, norme e vari cavilli giuridici, il normale Cittadino si chiede:”Perché in un’area della Città destinata a VERDE PUBBLICO sorge l’ennesimo e nuovo SCATOLONE DI CEMENTO”? La risposta è sempre la stessa che da 15-20 anni i Materani ben conoscono ed è quella che nel Palazzone di cemento di via Aldo Moro vige sempre la “legge del mattone” che ha saccheggiato con il cemento questa Città, come la collina di Macamarda in pieno centro città. E’ ora di dire BASTA ai vari Sindaci “Ponzio Pilato” che hanno permesso il degrado urbanistico della Città. E’ ora di cambiare registro alle vecchie logiche politiche di queste inette amministrazioni comunali, il futuro positivo per le città italiane ed europee sono le scelte politiche volte alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, all’incentivazione degli interventi di riqualificazione energetica degli edifici e al disincentivo dell’uso del mezzo privato (vedi le varie città nord-europee). Tutto ciò crea nuove opportunità di lavoro di cui questa Città ha molto e urgente bisogno. E’ ora di rendere la Nostra Città più vivibile, più verde, più ecologica e quindi più a “misura d’uomo”. Non lasciamoci sfuggire l’occasione delle prossime elezioni comunali del 2015 per mandarli TUTTI A CASA e per riportare Matera a patrimonio dei Materani. (emMe5eSse!)
con questa sentenza si conferma che il quinquennio adduce è stato all’insegna dell’arroganza e dell’inconcludenza, avallato da certi apparati dirigenziali del PD e supportato da consiglieri facili al cambio di casacca. ed ha anche il barbaro coraggio di dichiarare che:” la priorità resta salvare memoria storica della città”. abbiamo visto in che stato ha ridotto i Sassi e come li considera.
Sarebbe bello che in un piccolo centro come il nostro, dove si sa tutto di tutti, si iniziasse a fare le cose per bene, senza favoritismi di sorta, che aiutano poche persone ma fanno un danno alla collettività enorme.
Basta poco ,per trasformare il verde in cemento e spostare cubature da una zona extraurbana di edilizia industriale ad una zona centrale della città di edilizia civile, se a chiedere cose IMPOSSIBILI non e’ un comune cittadino.
E’ ORA DI FINIRLA, IL CEMENTO HA GIA’ FATTO TROPPI DANNI ALLA NOSTA CITTA’.
HA TRASFORMATO LA CASA DELLO STUDENTE IN ABITAZIONI VENDUTE A PRIVATI ( VIA DANTE ) HA TRASFORMATO ALLOGGI CON DESTINATIONE TURISTICA AD ALLOGGI RESIDENZIALI ( SERRA RIFUSA), LE GROSSE IMPRESE COSTRUISCONO SENZA PAGARE GLI ONERI DI URBANIZZAZIONE IN CAMBIO DI OPERE CHE NON HANNO ALCUN VALORE.
BASTA CERCHIAMO DI VOLERE BENE ALLA NOSTRA CITTA’, PER LASCIARE UN FUTUTO MIGLIORE AI NOSTRI FIGLI.