“Un compleanno speciale quello dello Statuto dei Lavoratori e (si auspica presto) anche delle Lavoratrici. Dagli anni ’70 ad oggi lo Statuto, adeguandosi ai tempi, alle riforme ed alle interpretazioni normative del Giudice delle Leggi, ha subito modifiche sostanziali: la presenza delle donne nei luoghi di lavoro che richiede nuovi diritti, la nascita di una maggiore consapevolezza di paternità da parte degli uomini, il ciclo di vita e di vita lavorativa che si è allungato per tutte e tutti, il dualismo tra lavoratori autonomi e subordinati che va ripensato, la nascita di nuove categorie di lavoratori, la diffusione delle nuove tecnologie (dal telelavoro allo smart working), lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.
Alle lavoratrici, però, continuava (e continua) ad essere imposto un modello di lavoro maschile, fordista, fondato sul capofamiglia maschio e costruito sulla divisione dei ruoli secondo il genere. Proprio su questi pilastri culturali sono stati scansionati tempi, modi ed orari di lavoro ed individuati i criteri di valutazione della prestazione, della produttività e dei conseguenti meccanismi di carriera”.
È quanto dichiara la Consigliera regionale di parità Ivana Pipponzi.
“Solo col pensiero femminista – aggiunge – si è cominciato a destrutturare il concetto di lavoro, elaborando, finalmente, una idea che liberasse le donne da modello di lavoro calibrato esclusivamente sugli uomini. Riteniamo che i tempi siano maturi per pensare ad un nuovo Statuto delle Lavoratrici e dei Lavoratori, contenente la tanto auspicata sua riscrittura in un’ottica di genere, così che le donne possano finalmente avere pari cittadinanza. Solo comprendendo (ed interiorizzando) che le donne desiderano misurarsi con un modello di lavoro che riconosca e valorizzi competenze e merito e che le politiche pubbliche devono promuovere il passaggio da politiche disegnate attorno alla figura del capofamiglia, maschio e occupato, a politiche disegnate per uomini e donne, allora davvero potremo finalmente vedere attuati i diritti delle donne nell’ambito del lavoro”.
“Come Consigliere di Parità, singolarmente ed in Conferenza nazionale – prosegue Pipponzi -, abbiamo sempre promosso un lavoro dignitoso e di qualità, contrastando, verificando e monitorando – quali pubblici ufficiali – l’attuazione del principio di non discriminazione per donne e uomini, solo nel 2018 gli accessi per discriminazione presso gli Uffici delle Consigliere di Parità territoriali sono stati più 3000, ed in Basilicata nel 2019 oltre 200, soprattutto per problemi inerenti alla conciliazione, alla maternità ed alle molestie sessuali. Sono state promosse numerose iniziative per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, sostenendo il welfare aziendale e il work life balance nei luoghi di lavoro. E, tuttavia, con grande rammarico, ci accorgiamo che la strada dei diritti delle donne è ancora lunga e irta di ostacoli. Qual è il motivo? A giudicare dai dati dell’ultimo rapporto sul gender gap del World Economic Forum il problema non è tanto nella rappresentanza politica o nell’istruzione, quanto sulle opportunità e sulla partecipazione alla vita economica. L’Italia è, infatti, al 2° posto per divario di genere nell’occupazione (19,8%), dopo di noi solo Malta. Al gap occupazionale segue, naturalmente, anche gap retributivo. A venti mesi dal parto le donne percepiscono stabilmente il 12% in meno rispetto al reddito potenziale in assenza di un figlio, cifra che raddoppia per le donne senza contratto a tempo indeterminato. Dunque, il problema per una donna che vuole lavorare continua ad essere la gravidanza, la maternità e la conciliazione vita lavoro. Il gap occupazionale infatti aumenta se si considerano padri e madri occupate. L’Italia si trova al di sopra di quasi 10 punti (28,1%), rispetto alla media europea che è al 18,8%. Soprattutto le difficoltà incontrate sul lavoro portano le madri e a volte i padri a dimettersi dal lavoro. Nel corso dell’anno 2018 il numero complessivo di dimissioni e risoluzioni consensuali convalidate a livello nazionale è risultato pari a n. 49.451 (39.738 nel 2017 dato in crescita del 24%). Nel 2018 nella provincia di Potenza sono state consolidate 126 dimissioni, di cui 4 provenienti da padri. Nella provincia di Matera abbiamo avuto 187 convalide, di cui 21 da parte di uomini”.
“È necessario, dunque – aggiunge ancora la Consigliera regionale di parità – non limitarsi a chiedere un accesso al lavoro pari rispetto a quello maschile, mantenendo inalterato l’attuale modello economico e lavorativo, ma rivendicare per tutti, donne e uomini, un rovesciamento radicale del modello stesso. Un rovesciamento che superi la semplice conciliazione tra lavoro e cura e riconosca la profonda autenticità del ‘doppio sì’: ‘sì alla maternità e alla paternità, sì al lavoro’, di tutti i soggetti, come valore sociale universale. Il focus sulla conciliazione vita-lavoro diventa, perciò, il vero grimaldello per smontare pregiudizi, stereotipi, per migliorare occupazione e natalità, per prevenire discriminazioni sui luoghi di lavoro e dimissioni dal lavoro. Conciliazione che deve diventare, finalmente ‘condivisione’ nella coppia, diversamente le misure quali lo smart-working, finiranno per diventare vere trappole per le lavoratrici, come accaduto in questo periodo emergenziale”.
“Auspichiamo – conclude Pipponzi – la nascita un Nuovo Statuto delle Lavoratrici e dei Lavoratori che preveda almeno il diritto ad un lavoro dignitoso e privo di discriminazioni e molestie sessuali, il diritto alla condivisione ed all’equilibrio dei tempi ed il diritto ad una parità di trattamento di retribuzione”.