Giovanni Caserta in una nota ricorda il maestro di scuola elementare, poeta e scrittore Mario Serra, originario di Grassano, scomparso all’età di 88 anni. Di seguito la nota integrale.
E’ avvenuta in silenzio la scomparsa di Mario Serra, nato a Grassano nel 1934, figura riservata, meditabonda, dalle spalle curve, che si aggirava malinconico per le vie della città, contando sulla amicizia e sull’affetto di poche persone. Era nato a Grassano, da famiglia umile, trasferitasi a Matera. Mario aveva una grande passione: quella per i libri e per lo studio. Ad ogni incontro parlava delle sue ultime letture, dei suoi progressi in greco, materia che non aveva potuto studiare,perché Mario apparteneva al gruppo dei ragazzi volenterosi e capaci, desiderosi di emanciparsi, ma nella impossibilità di poter seguire le scuole che avrebbero voluto. Alcuni dovettero rinunziare alla scuola in assoluto. Su questo dramma sociale ed esistenziale, su tanta dolorosa problematica, si consiglia di leggereil bel romanzo di Maddalena Bonelli “A calci e morsi”, appena uscito, che, ambientato proprio a Grassano, segue le vicende di ragazzi del popolo, intorno agli anni Trenta del secolo scorso. vissuti tra strada e lavoro minorile,
Mario, come Maddalena Bonelli, poi laureatasi in medicina, si iscrisse al “Liceo dei poveri”, cioè all’Istituto Magistrale. Preso il diploma, non si fermò nella carriera di maestro elementare. Giunse infatti a rivestire il ruolo di direttore didattico, poi chiamato impropriamente “Dirigente”, che, nella funzione corrente, si occupa più di amministrazione che di didattica e pedagogia. Invece Mario faceva eccezione. Si occupava di didattica e di pedagogia, interessato all’infanzia, alla crescita dei bambini, all’uomo.
Ci occupammo di lui nella nostra “Storia della letteratura lucana”, a partire dalla sua prima raccolta di poesie (“Echi”,1956), che, già nel titolo, indicava una tendenza alla malinconia crepuscolare. Mario non alzava mai la voce, neanche quando aveva motivo per farlo. Era seguita a distanza di anni la raccolta di poesie (“La città dorme”, 1973)), che è una sconfortata rappresentazione di una città che egli avrebbe voluto sveglia, dinamica, attiva, come nell’immediato dopoguerra,quando essa, se non altro, aveva espresso una voglia di cambiare attraverso un collettiva lotta per la terra e per il risanamento dei Sassi. Né era mancato un gruppo di intellettuali aperti al nuovo, con cui Mario aveva avuto qualche rapporto. Era il cosiddetto “partito dei professori”. di Strammiello e Bruno, Nitti e Santospirito, Zagaria e Montesano, Bronzini e Guerricchio, Pasquale Franco e Nicola Serravezza, Enzo Contillo e Scardillo, Eustachio Tortorelli ed Emanuele Pizzilli.Operava l’ attiva casa editrice Montemurro. “Matera è morta – si legge tra le liriche del1973, / il vecchio cuore della città / non batte più”.
Sempre più Mario si chiudeva tra le sue letture e la sua scuola. Ai suoi ragazzi di scuola dedicava una graziosa raccolta di favole (“Favole”), che possono, qua e là, per la loro semplicità e leggerezza, ed “ésprit de finesse”, ricordare Gianni Rodari. Si era nel 1979. La città Mario continuava ad osservarla dalontano, con sentimento sempre più amaro.La vedeva contrapposta al mondo dell’infanzia. Gli adulti sempre più tradivano speranze e bisogni, abbandonandosi al trasformismo, all’arrivismo, alla presunzione e alla iattanza. Il suo bersaglio allora diventarono gruppi di sedicenti intellettuali, che, al mattino, facendo capannello, e magari disertando l’ufficio, giornale sotto il braccio, sottoponevano a dissacrante critica chi non era con loro. Venne il volume “Gente di Matera”,che suscitò forme di risentimento e rancore..
Negli anni successivi Mario scrisse anche due drammi, di cui uno dedicato a Isabella Morra, Note morali o moralistiche, intanto scriveva sul giornale sindacale della scuola (“ Insieme”). Di tanto in tanto pubblicava anche versi.
Andato in pensione, semplice d’animo qual era, inforcò la bicicletta. Un giorno sentimmo di una sua caduta. Solitario, abituato a camminare a passo svelto rasente i muri, non se ne vide più la figura e non sene sentì più il nome. Ne abbiamo sentito il nome, attraverso i parenti, in queste ore, in occasione della sua dipartita. In un’altra città avrebbe meritato di più. Ma bisognava entrare nel giro delle persone che anche oggi fanno capannello, s’abbarbicano a quelli che contano e raccolgono sponsorizzazioni. I suoi libri. finì col venderseli lui, in giro tra coloro che gli volevano bene e apprezzavano il suo incondizionato amore per la cultura, per lo studio e per una città che avrebbe voluto, e non ha visto. segnata dalla poesia e dalla bontà.