Si è spento all’età di 102 anni Donato Palumbo, Maresciallo Maggiore aiutante di campo dei Carabinieri ed ex combattente della seconda guerra mondiale, il ricordo di Nicola Marcantonio, Presidente Associazione Nazionale Combattenti e Reduci Sezione di Potenza.
Palazzo San Gervasio piange la scomparsa del Maresciallo Maggiore Aiutante Donato Palumbo, venuto a mancare ieri all’età di 102 anni. Nato il 18 giugno 1922 a Palazzo San Gervasio, Palumbo ha attraversato un secolo di storia italiana, dedicando la propria vita al Paese e all’Arma dei Carabinieri. La sua dedizione e i suoi valori di lealtà e sacrificio sono rimasti immutati, anche nei momenti più bui, come quelli affrontati durante la Seconda Guerra Mondiale.
Arruolatosi nei Granatieri di Sardegna a soli 19 anni, Palumbo fu presto chiamato alle armi nel vortice del conflitto mondiale. Il 15 marzo 1943, mentre le ostilità infuriavano, decise di passare nell’Arma dei Carabinieri come ausiliario, una scelta che avrebbe segnato per sempre il suo percorso umano e professionale. Poco dopo, fu inviato in Grecia, dove prestò servizio in una caserma insieme all’esercito italiano.
L’8 settembre 1943, dopo l’arresto di Mussolini e l’armistizio, la situazione divenne caotica. Pietro Badoglio, nonostante tutto, ordinò di resistere agli attacchi.
In un’intervista rilasciata recentemente al Cavaliere Mario Saluzzi, Palumbo ha ripercorso quegli anni drammatici con lucidità e umanità. “Inizialmente – raccontava – non volevamo arrenderci, ma poi per la fame cedemmo e finimmo prigionieri”. Fui catturato dai tedeschi e deportato in Germania, in un campo di concentramento che ospitava circa 25.000 prigionieri. Fui messo a lavorare come “chimico” nella grande fabbrica tedesca di Merseburg, che si occupava della produzione di materiali bellici, dallo zolfo per i proiettili fino ai componenti di aerei, produceva dallo zolfo per i proiettili a diversi pezzi di aerei, riuscii a stabilire un rapporto di reciproco rispetto con il direttore cattolico dello stabilimento”.
La sua prigionia durò fino al 1945, quando fu caricato su un treno che avrebbe dovuto riportarlo in Italia. Tuttavia, il viaggio si interruppe bruscamente a Skopje, in Macedonia, dove una giovane ringara gli disse che il convoglio era diretto verso la Jugoslavia, nazione ancora in guerra. Palumbo decise di fuggire e trovò rifugio presso una famiglia locale che produceva medicinali alternativi e dove sviluppò anche una simpatia reciproca con una delle figlie. Al termine della guerra, dopo la definizione della linea di demarcazione, senza rendersene conto, si ritrovò nella zona occupata dalle forze sovietiche anziché dagli Alleati. Nonostante i russi gli avessero intimato di lasciare l’area, egli ignorò l’ordine, e per questo motivo fu catturato e portato in una prigione di fortuna.
Riuscì nuovamente a fuggire, seguendo la corrente del fiume Oden che lo portò a un ponte sorvegliato: da un lato, un soldato russo, dall’altro un soldato americano. Il russo gli impediva di passare, ma il soldato americano, udendo il suo accento meridionale, lo riconobbe come “paesano” – era infatti originario di Sant’Andrea di Conza. Grazie a un accordo tra i due soldati, Palumbo poté attraversare il ponte e fu nascosto su un camion diretto in Italia. Dopo un lungo e rischioso viaggio notturno, raggiunse Innsbruck e, successivamente, il Nord Italia, dove fu interrogato per verificare che non avesse collaborato con i nazisti. Ricevuta una licenza di 60 giorni, rientrò finalmente a Palazzo S.Gervasio con l’obbligo di presentarsi al Distretto Militare di Potenza.
Alla fine del 1945, dal Presidio militare di Potenza fu inviato a Bari, che era la sede della Legione Carabinieri della zona greco-albanese. Nel 1946, diventato effettivo, partecipò al corso per allievi sottufficiali a Firenze, completando la formazione che lo avrebbe portato a una lunga carriera nell’Arma. Dopo vari incarichi tra Bari e Corato, nel 1964 fu trasferito a Roma, dove prestò servizio al Senato della Repubblica e alla Segreteria speciale della Presidenza del Consiglio dei Ministri fino al suo congedo nel 1988.
Per i suoi colleghi e per i giovani militari, Palumbo era un punto di riferimento di rettitudine e sacrificio. A Palazzo San Gervasio, la sua figura è rimasta simbolo di valori autentici: pur in congedo, non ha mai smesso di offrire consigli e sostegno alla comunità che tanto amava.
I funerali si sono svolti questa mattina alla presenza dei familiari, degli amici, dei rappresentanti dell’Arma e dei concittadini, che si sono stretti per dare l’ultimo saluto a un uomo che ha rappresentato l’integrità e la dedizione al servizio. Con la scomparsa di Donato Palumbo, si chiude una pagina di storia vissuta con coraggio, il cui ricordo rimarrà come esempio per le future generazioni.