In una lettera aperta inviata al sindaco di Matera Raffaello De Ruggieri, l’onorevole Vincenzo Viti sollecita un intervento per riportare ad una condizione di ordinario decoro il monumento ad Alcide De Gasperi nel quartiere Spine Bianche. Di seguito la nota integrale.
Signor Sindaco,
credo sia giunto il momento di riproporre in termini aggiornati, pur senza dimenticare le diversità di opinione emerse in passato,una questione di civiltà e di dignità, una questione di valore più forte e impegnativa delle tante urgenze, tutte legittime, che affliggono una comunità alle prese con una sfida straordinaria, seppure gravata da deficit che occorre colmare.
Posi qualche anno fa, ma ci sono tornato più volte, il tema di come recuperare ad una condizione di ordinario decoro il monumento a De Gasperi cui lavorò il noto e apprezzato scultore trentino Winkler. Opera sostenuta con atti di liberalità cui concorsero in tanti fra noi,condividendo l’appello di Mario Salerno,un materano particolarmente sensibile.
Il Monumento significò il gesto di gratitudine di quanti (i tanti di allora) intesero ricordare l’impresa dello Statista trentino, un grande euroitaliano, nella progettazione e gestione del tema della condizione umana e civile degli abitanti dei Sassi (all’ epoca 15 mila) cui aveva già rivolto lo sguardo severo Palmiro Togliatti, autore di quel “topos” della ‘vergogna’ che avrebbe rappresentato uno degli stimoli più efficaci all’impegno che De Gasperi avrebbe onorato con le prime leggi finalizzate ad aggredire i temi della promiscuità’, e della bonifica e della miseria mediante il trasferimento degli abitanti dai Sassi ,un esodo tutt’altro che “armeno”, e la realizzazione della Matera moderna attraverso i quartieri progettati dalla migliore urbanistica italiana.
Fu così che i Sassi “finanziarono” la città accrescendo un loro “credito di attesa” durato oltre trent’anni finché la 771 del 1986, che porta, con quella di Colombo, la mia firma,cui vennero associate le proposte sottoscritte da altri colleghi materani ,non affronto’ con singolare modernità il tema della tutela mediante il loro recupero e la loro rivitalizzazione.
Il Monumento a De Gasperi volle essere un gesto rivolto alla sensibilità di un grande uomo di Stato sul quale si ritrovano universali motivi di apprezzamento, così come è fatale debba accadere per Emilio Colombo,una volta sottratto agli esorcismi incolti e primordiali che spesso accompagnano storie complesse e significative.
La statua di Winkler venne sistemata ai bordi del quartiere di Spine Bianche, testimonianza quasi pedagogica di uno dei segni lasciati da una importante legiferazione sociale. Ma visse in una progressiva condizione di abbandono. Non un lume, non una iscrizione, non un fiore. Cinquant’anni di solitudine. Ci vorrebbe un Marquez per raccontare il surreale destino di quella favolosa Macondo che Matera sarebbe poi diventata,con il riconoscimento europeo mezzo secolo dopo. Un riconoscimento “a trazione anteriore” che dovrebbe ascriversi a quel compendio di storia, genio popolare, qualità civile,cultura e intelligenza istituzionale che hanno concorso a promuovere Matera, con le sue virtù e le sue doti genetiche più forti di qualsiasi artificio.
Tentai perciò di porre la questione del recupero del Monumento ad una migliore condizione. Mi collegai agli eredi di Wilnkler ed agli amici del Trentino, interessati allora come oggi al gemellaggio con Matera e con la Basilicata. Tentai di organizzare un ‘revival’ che valesse a recuperare pagine di storia su cui una diffusa smemoratezza combinata con una operosa indifferenza aveva seminato una spessa coltre di polvere. Al punto che credo nessuno si ponesse ormai il problema (o la mera curiosità) di chi fosse quell’austero signore che occupava la nuda aiuola di Spine Bianche con il viso assorto in pensieri severi e con l’indice rivolto verso un resort alberghiero di via Nazionale.
Mi era stata prospettata una iniziativa della Scaletta promossa da Michele de Ruggieri quando ero nel Governo regionale guidato da De Filippo: si trattava di un progetto decoroso che prevedeva la illuminazione della statua, la iscrizione di qualche data evocativa e il recupero di una piccola area da destinare a giardino. Una commendevole azione di economia domestica non priva di scrupolo morale e di memoria civile, un ‘maquillage’ da città accogliente.
Scrissi a Maria Romana Catti, splendida erede dello Statista e testimone della sua straordinaria sensibilità, preannunciandole l’organizzazione di una Giornata che ricordasse il padre e ne ricevetti una cordialissima lettera di adesione e di gratitudine. Ma tutto si fermò, in una città sospesa, trattenuta dalle fratture prodotte dai cicli e dalle euforie di una storia civile e politica che aveva dissolto partiti, culture, tradizioni e memorie del sottosuolo e del soprassuolo.
Una condizione di surrealta’ che dura tuttora. E che riscontro ogni volta che propongo di considerare la proposta che lanciai e che mi permetto di rinnovare: perché non trasferire la scultura di De Gasperi in una delle piazze centrali dei Sassi che guardano dal basso la città del piano? Nel luogo da cui parti’ la rivoluzione sociale morale e politica cui guardarono Togliatti, il Presidente trentino e la migliore classe dirigente del Paese di ogni latitudine ideale?
Un’operazione che avrebbe il significato di riportare De Gasperi nel cuore di quell’ ordito del genio contadino, universalmente acquisito alla umanità, che oltre a finanziare la città nuova la impegno’ in una feconda stagione di riflessione e la situo’ al centro della ricerca sociale e del dibattito politico e culturale in Italia e nel mondo.
Soggiungo che, accanto alla Statua dello Statista avrei immaginato la apposizione di una targa che ricordasse il viaggio di Togliatti, per il potere evocativo che ebbe e per il contributo che offri’ alla scoperta della “questione sociale materana”. Il Pantheon non avrebbe potuto ignorare Olivetti con il suo umanesimo illuminato, né gli uomini di stato e gli eroi della cultura di una città chiamata a riprendersi la sua storia ed a ripercorrerla per non smarrire il senso della sua identità e della sua durata ( nella Fondazione Sassi?).
Signor Sindaco,
è un pensiero che coltivo con ostinazione. Spero meriti una attenzione non episodica sopravvivendo alla triste consuetudine di un costume che consuma tutto rapidamente. Soprattutto mi auguro che esso sfugga al richiamo ipocrita ad una sua leggerezza o futilita’ in una città “febbrilmente” in corsa verso approdi magnifici e progressivi ( fra i tanti vissuti in questi ultimi anni).
Non si tratta di procedere come la Vittoria di Nike, senza testa e senza braccia, ma di spingere lo sguardo in avanti : verso un orizzonte nel quale è inesorabilmente iscritto il profilo di giganti che hanno fatto la storia che fingiamo di conoscere.
Si può e si deve operare sapendo chi eravamo, chi siamo e chi ci proponiamo di essere. Profezia rischiosa, viste le circostanze.
So bene che il trasferimento di un monumento così impegnativo si carichi di significati simbolici. Ma il paradosso è che possa adontarsene la città del piano che ha finora brillato per indifferenza!
Ma non è dai Sassi che è partita la Grande Avventura, figlia della Grande Bellezza? È questa la domanda che continuo a porre.
Se questo è vero, non limitarti a sentire il Consiglio Comunale (atto comunque significativo e doveroso). Ascolta la città, inaugura un sito, rimetti in fila passato e futuro,riannoda una storia che va riscoperta e “riconosciuta”. Infine poni la “questione”: dov’è giusto posizionare un monumento così significativo, perché chiami ad una resa dei conti con la verità storica, e con i doveri che da essa conseguono, una comunità che ha urgenza di alzare la testa, risalendo la città dal fondo, dal suo inizio primordiale? Prima che ogni residua ambizione ripieghi nella mediocrità del tempo che stiamo attraversando.
Vincenzo Viti