100 giorni di guerra Ucraina-Russia, Basilio Gavazzeni: “Mentre vige l’arbitrio del più forte….”.Di seguito la nota integrale.
Da cento giorni
Non cessa il fuoco sugli ucraini che indietreggiano contrattaccando. Ormai è chiaro che Putin non contava sulla guerra lampo quanto invece sulle mani legate agli Stati Uniti e alla NATO dal diritto internazionale. I suoi portavoce trucibaldi riversano menzogne su menzogne nei nostri talk. Tranne gli inviati al fronte e gli esperti di tattica militare, i nostri opinionisti infuriano l’uno contro l’altro in uno psittacismo che non sopportiamo più. Non hanno la scelta che del nero. Dio è dietro a tutto, ma tutto nasconde Dio, direbbe Victor Hugo.
L’oscurità dei combattimenti di posizione
Sono sicuro che negli scaffali dei buoni lettori è presente Niente di nuovo sul fronte occidentale, il romanzo che nel 1929 rese celebre lo scrittore tedesco Erich Maria Remarque. Pubblicato in Italia nel 1955, alcuni suoi brani trovavano ospitalità nelle antologie più impegnate per le medie. Nel 1979 Delbert Mann ne girò la trasposizione per la TV, ma già nel 1930 Lewis Milestone l’aveva portato sullo schermo. La guerra di posizione vi è descritta da un soldato di leva passato con i coetanei dalla scuola alla battaglia fra granate e attacchi col gas. Il protagonista muore un giorno d’ottobre del 1918, mentre il bollettino di guerra comunica semplicemente “dall’ovest nulla da segnalare”. Atto di accusa contro la guerra e lo sciovinismo, nel 1993 il romanzo fu proibito e dato alle fiamme dai nazional-socialisti, mentre Nelle tempeste d’acciaio di Ernst Jünger (1920) alimentò la mitografia del guerriero tedesco.
Gli infanti e la guerra
Nessuno ha dimenticato una scena d’inizio guerra in cui un infante, slanciandosi dal petto della madre, mulinava i pugnetti contro l’elmo del padre in uniforme. Impossibile non ricordare l’incontro di Andromaca e Astianatte con Ettore alle porte Scee di Troia, nel libro VI 466-484 dell’Iliade. La sposa porge all’eroe il figlioletto che si ritrae spaventato alla vista del suo bronzo e del cimiero crinito. Il bambino di Troia e quello ucraino fiutano egualmente l’orrore della guerra sotto il travestimento che impone ai combattenti.
Giustizia esige
Da ragazzi eravamo tutti per l’umano e soccombente Ettore contro il fatato e diro Achille. Ci esaltavamo a recitare gli ultimi quattro versi dei Sepolcri: E tu onore di pianti, Ettore, avrai/ ove fia santo e lagrimato il sangue/ per la patria versato, e finché il Sole/ risplenderà su le sciagure umane. Cresciuti, abbiamo capito che i pianti non consolano e la gloria non riscalda né i caduti per le migliori cause né gli innocenti dilaniati dalle guerre. Davanti alle fosse non possiamo aderire al predicozzo materialista del brechtiano Canto notturno di Lucifero: Morite con tutte le bestie/e non c’è niente dopo. Nello stesso tempo ci pare illusorio sostenere che vivranno nella memoria dell’umanità. Realisti, riconosciamo che l’oblio erode le nostre celluline grigie e divora le generazioni. Giustizia esige che Dio esista a rimborsare i martiri sia aureolati di gloria sia anonimi. Non è tanto la punizione divina per i prevaricatori che invochiamo, quanto il risarcimento perfetto per i giusti e gli innocenti, cosa possibile solo a Dio.
Davanti ai mali altrui
Gustave Thibon distingueva tra sofferenza necessaria e sofferenza inutile. Simone Weil apprezzava che il filosofo paysan rilevasse la purezza più grande del dolore fisico, mentre trattava almeno con ironia certi dolori che tendiamo a collezionare ed esagerare. In verità, il dolore fisico è più puro perché assalta chiunque, a prescindere dalla qualità della sua persona. Fra le sofferenze dell’anima Thibon contrapponeva quelle collegate all’io a quelle in cui l’io è assente. Le prime sono impure. Magari non ci manca nulla, tuttavia ci crogioliamo in dispiaceri bagatellari, per un’invidia, un riconoscimento negato, una manciata di soldi, una discussione, diventando artefici della nostra infelicità. Le seconde sono, per esempio, la perdita di una persona cara, la compassione per gli sventurati, gli spettacolari disastri del mondo. Di rado sono le più trafiggenti perché François de La Rochefoucauld osservava: Abbiamo abbastanza forza per sopportare i mali degli altri. È duro confessarlo, ma è così. Questo, se si riflette, ci separa abissalmente dalla catastrofe senza uscita del popolo ucraino.
L’imparzialità nell’Iliade
La giustizia, questa fuggitiva dal campo dei vincitori, constatava amaramente Simone Weil che aveva partecipato alla guerra di Spagna e aveva davanti le atrocità della Seconda guerra mondiale. Evocava, invece, con ammirazione che nell’Iliade la stessa luce e la stessa pietà accarezzano i vinti e i vincitori. Come se Omero non scegliesse fra i due campi di battaglia. Anche chi legge Tucidide non riesce a capire a quale campo lo storico appartenga. Tanta imparzialità, per Simone Wiel, aveva qualcosa di soprannaturale. Oggi, di fronte al conflitto che ci travaglia, ciò non sembra praticabile.