Si è spento Giovanni Russo, politico lucano definito l’ultimo dei Meridionalisti. Di seguito il ricordo del materano Vincenzo Viti.
Non so se Giovanni Russo (Giovannino per noi), che ieri ci ha lasciato, possa essere definito “l’ultimo dei Meridionalisti”. Certo è stato un meridionalista militante,un osservatore acuto e dolente della nostra condizione , uno scrittore curioso, felpato ed elegante ispirato dal garbato azionismo che ha rischiarato di bagliori e di insolenti verità il paesaggio di un Sud diviso( ma al fondo unito nel suo dualismo civile) fra Baroni e Contadini.
La”scoperta” del Sud fu in Giovannino una ferita aperta,un grumo sociale e morale, propiziata
dalla lettura di Levi e del suo “Cristo”, nel quale tuttavia seppe distinguere fra fascinazione estetica e denuncia sociale. Sottraendosi così alle insorgenti mitologie letterarie e rendendo e omaggio alla verità del mondo leviano.
Apprese così la minorita’ del mondo contadino ma la coniugo’ con la forza di valori che erano stati, pur in una realtà drammatica, “serventi” e complementari : una finestra aperta sul mondo di sotto ( per alcuni aspetti, mondo di sopra, letteratura e poesia) perché se ne intendesse il cielo che lo sovrastava.
Fu uomo di grandi battaglie culturali e civili. Contro le “cattedrali” in nome di un territorio deindustrializzato e desertificato che egli leggeva carico di energie e di microcosmi,di risorse e di competenze pur allo stato virtuale.
Ma difetto’ in lui l’idea che quella delle cattedrali potesse essere un modo per collegare il Sud al mondo delle grandi filiere nazionali e globali e dei grandi mercati. La Svimez ( Giannola, in un recente contributo) ha dimostrato come il modello fosse mal gestito e praticamente svuotato delle implicazioni che un processo coordinato avrebbe potuto indurre su un territorio da organizzare e riorientare.
Sul terremoto in Irpinia e Basilicata svelo’ inganni e miserie,errori, arroganze burocratiche e clientele che avrebbero penalizzato, come racconto’, “i Figli del Sud” e “l’Italia dei poveri”. Ma poi difese il Mezzogiorno dalla maledizione lombrosiana,dal pregiudizio mortififero che avrebbe condannato i meridionali ad una lunga e dolorosa souplesse alle porte dello sviluppo. Fu sostenitore intransigente dell’unità del Paese,della sua infrangibile verità storica e morale come si conviene ad un interprete coerente della grande lezione dei Meridionalisti : doversi il Sud fare Stato,attraverso una coraggiosa pedagogia civile alimentata, anche ed utilmente, dalla prosa crudele di un osservatore pessimista nell’intelligenza e fondamentalmente ottimista nella volontà. Un impasto di realismo intriso di preveggenza e di insospettabile leggerezza. Se si pensa al suo sodalizio con Flaiano ed allo sguardo sornione disteso su quell’Italia “felliniana”, un po’ sogno un po’ malinconia.
Vincenzo Viti