Giovanni Barozzino, senatore di Sinistra Italiana, esprime alcune riflessioni dopo la sua “non candidatura” in Liberi e Uguali. Di seguito la nota integrale inviata alla nostra redazione.
Tante sono le notizie apparse sui giornali in questi giorni sul tema della mia non candidatura in Leu. Forse è arrivato il momento in cui io dica la mia. Per il necessario e dovuto rispetto del lavoro di tante e tanti, ho voluto aspettare che le liste fossero chiuse e ufficiali. Il momento della mia verità, una volta per tutte, è questo. Dopo di che il discorso – per ciò che mi riguarda – è chiuso.
Già da tempo avevo aperto una riflessione prima personale e poi con i compagni a me vicini sulla possibilità di rientrare in fabbrica. In quel luogo in cui – dopo gli anni in cui ho avuto l’onore e l’onere di rappresentare il mio partito (SeL) in una delle Camere del Parlamento – avevo maturato quasi un bisogno ‘fisico’ di ritornare a fare politica dal basso, lì dove è sempre battuto il mio cuore. Ovviamente quando parlo di un ‘basso’ non penso ad altre direzioni politiche che non siano quelle delle ragioni della sinistra: io sono e rimango un uomo di sinistra. Ritornare per fare in modo che non un operaio soltanto quasi come una inutile “mosca bianca” – ma gli operai tutti – possano tornare nel parlamento come protagonisti perché la politica torni ad occuparsi degli interessi dei lavoratori innanzitutto.
Dopo un lungo dibattito – e tante riunioni interne al mio partito – ho capito che non poteva essere una decisione ‘privata’ perché dietro il mio mandato vi erano compagne e compagni che, nel 2013, avevano indicato la mia candidatura promuovendone la elezione.
Per me, al centro di ogni azione, è stata sempre presente l’idea che in questo Paese ci fosse la necessità di un’autoriforma profonda della politica che, nel tentativo di ridurre l’enorme distanza prodottasi tra gruppi dirigenti e rappresentati, provasse a ricostruire una sinistra capace di rimettere al centro la dignità del lavoro e, con essa, quella delle persone. Per questa ragione, secondo me, bisognava – e bisogna – cancellare le peggiori leggi antipopolari: dal ‘Pacchetto Treu’ alla cosiddetta Legge Biagi sul lavoro, passando per la riforma Fornero, e fino al ‘capolavoro’ del Jobs Act; tutte leggi attraverso cui abbiamo assistito a uno stillicidio consumato sulla pelle di coloro che disponevano solo del proprio lavoro.
Questo è lo spirito con cui ho sempre fatto politica e con cui continuerò a farla, perché la politica non deve essere mai fatta solo di parole ma anche di fatti, sottraendola così alle tentazioni elettoralistiche. Solo in questa visione avevo dato la mia disponibilità a una candidatura, la quale non doveva e non poteva essere altro che l’immagine di quanto da me svolto in questi anni: legge contro gli omicidi sul lavoro; legge sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro (visto che oggi gli operai non hanno nemmeno un luogo in cui decidere realmente sulla contrattazione); istituzione commissione infortuni sul lavoro; lotta al precariato (male assoluto di questo tempo) difesa del territorio e dell’ambiente dall’aggressione di multinazionali senza scrupoli.
Purtroppo ad agire non è stata la politica, ma gli interessi di parte e di qualcuno che ha inteso il progetto come un viatico personale: questo è il senso della proposta avanzatami circa un terzo posto “utile” differito nel tempo, con l’unico intento di ipotecare improbabili e improponibili scenari futuri (le elezioni regionali). La dignità di chi, come me, è abituato a lottare nel proprio luogo di lavoro tenendo testa a un padronato famelico non mi consente di accettare questa ennesima morte della politica. Soprattutto non potevo accettare questi giochi da chi, in questi anni, non sempre ha avuto un atteggiamento coerente contro quelle politiche che hanno contribuito a rendere più ingiusto e diseguale questo Paese. Da domani sarò lì dove ho imparato che la politica non può sempre essere gioco di tattica, ma anche un processo di cura della dignità delle persone.