Basilio Gavazzeni: “Il cittadino e il diritto alla speranza attiva”. Di seguito la nota integrale.
Come è lontano il tempo in cui lo Stato si imponeva come un idolo cui gli individui dovevano offrire in sacrificio perfino sé stessi! Alla nostra Repubblica una Costituzione laureata ingiunge, invece, di funzionare in maniera che ogni individuo possa trarre da sé il massimo di umanità e ciò che di più specifico lo accompagna per il bene di tutti. È fuor di luogo il sospetto che la democrazia conservi qualche tratto del Leviatano descritto da Hobbes, nonostante si rilevino le intemperanze di certa giustizia, lo straripamento fiscale e si additi, come controprova, la sfiducia nei confronti della politica che convince non pochi italiani ad astenersi dalle urne. Ma come non meditare sulla collettiva insipienza di un Paese come la Russia cui l’assuefazione alla tirannia dècima i figli e le risorse in una guerra insensata! Come non ringraziare Dio e i martiri della nostra Storia che ci hanno lasciato in eredità una nazione in cui vige una sicura democrazia! Purtroppo, oggi, dobbiamo convenire che l’Italia, come del resto l’Europa, è dominata dalla stanchezza e dalla paura. Troppe le distrette che si trova ad affrontare, dalla drastica riduzione della natalità all’esploso debito pubblico, dalla ricorrente inclemenza della natura al tormentoso problema degli immigrati e alla costosa contingenza di una guerra altrui che ci riguarda. È tempo, allora, di riaffermare il diritto e il dovere alla speranza attiva. Se ciò necessita a ogni italiano e a ogni angolo dello Stivale, è perciò necessario che anche ognuno di noi e la nostra città rechino allo scopo comune la monetina della condivisione. Può illuderci subito l’abitudine a delegare la faccenda all’Amministrazione del Comune e alle altre consimili, da cui il popolo pretende sempre molto, mentre con il chiacchiericcio inesausto le seppellisce come accolte di persone mosse dal “particulare” e perfino disutili. Gli si addebitano le infedeltà alle promesse elettorali, la trascuratezza di alcune parti del territorio, in particolare delle periferie, la carenza di controlli complice dell’inefficienza, la distrazione di risorse da obiettivi di sostanza per prendersi cura di quelli accidentali, anche futili, ma spettacolosi, l’accresciuta macchinosità della burocrazia, il presenzialismo decorativo in una socialità che procederebbe anche di motuproprio e, infine, la sempiterna disattenzione ai bisogni del singolo cittadino, in particolare dei più disagiati ecc. ecc. È sempre il Sindaco il capro espiatorio. Inutile spiegare alla gente che, povero Cristo transeunte, non può provvedere a ogni cosa, è inviluppato da mille vincoli, dispone di una coperta sempre più corta. “Sono tutti uguali”: mi giungeva a una tavola di Ferragosto la sentenza che da decenni tomba come una pietra sepolcrale su ogni Amministrazione. Senza dubbio il cittadino ha occhi attrezzati per avere le misure del suo ambiente vitale, ma, ahinoi! pure agiti da accesi onirismi di varia provenienza. Perché tanta esaltata lucidità discende così di rado in una disinteressata e umile prassi di partecipazione? Il cittadino è o, forse, si sente troppo debole e disarticolato per schierare in campo le potenzialità che trattiene? Certo non basta avere la testa sulle spalle e il cuore in petto per congegnarli in vista della realizzazione di sé e della prossimità agli altri. Non basta che il cittadino di tanto in tanto, più o meno alla cieca, consenta a vaghi programmi e a spurie sollecitazioni. Gli occorrono una coscienza e una volontà allenate. Ieri si affidava a manifesti, propagande, giornali e canali televisivi. Nei casi peggiori vendeva addirittura il consenso. Oggi è frastornato alunno e talora vanesia marionetta dell’infosfera. Ma non c’è libertà quando non c’è concreto esercizio, tanto continuo quanto possibile, assecondato da un sentimento tanto esteso quanto possibile della responsabilità e dell’onore. È libero solo il cittadino che impara a esserlo, e non si impara a esserlo se non con l’esercizio. Il vero cittadino non deve soltanto pretendere giustizia e di poter assicurare a sé e alla famiglia dignitose condizioni di sussistenza, deve rivendicare il diritto ad agire, ad adoperare le sue facoltà in vista di un fine superiore, anzi il diritto a sentirsi non solo utile ma necessario, essendo detentore di un bene che è capace di rendere ai concittadini. L’io e il noi sono reciprocamente funzionali nella tensione all’interesse generale. Presto incederà l’autunno, la stagione per la quale, già da agosto, i media sono soliti presagire tempeste di negatività. Comunque, qualsiasi cosa accadrà, insieme, non potremo rinunciare al diritto alla speranza attiva.