Maurizio Bolognetti, Segretario di Radicali Lucani, membro del Consiglio generale del Partito Radicale (in sciopero della fame dalle ore 23.59 del 22 marzo): “China files, Italy Files, ovvero tra narrazioni e accuse di disfattismo al tempo del Covid-19”. Di seguito la nota integrale.
La verità è che il virus, che in questo momento sta mietendo vittime nel mondo intero e che sta provocando una crisi socio-economica di tale portata da indurre a far paragoni con la seconda guerra mondiale, viene accompagnato da altri “virus” non meno perniciosi.
Nelle scorse ore, quelli di “China files” dalle pagine del loro sito, ricco di informazioni che è difficile reperire altrove, scrivevano: “Il processo di riscrittura della storia dell’epidemia come “trionfo del modello politico cinese” non si arresta. Giorno dopo giorno si aggiungono sempre più dettagli delle nuove narrazioni che il Partito promuove al duplice scopo di glorificare il suo operato e obliterare le sue mancanze nella gestione delle fasi iniziali della crisi. Per ironia della sorte, anche al dott. Li Wenliang – primo a dare l’allarme per casi sospetti di polmonite, e per questo redarguito dalle autorità con l’accusa di diffusione di informazioni false – è toccato l’inquadramento postumo tra le fila del Partito”.
Volendo tracciare un parallelo, si potrebbe affermare che qualcosa di simile sta avvenendo anche in Italia, con la differenza che da noi il trionfo è quello di Giuseppe Conte e Luigi di Maio accompagnati dalla regia di Casalino.
Potreste obiettare che da noi nessun medico è stato imbavagliato e costretto a ritrattare, ma è altrettanto vero che medici e infermieri son stati mandati a combattere sul fronte russo dotati di stivali di cartone e che adesso si da la stura alla retorica dell’eroe.
Potreste altresì farmi notare che, a differenza di quel che è accaduto in Cina, in Italia nessun giornalista è stato arrestato. Vero. Ma anche dalle nostre parti chi prova a rompere il clima di conformismo da emergenza sanitaria, se non diventa nemico del popolo poco ci manca e come minimo finisce per beccarsi una qualche accusa di disfattismo.
È in stato avanzato di compimento una operazione tesa a manipolare e a riscrivere i fatti, per vendere al popolo confinato la favoletta del buon governo, che ha salvato gli italiani nonostante qualche cittadino irresponsabile.
Propaganda di regime e nel regime, in cui il dramma viene utilizzato per guadagnare immeritati consensi e si prova a far dimenticare errori, ritardi e approssimazioni, che di certo son costati la vita a centinaia di persone, inclusi medici, infermieri, poliziotti penitenziari, tutori dell’ordine e detenuti.
Nel mentre c’è chi specula sulle mascherine e, di tanto in tanto, veniamo raggiunti dalla notizia della chiusura di ospedali o reparti di ospedali.
Quanto a parlare del luogo da cui è partita questa pandemia, c’è da prendere atto che il tentativo di far emergere le patenti responsabilità del regime di Pechino naufraga puntualmente contro un muro di gomma e di silenzi complici e omertosi.
Tira davvero una brutta aria e non solo in Italia, se consideriamo quanto sta avvenendo in Ungheria e quel che ci aspetta dopo la cosiddetta prima fase.
Per fortuna il nostro premier, in odore di beatificazione e in predicato di ricevere il Nobel per la faccia di bronzo, continua a pensare al suo popolo e, qualche sera fa, ha manifestato la geniale idea di inserire in Costituzione il diritto a internet. Avrei voluto rispondergli: Caro padre Giuseppe, perché non inseriamo anche il diritto a lavarsi i denti?
Purtroppo, i comuni mortali come me non riescono ad avere le geniali intuizioni del nostro Presidente del Consiglio e si accontenterebbero di poter vivere in un Paese che rispettasse il suo dettato costituzionale ad iniziare dagli articoli 32, 27, 111 e 49.
Diritto ad internet? Si, vabbè, qualche mega in più potrebbe farci comodo e potrebbe farci comodo anche una fibra ottica che non si fermasse davanti alla porta di casa; ma la verità è che potrebbe farci altrettanto comodo una interruzione del reiterato attentato ai diritti politici dei cittadini di questo Paese.
Il nostro Ministro degli Esteri, Luigi Di Ma(i)o Tse Tung, nel novembre del 2019, subito dopo aver donato la maglietta della nazionale italiana di calcio a Xi Jinping, ebbe a rispondere con un lapidario “Non voglio interferire nelle questioni altrui” a un giornalista impertinente, che aveva osato rompere il clima idilliaco chiedendogli di quel che stava accadendo ad Hong Kong.
É la maledetta realpolitik, baby.
Lo stesso di Maio, pochi giorni fa (25 marzo), è riuscito a far saltare i nervi anche a quelli del Pd, quando, assumendo le sembianze di plenipotenziario del Partito-Stato cinese, ha dichiarato che grazie all’amicizia coltivata con la Cina avremmo salvato tante vite.
Punti di vista, verrebbe da dire.
Punti di vista che probabilmente non condividerebbero quelli della Henry Jackson Society, che in un recente rapporto affermano che la patente violazione da parte della Cina degli articoli 6 e 7 del Regolamento sanitario internazionale ha “permesso all’epidemia di diffondersi rapidamente fuori da Wuhan”.
Nel sopracitato rapporto la Cina viene accusata di aver fornito errate informazioni sul numero di infezioni nel periodo 2 gennaio-11 gennaio e di aver consentito a 5 milioni di cinesi di lasciare Wuhan prima che, il 23 gennaio, venisse imposto il blocco.
Nei verbali del gruppo di consulenza scientifica del Regno Unito si riferisce inoltre di uno studio della università di Southampton nel quale si afferma che “se tre settimane prima fossero state introdotte severe misure di quarantena, la diffusione della malattia si sarebbe ridotta del 95% circa”.
Stretto tra China files e Italy files, compresso e soffocato da verità di regime, lunari narrazioni e dall’avvilente spettacolo offerto da questa Europa, non posso che continuare a dar corpo a un dato di resilienza, di lotta e di resistenza; non posso non continuare ad alimentare la mia fame di democrazia, giustizia, diritti umani, la mia fame di verità.
Nel farlo tocca chiedersi anche come mai l’OMS non abbia raccolto l’allarme lanciato dal governo di Taiwan il 31 dicembre 2019. Taiwan, gioverà ricordarlo, è tutt’ora esclusa dall’OMS per questioni che nulla hanno a che fare con la tutela della salute.
Sì, il mio sciopero della fame prosegue e prosegue ad oltranza. Prosegue per sollecitare il Ministro di Maio, e non solo lui, a chiedere la liberazione dei giornalisti cinesi arrestati dal Regime di Xi, perché colpevoli di aver voluto onorare il diritto alla conoscenza. Prosegue a fianco del Partito Radicale, per chiedere un ampio provvedimento di grazia che contribuisca a rendere le nostre carceri luoghi meno indegni dell’art. 27 della Costituzione. Prosegue per chiedere che si onori l’art. 32 del dettato costituzionale. Prosegue per e a fianco della comunità penitenziaria, ad iniziare dalla Polizia Penitenziaria. Prosegue per chiedere che si ripristini in pieno l’agibilità democratica del nostro Parlamento. Prosegue per dire stop all’attento ai diritti politici dei cittadini italiani e sì al diritto umano alla conoscenza.
Viviamo un momento difficile ed è questo il momento non di fare un passo indietro, ma dieci in avanti. Per parte mia son disposto anche a soffiare per far viaggiare la scialuppa del diritto, dei diritti umani, della democrazia. Non vorrei svegliarmi domani e accorgermi che il topo della peste, che continuiamo a non vedere, ha inghiottito diritti e libertà, giustizia e libertà.