Vito Piepoli ha inviato una nota per celebrare i cento anni dell’appello di Don Luigi Sturzo. Di seguito la nota integrale inviata alla nostra redazione.
Il Partito Popolare Italiano (PPI) è stato un partito politico, nato il 18 gennaio 1919, di cui ricorre il centenario. Il PPI rappresentò per i cattolici italiani il ritorno organizzato alla vita politica attiva dopo lunghi decenni di assenza a causa del “ Non Expedit”.
Dal 1919 al 1923 don Luigi Sturzo fu segretario nazionale, a cui segui Alcide De Gasperi dal 1924 al 1925. La sua dissoluzione si ebbe nel novembre 1926. Tutti i maggiori esponenti furono costretti all’esilio (don Sturzo, Donati, Ferrari) o a ritirarsi dalla vita politica e sociale (De Gasperi).
Si può dire che don Sturzo abbia fondato il Partito Popolare per generare sostanzialmente un’esperienza di popolo nel quale l’uomo potesse essere accolto ed educato, nel quale potesse fare esperienza del dono di un benessere e di una pace. E non si tratta di una questione meramente politica.
Don Sturzo ci teneva a precisare: “Io sono un sacerdote, non un politico”.
Inoltre ha avuto come punto di partenza una questione che è il problema educativo. Sturzo si coinvolse in quella esperienza politica perché aveva a cuore la difesa della libertà, dall’inizio, quando era ancora a Caltagirone, fino alla morte.
E non si può non rimanere impressionati da quello che affermava, quando si esprimeva così: “Prego Dio che il mio grido sopravviva alla tomba”.
Un altro elemento da tenere presente in Sturzo è certamente l’impegno, l’operatività attorno alla natura del Cristianesimo, che non esclude nulla e che affronta tutta la realtà umana. Cristianesimo che vale per tutto o per niente, non vale per alcune cose e per altre no.
Il suo apporto non è stato propriamente teologico, ha operato come l’ “operaio nella vigna del Signore”, in maniera infaticabile e responsabile.
Il Partito Popolare Italiano nasceva aconfessionale ma durò poco. Nel 1925 ci fu lo Stato autoritario voluto dal fascismo, il quale prevedeva l’uscita di scena di tutti i partiti che non fossero quello fascista. Don Sturzo venne così sacrificato e costretto all’esilio. Quando ritornò dopo la fine del fascismo e della Seconda guerra mondiale (1939-1945), scelse di non entrare nella Democrazia Cristiana, fondata nel 1943, e combatté una battaglia solitaria come senatore a vita contro la degenerazione statalista del partito di ispirazione cristiana.
Sbagliano quindi oggi tutti quelli che per guadagnare terreno politico a dispetto degli altri, pensano di fregiarsi del termine sturziano poco più che citandolo. Molti poi sono quelli che pensano di conoscerlo ma conoscono ben poco della sua esperienza, delle sue idee e dei suoi scritti.
Nell’Appello troviamo innanzitutto il sentimento di appartenenza nazionale con cui si rivolge “a tutti gli uomini liberi e forti che in questa grave ora sentono il dovere di cooperare ai fini supremi della patria, senza pregiudizi né preconcetti”.
“A uno stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali – la famiglia, le classi, i comuni – che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private” diceva il sacerdote calatino.