Un mezzogiorno che nel corso della sua vita repubblicana ha vissuto di politiche di assistenzialismo fallimentari (vedere le cosidette “cattedrali nel deserto”), come può risollevarsi partendo dalle risorse proprie? Quali sono i cambiamenti che noi cattolici con il nostro comportamento possiamo apportare a questo stato di cose?
Questa è una delle domande che i ragazzi della FUCI di Matera ha formulato anche allo scrivente alcuni giorni fa in un incontro. Una delle 4 domande formulate non evasa per mancanza di tempo. La cosa che contesto della domanda è l’aver citato le “cosiddette “cattedrali nel deserto” come una forma perversa di assistenzialismo inflitta al Sud. Un Sud a cui è stato erroneamente fatto credere in questo secolo e mezzo di unità d’Italia, con una gigantesca mistificazione dai risvolti psicosociali a volte tragici, che la sua arretratezza è stata ereditata fin dagli inizi. Studi socio-economici e best sellers come Terroni di Pino Aprile e “Il sangue del Sud” di Giordano Bruno Guerra hanno spietatamente messo in evidenza che, al contrario, fu proprio l’unità d’Italia a creare il divario Nord-Sud. Uno studio di Daniele e Malanima, con dati statistici quantitativi, ha ampiamente dimostrato che la forbice Nord-Sud, nel corso degli anni si è andata progressivamente ampliata a partire dall’unità d’Italia. Forbice che ebbe la massima espansione durante il periodo fascista ed in questi ultimi 20 anni di leghismo lombardo. Detta forbice, al contrario, fu drasticamente ridotta invece proprio nella fase post-bellica durante la quale furono applicate politiche serie di sviluppo per il Sud attraverso la riforma fondiaria, la Cassa per il Mezzogiorno (CASMEZ) e per “colpa” delle cattedrali del deserto. Al contrario le “cattedrali del Deserto” come l’ANIC, l’ITALSIDER, la FERROSUD, giusto per citarne alcune vicine a noi, rispondevano ad una strategia di sviluppo ben precisa concepita e poi attuata da economisti del FORMEZ di Pasquale Saraceno. Una strategia che puntava per lo sviluppo, oltre che sull’agricoltura (Manlio Rossi-Doria), sulla industrializzazione attraverso l’insediamento di grandi imprese a partecipazione statale al Sud. Le cattedrali del Deserto permisero a mio zio, così come a tanti padri di famiglia, di tornare dall’esilio alla fine degli anni 60. Senza agricoltura ed industria non si può pensare ad un reale sviluppo del Sud. Noi oggi siamo frastornati da superficiali luoghi comuni illudendoci che il nostro sviluppo possa evitare di passare dalla fase dell’industrializzazione, sopravvalutando oltremodo le potenzialità della risorsa turistica o della mitologia dei prodotti tipici. Poi negli anni 80 abbiamo avuto una perversa involuzione delle politiche di intervento straordinario. Le risorse messe a disposizione dalla legge 219/81 per il terremoto del 1980 e l’ultimo scampolo della CASMEZ, la legge 64/86, sono state sciaguratamente consegnate esclusivamente nelle mani della discrezionalità politica e serviti solo per alimentare consumi con gli investimenti ordinari dirottati tutti al Nord. Così alla fine gli ultimi investimenti non hanno fatto altro che dare il definitivo abbrivio alle politiche assistenzialistiche volute da sempre dal Nord per il Sud! Oggi la sfida per lo sviluppo del Sud è prima di tutto etica nel senso che, bando agli egoistici ed ignoranti leghismi, essa deve essere un imperativo categorico del nostro paese che può ritornare ad essere grande solo con il pieno sviluppo del mezzogiorno. La risorsa sociale, ancora ricca al Sud ma in fase di paurosa erosione, è una delle carte sul quale occorre puntare con decisione. Risorsa che sta alimentando lo sviluppo di realtà come India e Cina. E’ la leva dello sviluppo per il Sud sulla quale insistono Putnam con i nostri Cassano e Viesti sul solco delle teorie weberiane. Dall’altra occorrono investimenti e capitali che Nicola Rossi ritiene altrettanto indispensabili. Risorse ed investimenti che devono essere però sottratti all’intermediazione ed alla discrezionalità della politica, per permettere di creare condizioni favorevoli sul territorio. Questo significa creare infrastrutture, un più conveniente accesso al credito, agevolazioni fiscali ma, soprattutto, creare centri di eccellenza con i quali trattenere ed importare giovani brillanti. Ci servono per poter ideare, scrivere e realizzare progetti competitivi da far finanziare dalla Comunità Europea che oggi sostituisce la CASMEZ. Piuttosto che sbraitare contro la Merkel e la CE sarebbe meglio attrezzarci “militarmente”per poter accedere alle risorse che mette a disposizione l’Europa.
Franco Vespe
ottima analisi
Franco grazie mille per questa risposta!
Il Sub ha innanzitutto bisogno di giovani che credano fermamente in un cambiamento positivo, che non si lascino abbattere dalla crisi ma che la vedano come un’opportunità per rilanciare se stessi ed il proprio territorio.
La nostra terra ha tante risorse umane e storico-artistiche da valorizzare, dalle quali potrebbe giovarne l’intera nazione ed anche l’Europa!
La creazione di centri di eccellenza, di cui parla Franco, è una delle molteplici possibilità a nostra disposizione. Per anni si è continuato ad utilizzare i fondi statali e comunitari per investimenti infruttuosi o che potessero fruttare solo nel breve termine. Credo sia giunto il momento di cambiare rotta: è necessario modificare la nostra cultura di fare impresa. Un’imprenditoria sana, insieme ad una politica lungimirante, che abbia lo sguardo puntato al futuro, è uno dei nodi principali da sbrogliare nel nostro paese.