Il Coordinamento Regionale Acqua Pubblica di Basilicata, sottoscritto dai rappresentanti nazionali del Forum Italiano del Movimento per l’Acqua, oltre che da un rilevante numero di partiti, sindacati ed associazioni lucani ha inviato una nota sulla crisi idrica ed in particolare sull’emergenza provocata dalla diga del Camastra e dalla privatizzazione della gestione delle dighe nel Sud Italia. Di seguito la nota integrale.
“Catastrofica” è stata definita dai tecnici di Acquedotto Lucano l’inedita e paradossale situazione in cui si trovano 140.000 abitanti di una regione ricchissima di acqua che fra qualche giorno potrebbero vedersi interrompere la fornitura perché il Camastra, diga da 32 milioni di metri cubi, è quasi vuoto. Acquedotto lucano spa è la struttura pubblica che deve portare l’acqua fino alle nostre case, ma chi si occupa delle dighe? Fino all’anno scorso c’era EIPLI, Ente pubblico operante in Puglia, Lucania ed Irpinia, ma dal 1 gennaio di quest’anno è entrata in funzione la nuova società “Acque del Sud” spa istituita dal governo Meloni (D.L. n.44/2023 – L. n. 74/2023) con vari compiti fra cui quello di gestire le grandi opere idrauliche a servizio di queste regioni e dell’intero Mezzogiorno. La grande novità introdotta da questo governo è che la nuova società non è più pubblica, ma aperta al privato: l’art. 5 dello statuto prevede che il suo capitale sociale, oggi detenuto dal Ministero dell’Economia e Finanze, venga trasferito a soggetti pubblici per la risibile quota del 5% ed a soggetti privati per un ragguardevole 30%. Decisione, questa, presa dal Governo Meloni in totale spregio del risultato della consultazione referendaria del 2011 durante la quale ben 25 milioni di italiani, fra cui 270.000 lucani, dichiararono di volere che l’intero ciclo della gestione dell’acqua venisse mantenuto o ricondotto in mano pubblica e che sull’acqua non si potessero fare profitti. Il motivo di questa scelta è evidente: il privato, per sua intrinseca vocazione, mira a massimizzare i propri profitti anche a scapito della qualità del prodotto fornito e questa condizione, fortemente penalizzante per tutti i servizi essenziali, diventa del tutto inaccettabile per l’acqua che è un bene indispensabile alla vita. Inoltre, mentre per altri servizi (telefono, luce, ecc.) il regime di concorrenza può anche agevolare l’utente consentendogli di scegliere il fornitore più vantaggioso, per l’acqua questo non è possibile: ogni cittadino deve necessariamente rifornirsi dal gestore della propria zona (gestione in monopolio naturale) accettandone, volente o nolente, costi e qualità del servizio. Abbiamo innumerevoli esempi di disservizi, assenza di investimenti per la manutenzione ed incremento esponenziale dei costi nella gestione privata, tanto che in molti Paesi e grandi città si è tornati al pubblico proprio per l’esasperazione dei cittadini. Oggi la necessità di mantenere l’acqua in mano pubblica è diventata ancora più inderogabile per la crisi climatica, che ha ridotto le precipitazioni e prosciugato fonti e falde idriche rendendo questo bene ancora più scarso e, quindi, più prezioso per i viventi. Il mezzogiorno d’Italia è fra i territori più interessati da fenomeni di desertificazione ed anche i dati della sede lucana dell’Autorità di Bacino dell’Appennino Meridionale ci dicono che le precipitazionisul Camastra sono passate dai 383 mm. del periodo aprile/ottobre del 2023 ai 167 ai mm. dello stesso periodo del 2024. In Basilicata ci sono poi molti altri motivi per cui l’acqua deve essere gestita in forma pubblica: -la necessità di difendere il nostro patrimonio idrico dall’enorme e sconsiderato uso di acqua sorgiva e di invaso da parte dell’industria petrolifera e delle attività connesse (Tecnoparco utilizza ingenti volumi di acqua del Camastra) e dal considerevole e diffuso inquinamento causato dalle varie fasi del processo estrattivo oltre che da altre cause; -la necessità di avviare ampi programmi di bonifica di falde e corsi d’acqua inquinati; – l’assoluta necessità di prevedere ed attuare misure sia di adattamento e di mitigazione che, soprattutto, di contrasto all’incremento delle temperature; -la necessità di tener conto non solo dell’uso potabile ma anche di quello irriguo allo scopo di assicurare la continuità produttiva di agricoltori ed allevatori ed impedire l’abbandono delle terre e la soppressione degli allevamenti; -l’inderogabilità di importanti investimenti per il miglioramento e l’adeguamento tecnologico di reti e grandi infrastrutture necessarie a garantire a tutti i cittadini lucani il diritto fondamentale di accedere all’acqua pulita (DichiarazioneONU A/64/L.63) nelle quantità previste dall’OMS (50/100 l./giorno a persona) Il governo Meloni si è schierato invece con i grandi capitali offrendo loro l’occasione, bloccata dal referendum, di inserirsi nel business dell’acqua anche nelle due sole regioni che la gestivano ancora in forma pubblica: Puglia e Basilicata. Sicchè ACEA, che fra le quattro grandi multiutilities che monopolizzano sul piano nazionale la gestione dei servizi pubblici a rete (ACEA, IREN, HERA, A2A) è quella che ha il controllo del Sud, non ha perso tempo ed il 7 giugno 2024 ha costituito una partnership con Acquedotto Pugliese s.p.a. per partecipare alla gara per diventare socio industriale di Acque del Sud. Ci torna però in mente un evento che si verificò nel 2017 nel lago di Bracciano, che serve l’abitato di Roma ed è gestito anch’esso da ACEA. In un breve periodo il lago si prosciugò, inspiegabilmente, quasi del tutto e la colpa venne interamente attribuita alla crisi climatica; poi, invece, le inchieste della magistratura evidenziarono che ACEA aveva effettuato prelievi impropri commettendo un reato di disastro ambientale aggravato ed otto componenti del c.d.a. vennero rinviati a giudizio. E’ una buona premessa questa? Va inoltre precisato che la sede principale di AdS è stata localizzata a Bari e di Bari è anche il Presidente del suo Consiglio di Amministrazione.Quella di Potenza è solo una delle tante possibili sedi secondarie, eliminabili nel tempo: la Basilicata, insomma, dove sono localizzate la maggior parte sia delle risorse idriche che delle grandi opere idrauliche, è stata relegata ad un ruolo del tutto marginale. Il tutto senza una sola parola di protesta da parte dell’Amministrazione Regionale. Ora, dopo qualche mese di gestione da parte della nuova spa privatizzata, ci troviamo alle prese con questa catastrofe. Le domande sorgono spontanee: come mai AdS non ha subito provveduto a fare una ricognizione tecnica per verificare lo stato delle dighe? Come è possibile che, pur sapendo che la crisi climatica avrebbe potuto creare problemi rilevanti, non abbia assunto provvedimenti per scongiurare l’attuale catastrofe? Sono state annunciate opere di miglioramento della diga di Monte Cotugno e questo è meritorio, ma per il Camastra, che serve quasi un terzo dei lucani, è stato previsto qualche intervento o ci si limita a sperare che piova? Oltretutto dai dati forniti dall’Autorità di Bacino sembrerebbe che i prelievi quotidiani medi dal Camastra, nel 2024 siano aumentati rispetto a quelli del 2023 e che nel 2024 si riscontri un loro aumento proprio in corrispondenza delle restrizioni idriche Come mai? In conclusione, noi firmatari chiediamo che tutte le amministrazioni preposte si attivino nell’immediato per fornire risposte adeguate e soprattutto per definire strategie credibili, non emergenziali e che tengano conto del trend peggiorativo causato dalla crisi climatica. Stigmatizziamo inoltre l’apertura al privato del gestore delle grandi opere idrauliche e comunichiamo il nostro intento di attivarci per ottenerne la ripubblicizzazione e per opporci a qualunque eventuale tentativo di privatizzazione anche di Acquedotto Lucano spa, considerato anche che il D.L. n.153 del 17.10.2024 nella sua versione finale non prevede più l’obbligo delle spa a totale capitale pubblico di aprirsi al privato. L’acqua deve essere pubblica, perché “Si scrive acqua, si legge democrazia”.