Sono tante le cose nelle quali Italia Unica è diversa. Non si tratta di una ricerca spasmodica al nuovismo, ma la consapevolezza che il modo con cui i partiti hanno affrontato fino ad oggi il loro impegno nei confronti (ma sarebbe meglio dire al servizio) della cittadinanza, abbia progressivamente allontanato l’opinione pubblica invece di avvicinarla. Il riferimento, in questo caso, è per i giovani. Ad oggi i partiti hanno preferito dialogare con le nuove generazioni attraverso una finta inclusione, fatta di gruppi, sezioni o aree tematiche, provocando inevitabilmente crisi di rigetto tra chi pensa alla politica come a una zavorra e non ad una opportunità. Italia Unica ha provato e prova a rovesciare questo rapporto. Per questo invitiamo i giovani della città ad incontrarci perché ci spieghino come intendono la politica e quale contributo dare. Non un casting o un indottrinamento stile scuola di partito, ma un dibattito aperto e senza filtri. Decideranno loro come e dove dare il loro apporto, sui programmi, la mobilitazione, gli appuntamenti elettorali o la comunicazione. Quello che ci interessa è che non siano governati, ma al governo del partito. Perché Italia unica ha bisogno di energie nuove. Ma che siano vere, non di facciata. A cominciare dalla priorità delle priorità: il lavoro perché una cosa è certa l Jobs Act ad oggi non produce nuova occupazione e le stesse previsioni del Governo per l’intero 2015 non sono così rassicuranti. Ammesso che a fine anno il saldo degli occupati (che per ora è negativo) sia positivo di qualche migliaia di unità il risultato sarebbe, comunque, molto negativo per via dell’ingente spesa pubblica destinata agli incentivi per le assunzioni del 2015.La situazione non può non fare riflettere. C’è da capire come mai gli incentivi alle assunzioni e le nuove regole del lavoro (in primis, licenziamenti e controlli) non producono i risultati attesi dal Governo, ed i motivi sono essenzialmente due.
Il primo, ovvio, è che l’occupazione non deriva dalle regole del lavoro ma dallo sviluppo del sistema economico. I dati che rappresentano un’occupazione stagnante ci raccontano, soprattutto, che il Paese non ha ancora individuato le giuste leve per il suo corretto sviluppo industriale. Insomma, latita un progetto Paese che selezioni e sostenga i settori produttivi sui quali costruire il futuro. Un progetto che andrebbe prima condiviso a livello europeo e, poi, reso effettivo in Italia. Manca una visione. Si continua, purtroppo, a gestire l’emergenza.
Il secondo motivo è da ricercare tutto nelle pieghe del Jobs Act. Perché se è vero che il lavoro non si crea per legge è anche vero che le regole del lavoro sono efficaci se strutturate per sostenere e accompagnare il progresso del sistema produttivo: anche il Jobs Act ne tiene conto, ma invece di guardare alla situazione attuale considera il sistema produttivo che ci sarà tra circa 10/15 anni.
Le conseguenze di tutto ciò sono sotto gli occhi di tutti.Le imprese stanno sistematicamente cercando ogni soluzione, al limite della legalità, per sostituire i vecchi assunti con nuova occupazione incentivata. C’è da credere che a partire dal 2016, anche tenuto conto delle ristrette disponibilità economiche, questi processi di riorganizzazione saranno oggetto di un rilevante contenzioso con gli enti previdenziali che contesteranno la natura elusiva di molti processi di riorganizzazione e la sussistenza dei presupposti di attivazione degli incentivi.
Le imprese che non vorranno o potranno dare vita a questi (talvolta innaturali) percorsi forzati sostituzione della forza lavoro si troveranno, anzitutto, a competere con imprese neo costituite che potranno avvalersi un costo del lavoro sensibilmente più basso. Non solo. E’ forse ancora più grave il fatto che queste imprese non potranno disporre di strumenti per rendere più competitiva la loro preesistente organizzazione del lavoro per l’assenza di adeguate certezze sul sistema di relazioni industriali, sulle procedure di riorganizzazione aziendale e sui costi del licenziamento disciplinare del dipendente inadempiente.
Il punto è che per creare nuova occupazione le riforme avrebbero dovuto, in primo luogo, preoccuparsi di garantire la competitività delle organizzazioni del lavoro già esistenti. Per renderle più produttive e incentivarle a crescere e, quindi, anche ad ingrandirsi. Il Jobs Act, tutto concentrato sui nuovi assunti, presuppone che i datori di lavoro assumano solo perchè il costo del neo assunto è più basso. I dati sull’occupazione dicono che non è così. Le imprese, come ovvio, assumono solo se hanno bisogno di assumere. Se la loro efficienza e produttività cresce e richiede, di conseguenza, l’inserimento nuovi lavoratori. Anche le regole sul lavoro possono contribuire a questo incremento di produttività e efficienza, ma a condizione che riguardino tutti, senza distinguere tra nuovi e vecchi assunti.
Ott 15