Puntuale da qualche anno a questa parte arriva la consueta lettura “anticipata” della congiuntura da parte della Svimez, e con essa arriva il suono della campana che sprona le classi dirigenti ad occuparsi del Mezzogiorno altrimenti destinato a diventare un “guscio vuoto”.
Ma nonostante i ripetuti richiami, la politica sembra avere altre priorità. Oggi l’immigrazione e l’autonomia differenziata, ieri una fantomatica “questione settentrionale”.
Constatare che l’emorragia demografica ha toccato quota 2 milioni negli ultimi quindici anni (vale a dire che dal Sud è scomparsa mezza Puglia ovvero una città come Napoli), di cui il 50% giovani e il 30% laureati, nel mentre l’immigrazione compensa solo per metà questa emorragia ma con persone di bassa scolarizzazione, rompendo così l’equilibrio economico generazionale, evidentemente non è ritenuto ancora motivo sufficiente per porre la questione meridionale al primo posto delle emergenze nazionali e quindi favorire specifiche politiche che puntino ad arrestare la desertificazione sociale.
E’ evidente che l’inaridimento di politiche pubbliche per il Sud ha inciso profondamente sulla qualità dei servizi erogati ai cittadini, aumentando il divario con il Nord sia quanto a quantità e qualità di infrastrutture sociali, che quanto a diritti di cittadinanza quali sicurezza, adeguati standard di istruzione, di servizi sanitari e di cura.
Il tema spopolamento, poi, spesso viene posto dalle classi dirigenti locali, e l’ultima competizione per le regionali ne è l’esempio, solo come argomento per una buona campagna elettorale, ma nulla più.
Nel contesto meridionale anche la Basilicata non è immune da questo dramma: tutte le famiglie vivono la tragedia di qualche familiare che parte e non rientra più. Questo fenomeno spopola il Sud e l’unica causa è la mancanza di una prospettiva di lavoro.
La sfida di un governo nazionale serio dovrebbe essere quella di costruire le condizioni per far rimanere o far rientrare al Sud chi è andato a studiare o a fare esperienze di lavoro al Nord o oltre confine. Invece, proprio di fronte al “Rapporto Svimez” ed ai suoi dati a dir poco allarmanti, gli esponenti di spicco del Governo, normalmente bulimici quanto a uso dei social, non hanno avuto neanche la bontà di esprimere commenti. Sarebbe il caso di abbandonare l’ottica di un Sud che va assistito nella povertà e impegnarsi per aiutarlo a crescere nello sviluppo, perché non è pensabile che singole politiche regionali possano essere da sole sufficienti ad arginare un fenomeno che è economico, ma anche culturale e sociale. Ancora oggi a fronte di una popolazione meridionale pari al 34% sul totale nazionale corrispondono investimenti pari al 28%, e quanto a spesa pro capite il rapporto tra Sud e Nord e 1,5 a 4.
Agli interessanti segnali lanciati nel passato dai governi Renzi e Gentiloni (Patti per il Sud, Zone Economiche Speciali, Decreto Mezzogiorno), ed all’azione svolta con la precedente Giunta Regionale (specifiche misure per i giovani diplomati e laureati come il bando “Under 35”, tutt’ora in corso, l’intenso lavoro su innovazione nelle imprese, cultura d’impresa, start up, ricerca), che pure un qualche risultato hanno portato. viste le positive performance della Basilicata nel contesto meridionale negli ultimi 5 anni, assistiamo oggi al vuoto di specifiche politiche oppure a slogan ancora una volta dal sapore elettorale quale la volontà di istituire una “Banca per il Sud” (senza chiarire con quali fondi), all’idea (ma è solo una idea) di un nuovo “Piano Marshall”, oppure alla proposta (interessante) del Ministro per lo Sviluppo di fare del Sud il centro nevralgico dell’innovazione. Non si intravedono, però, né una strategia né tanto meno una chiara visione di ciò che si vuol fare. Eppure andrebbero fronteggiate con energia le emergenze occupazionali e sociali, e trasportare le eccellenze che pure al Sud ci sono, a competere sulle catene globali del valore, sfruttando i vantaggi competitivi in Italia ed in Europa.
Ecco che va assolutamente riportato al centro del dibattito politico pubblico la “questione meridionale” senza vittimismi ma con nuove consapevolezze. Vanno costruite un’alleanza ed un fronte comune a prescindere dai colori politici da parte di tutte le regioni del Sud (e, visti i dati, anche del Centro Italia) per evitare che poche regioni del Nord possano ipotecare il futuro dell’intera nazione. Tutto questo cominciando dalla nostra regione dove il cosiddetto nuovo corso regionale sembra vivere ancora nel torpore post elettorale ed estivo.
Occorre rovesciare il paradigma e trasformare il Sud da problema a risorsa del paese. E’ una sfida difficile ma non impossibile: l’Italia può riprendere a crescere se cresce il Mezzogiorno; una strategia per il Sud diventa automaticamente strategia per l’Italia. E’ necessario realizzare opere ed infrastrutture sociali da farsi indipendentemente da chi temporaneamente è al governo, attraverso un vero e proprio patto politico trasversale. Occorre averne consapevolezza ed agire di conseguenza.