Deputato Cillis (M5s): “Condivisione anche trasversale sulle tematiche ambientali è sempre più indispensabile”. Di seguito la nota integrale.
Sulla questione del deposito unico nazionale di scorie nucleari, si avvierà la più grande fase di consultazione mai fatta in questo Paese tra la centralità degli enti governativi – o comunque decisionali a livello nazionale – e il territorio. Rappresentato, quest’ultimo, dalle istituzioni, come Regione e Comuni, nelle quali il cittadino si riconosce e in qualche modo si affida.
Non è ancora un atto di democrazia diretta e partecipata, ma è qualcosa di molto vicino, in linea con uno dei principali e solidi aspetti della politica del Movimento 5 Stelle, cui appartengo per scelta politica e perché mi onoro di rappresentarlo nel Parlamento italiano.
Rispetto alla decisione arbitraria del 2003, che mi vide direttamente coinvolto in quanto cittadino lucano, con il tentativo dell’allora governo Berlusconi di imporre dall’alto la scelta puramente politica del sito di Scanzano Jonico, nonostante non rispettasse nessuno dei parametri stabiliti dall’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, oggi siamo a una condizione diametralmente opposta.
Dopo l’arroganza del potere, ben rappresentata dal grande Alberto Sordi in una delle scene del film “Il Marchese del Grillo”, ora siamo a una certosina e rispettosa ricerca di parametri e criteri per annullare ogni condizionamento politico e scegliere in effetti le aree più tecnicamente idonee e più socialmente condivise a realizzare il deposito di scorie radioattive. Con una classificazione che in qualche maniera ha già designato le aree più idonee alla realizzazione del sito unico nazionale.
Perché, di una cosa sono certo: non possiamo più tenere le scorie suddivise in una quindicina di siti oramai da mettere in sicurezza e da gestire – in sicurezza – da Nord a Sud dell’Italia, senza dimenticarci che, paradossalmente, realizzare un sito unico vuol dire anche e soprattutto preservare e bonificare da ogni inquinamento e da ogni rischio futuro tutti gli altri siti oggi presenti sul territorio italiano.
Ho molto apprezzato che tutta l’attuale maggioranza di governo abbia lavorato anch’essa per condividere e non imporre, come se la “lezione” Basilicata del 2003, quella splendida ribellione pacifica a un sopruso, prima ancora che all’opera in sé, avesse fatto presa anche sugli stessi partiti che in quell’anno agivano inseguendo soluzioni di forza e non di confronto.
Ecco, da lucano che ha battagliato per l’integrità della sua terra, da ogni tipo di infrazione e di sopruso, vorrei prendere al volo ciò che di positivo sta accadendo per la localizzazione del sito unico di scorie nucleari, e vorrei trasmetterlo, coinvolgendo anche l’opposizione, per superare un’altra profonda ferita della mia Terra, la Basilicata.
Mi riferisco a un’azione comune, senza strumentalizzazioni politiche, senza lasciarsi tentare dal potere delle società minerarie, che affronti ed elimini un’altra vera fonte di inquinamento dei territori interessati dalle attività estrattive. Soprattutto la mia regione, ma non solo essa, dato che sono diversi i siti di estrazione di idrocarburi in Italia.
Auspico una unità di intenti per bloccare ogni nuovo permesso di ricerca e di perforazione, ma anche per trovare soluzioni a breve termine – condivise con tutte le realtà interessate – che superino l’oramai sempre più anacronistico sistema basato sull’energia fossile.
Accelerando la fine di ogni estrazione sul territorio italiano, obiettivo da raggiungere quanto prima e possibilmente, con la condivisione più generale possibile.
Il petrolio lucano e italiano è di scarsa qualità e di scarsa quantità (è il 7% del fabbisogno nazionale), è privato, nonostante le concessioni gestite anche dall’Eni, non ha creato occupazione reale e non ha prodotto economia di sistema nei territori interessati. Come la storia mineraria della Basilicata, dove si estrae l’80% del petrolio italiano, ci insegna.
Non solo. A livello internazionale c’è un calo evidente del prezzo del barile, segno che i mercati ne intuiscono e ne registrano la difficoltà in prospettive future, più che di fabbisogno attuale, che ovviamente è ancora alto.
La società internazionale è ancora fortemente energivora e fortemente fossile.
Ma oramai sono lontani i tempi della Borsa di New York o di Londra, dove il Wti e il Brent (petrolio di grande qualità) venivano battuti a 120 dollari il barile. I petrolieri sono fortunati se adesso sfiorano i 60 dollari a barile, perché il prezzo del barile veleggia da tempo a cifre fra i 40 e i 50 dollari. Segno evidente che il mercato sa già come si evolverà il mondo futuro.
È una riflessione che faccio ad alta voce e che porterò al confronto con tutte le forze politiche, anche perché, se dobbiamo dare voce reale e profonda alla “Transazione Verde”, come sfida di maggior cambiamento del Paese del dopo Covid, con i fondi del Recovery Fund, è tempo di dimostrarlo con i fatti.
Non possiamo essere più fossili dello stesso mercato. Ci allontaneremmo dalla mobilità e dallo sviluppo energetico del prossimo futuro, allontanandoci pericolosamente dal mondo che dovremmo lasciare alle nostre future generazioni.