Mario Di Dio, coordinatore regionale dei Verdi della Basilicata, esprime alcune valutazioni politiche dopo la scisisone del PD e rilancia la possibilità di ricostruire la coalizione “L’Ulivo”. Di seguito la nota integrale.
Ricostruire L’Ulivo…si può o si deve?
Molti hanno ritenuto che un’insuccesso del PD al Referendum costituzionale dell’autunno scorso avrebbe portare a un ridimensionamento del renzismo, ossia e a una discesa dal carro non più trionfante di coloro che hanno sventolato per anni la bandiera renziana, con l’obiettivo di condurre una sinistra rinnovata e “ulivista” al governo del Paese. Ciò, almeno la prima parte dell’auspicio, è accaduto; la seconda parte non potrà, dopo la scissione, mai accadere . Il malessere interno al PD, è nato da quando Denis Verdini gettò definitivamente la maschera e passò a sostenere l’esecutivo Renzi votandogli apertamente la fiducia. Con questo episodio molti renziani del tempo hanno cominciano a ritenere insostenibile questa deriva del PD a destra, verso un ibrido polpettone paludoso che annullava ogni differenza, spegneva ogni passione politica e distruggeva un patrimonio storico fatto di militanza, impegno e partecipazione gratuita e disinteressata che non poteva essere in alcun modo sostituita dal trasformismo parlamentare di un gruppo di transfughi sulla cui coscienza pesa ancora il sostegno a tutti i disastri verificatisi nel corso del ventennio berlusconiano.
Insomma, passi la defenestrazione in malo modo di Letta, passino i toni non certo ortodossi dell’ex segretario-premier, dominus della politica italiana, passi anche la sua dose elefantiaca di populismo, che un po’ gli viene naturale e un po’ gli serve in funzione anti-grillina e anti-salviniana, passi persino l’incapacità di instaurare un rapporto di proficua collaborazione e, se necessario, pure di confronto serrato ma maturo con i sindacati e le associazioni di categoria, passi tutto, ma l’ingresso di Verdini e del mondo che fu cosentiniano, cuffariano e, in poche parole, berlusconiano deve essere sembrato troppo a Bersani e Speranza.
Fin qui anch’ io seguo il ragionamento di Bersani e Speranza. Dove dissento è, invece, sui passaggi successivi. Perché Renzi, che non è uno stupido, dopo il referendum , con la fine del suo governo e soprattutto dopo la fuoriuscita dal PD dei suoi oppositori più accaniti, ha un obiettivo, leggibile dalle sue dichiarazioni oramai quotidiane, punta a far nascere la “Coalizione della Nazione”, ossia un minestrone centrodestrista nel quale il PD, magari previa revisione dell’Italicum, sarà affiancato da tutti i reduci del berlusconismo che già scaldano i motori e pregustano posti e poltrone.
Al che, in primis, mi sembra evidente che questo progetto renziano non sia solo incompatibile ma addirittura antitetico al nobile proposito della minoranza dem che non vuole lasciare il PD di Renzi ( penso ai Lacorazza ) ma, ricostruire da “dentro” un soggetto politico rinnovato.
Per vincere le primarie e poi il congresso, Renzi non si appoggerà al PD, del quale, ciò è solamente un mio personale pensiero, non gliene è mai importato granché e verso il quale ha, anzi, sempre nutrito una discreta avversione, bensì al Partito della Leopolda, ai suoi circoli dei fedelissimi, alle amazzoni pronte a immolarsi in difesa del sacro verbo e alle camicie bianche della rivoluzione che dovranno andare casa per casa a spiegare che l’Italia con lui al governo è stata modificata in senso migliorativo e senza snaturarne lo spirito e i valori, consentendole, al contrario, di porsi al passo coi tempi e con i ritmi imposti dalla modernità.
Non sappiamo se i nostri eroi renziani compresa la minoranza dem non fuoriuscita ( i lacorazziani) , chiamati a un simile, titanico sforzo, riusciranno a portare a termine l’impresa; ciò che è sicuro, all’opposto, è che l’unica possibilità che ha quella parte della minoranza dem fuoriuscita ( speranziana) è quella di rilanciare il progetto ulivista al quale sembra tenere sul serio è schierarsi, anima e corpo alla sua costruzione.
Il “Nuovo Ulivo” o simile, cari Bersani e Speranza, non può nascere e non sarebbe minimamente affidabile se fosse composto dalla stessa classe dirigente che ha servito tutti i padroni, votato tutte le leggi di Renzi, fatto parte del suo governo, umiliato chiunque osasse dissentire e tradito il mandato elettorale di milioni di elettori. Non può nascere se non viene percepito come qualcosa di diverso e altro rispetto alla triste stagione che stiamo attraversando. Non può nascere se non riparte dal progetto originario di questa legislatura di un governo del cambiamento, in grado di imprimere una svolta tangibile al Paese. Non può nascere se non offre un’ideologia europea e la prospettiva di un governo fermo nei princìpi del rigore ma, al tempo stesso, coraggioso nel dire basta ad un’austerità pericolosa e senza respiro che sta conducendo nel baratro l’impianto della democrazia occidentale, America compresa, e non può nascere se non intriso di una vera cultura ambientalista. E non nascerà, infine, se non avrà la forza e l’intelligenza di sfidare il mondo grillino o, quanto meno, quella parte del mondo grillino che un tempo si fidava della sinistra ma si e sentito escluso, inascoltato e preso in giro in troppe occasioni per riporre ancora in essa le proprie aspettative.
Se Speranza o Bersani , invece , pensano di potersi accontentare di un mediocre risultato di consenso per eleggere una mediocre pattuglia corrispondente di capilista, lasci perdere: non solo il movimento che auspicano non si celebrerà mai ma, se anche dovesse celebrarsi si trasformerebbe nell’ennesima sconfitta della sinistra che aprirebbe scenari tremendi per se stessa e per la politica italiana tutta. Personalmente mi fido di Speranza, che con un sussulto di dignità di cui gli va dato atto e merito, ci ha insegnato che gli ideali, l’entusiasmo e le ragioni che ci hanno indotto ad amare e a dedicarci attivamente alla politica valgono più di una poltron