L’imprenditore materano Eustachio Papapietro in una nota esprime alcune riflessioni in vista delle prossime elezioni comunali. Matera ha l’occasione di cambiare il futuro della Basilicata. Ma a patto che la sua classe dirigente abbandoni la sua ormai storica litigiosità. Di qualunque colore politico sia, il prossimo governo cittadino dovrà immaginare un piano di sviluppo chiaro, condiviso e misurabile che possa essere realizzato in tempi definiti.
Di seguito i particolari.
Se togli due pistoni ad un motore, non serve un ingegnere per capire che quel motore rischia di fermarsi. È proprio quello che rischia la Basilicata dove due delle sue principali leve economiche, vittime di altrettante transizioni epocali, si stanno logorando. Il petrolio, avviato verso un inevitabile declino, e l’industria dell’automotive, alle prese con la rivoluzione dell’elettrico. La storia lo insegna: i cambi di paradigma vedono disallineati i tempi dei costi che arrivano subito e sono dirompenti (perdita del lavoro, obsolescenza delle competenze, riduzione del valore immobiliare e dell’identità sociale) rispetto a quelli dei benefici che, invece, producono i loro effetti alla lunga. Per questo, al più presto, servono politiche industriali che, da un lato, aiutino a limitare gli inevitabili “danni” delle due trasformazioni ma, dall’altro, disegnino dorsali di sviluppo in linea con i nuovi paradigmi economici ed in armonia con le potenzialità del territorio.
Al momento, la governance regionale garantisce solo sostegno economico ma fa fatica ad individuare, come invece è necessario, i settori nuovi su cui orientare strategie, spesa e azioni. La stessa incertezza investe anche Potenza che, ormai da qualche tempo, è in cerca (senza fortuna) di una nuova identità per smarcarsi dall’ormai solo ed insufficiente ruolo di “città dei timbri”.
In mezzo a questa nebbia, Matera ha la fortuna di poter contare su una rotta già delineata. L’anno da Capitale Europea della Cultura ha proiettato la città in una dimensione turistica e mediatica di rilievo internazionale. E la reputazione – com’è noto – funziona da volano economico. Tuttavia, il turismo da solo non basta: occorre un piano di sviluppo integrato che coinvolga anche il comparto manifatturiero. Il materano ha grandi potenzialità nell’agroindustria e dovrebbe essere aiutato a recuperare l’esperienza internazionale del distretto del salotto – per decenni votato alla produzione di arredi per l’export – per gettare le basi per una nuova economia creativa, fondata su design e innovazione tecnologica, in grado di tornare ad imporsi sui mercati internazionali.
Matera, per questo, può diventare un laboratorio di sviluppo per l’intera Basilicata e, in questo, le imminenti elezioni comunali saranno determinanti, ma ad una condizione: la sua classe dirigente deve superare l’ormai atavica litigiosità che da sempre frena i progetti più ambiziosi. E infatti la pletora di aspiranti sindaci che, in incontri più o meno carbonari, sta animando la città è impegnata a misurarsi più sulle questioni personali che sul futuro. Il vero confronto deve invece spostarsi dalle persone ai contenuti, dai protagonismi agli obiettivi. Servono investimenti mirati e serve capire che il mondo non aspetta i soliti giochi di potere. È urgente immaginare una visione di sviluppo chiara, condivisa e misurabile che possa essere realizzata in tempi definiti. Perché, alla fine, la sfida non è solo di Matera, ma di un’intera regione che deve dimostrare di essere più forte dei suoi limiti. Se, invece, questa nostra terra sceglierà ancora una volta di non scegliere, la prospettiva è chiara: ci trasformeremo in un gigantesco museo a cielo aperto del “come eravamo” e del “come si stava meglio prima”, abitato solo da quella popolazione anziana che non avrà avuto la forza o la possibilità di raggiungere i propri figli ormai tutti andati via. Ma se questa prospettiva non dovesse apparirci allettante, forse sarebbe il caso di darsi una mossa sulla strada del fare. Matera ha già dimostrato che i miracoli non esistono, ma anche che il duro lavoro porta sempre i risultati. E chissà, magari lo sforzo collettivo per rimettere in moto l’intera regione sarà perfino più appassionante che vivere di ricordi andati. Se non altro, avremo la soddisfazione di dire che, quando il motore ha tossito singhiozzando, abbiamo avuto il coraggio di metterci mano per provare a cambiare i pistoni. Altrimenti, si può sempre restare a guardare il cruscotto lampeggiare e, come da tradizione, limitarsi ad imprecare lamentandosi del perché il motore non parte.