Giorni penosi quelli elettorali. Prima di tutto per i cittadini che compiono i loro doveri ed esigono la corresponsione dei loro diritti, ma non sono soddisfatti dell’amministrazione della cosa pubblica. In secondo luogo per quelli che osano candidarsi: ora persone che da anni hanno scoperto nella politica un mestiere redditizio, ora nuovi adepti contagiati da eguali brame e condotti dalla volontà di potenza, ora uomini di valore e castità d’intenzioni che soffrono per i lamenti e le proteste che salgono dal profondo della città.
Dèsola i primi la città difettiva, affossata, dopo aver covato per una stagione l’illusione d’essere assurta fra quelle d’alta classe. Sono desolate soprattutto le cosiddette fasce deboli del popolo che, da quella favola, – sarà un’ingiusta vulgata, ma non le si può negare una particella di verità – hanno raccolto innegabili e pluriversi svantaggi, mentre i meglio collocati hanno moltiplicato guadagni.
I secondi, invece, in particolare quelli fissati sugli interessi, autodestinandosi a presentarsi, chi come in precedenza, chi per la prima volta, alla soglia di un responso popolare, hanno un bel stereotiparsi dietro le maschere del bene comune e dell’amore per la città nativa, devono sottostare al duro pungolo della cerca dei suffragi in un tempo che la politica non appassiona.
Se la politica è la forma più alta della carità, come la definiva Paolo VI, e uscire insieme dalla merda, come insegnava don Lorenzo Milani, è necessario che nei giorni elettorali non inibiamo lo spirito critico e, mentre corrispondiamo ai nostri propri compiti di stato, riflettiamo su coloro si fanno avanti per governare la città. Leggiamone le autopresentazioni, per esempio quelle di Roberto Cifarelli e Nicola Casino che sono già audacemente in circolazione.
Del primo sappiamo che milita da anni nel centrosinistra ed è un abile rastrellatore di voti. Di recente l’abbiamo visto pubblicamente rampognato da Buccico e nominato en passant da Pittella. Confessa di essere triste per il suo partito che annaspa nella confusione. Perché non si rattrista per i Lucani in perenne distretta che da alcune legislature gli garantiscono ragguardevoli emolumenti senza che debba spaccarsi la schiena. È entusiasta dei giovani. Cento d’ambo i generi si schiererebbero per lui. Con petti, mani e piedi trafitti per gli altri? Apprezza il Manifesto per la vita politica dei Diòscuri teorizzanti Rota-Viti. Assicura che farà la sua parte perché Matera è Matera (sic!).
A Cifarelli, tuttavia, dobbiamo chiedere se candidarsi a Sindaco di Matera non si configuri come una grave mancanza di riguardo nei confronti degli elettori non solo di Matera, ma anche del territorio circostante e, più estesamente, dei Lucani ai quali ha chiesto non troppi mesi fa di istradarlo nella Regione. Ogni voto non è un volto che ingiunge a chi l’ha ricevuto di onorare la causa per cui l’ha sollecitato? Dobbiamo accettare che le tornate elettorali siano occasioni in cui si intagliano gradini per ascendere superius, insomma per altro guizzo rampicatore? Si vorrebbe chiedere a Cifarelli quale versione della città sia in grado di immaginare, senza abbrancare la ciambella di salvataggio del Manifesto. Si vorrebbe ancora sapere da lui cosa nella fruttuosa carriera politica abbia dato ai Lucani per i quali, nel frattempo, sono cresciute la condizione d’insufficienza e desertificazione. Soprattutto cosa nella vita ha ceduto di proprio agli altri. Si vorrebbe, infine, chiedergli, absit iniuria, ma è bene parlare chiarozo chiarozo, come professava san Bernardino da Siena, se esista ancora il voto di scambio che tanto ha infestato la nostra terra.
Nicola Casino è una faccia relativamente nuova. Si sa che è capace di farsi valere. Lui stesso dichiara con orgoglio che da Consigliere comunale di opposizione ha vigilato e proposto. Senza dubbio, a suo modo, ha fatto propria la lezione di quello spiritaccio che è suo padre, un politico di tenace pragmatismo fattosi tutto da sé. Casino è sensibile al respiro internazionale di Matera che esige una riorganizzazione del Comune proporzionata ai traguardi raggiunti, una nuova visione del lavoro e del turismo volano del futuro. Casino è giovane: si affligge per le ragazze e i ragazzi costretti a emigrare. Due volte l’aggettivo strategico occhieggia fra i righi del suo dettato. Anche lui loda il Manifesto della buona politica. Casino è laureato in giurisprudenza. Chiediamo a lui pure, per sondarne l’autenticità della vocazione ad amministrare, cosa ha fatto sinora gratuitamente per gli altri nel bisogno.
In vista delle elezioni comunali un gruppo di giovani indice le primarie e presenta il primo Hackathon (non è un dio degli American Indian!) dedicato al futuro della città. Nella nota fatta girare i proponenti intendono doppiare appelli inascoltati e tavoli mitologici eterodiretti, escludere accordi precostituiti ed equilibri politici. Caldeggiano un momento contenutistico, la celebrazione di un popolo protagonista, escludendo tavolicchi e lamioni di partito, una maratona di idee, sette tavoli per affrontare altrettante questioni, idee, si ripete, al centro, rifiutando tatticismi e vecchie logiche.
Poiché per decenni abbiamo sognato di vedere i giovani scendere in campo e non soltanto comparire muscolarmente nell’annuale assalto al Carro della Bruna, la loro insorgenza ci arpiona come il felice e l’esplosivo inizio d’un epos. Sono proprio giovani giovani? da quale formazione sorgono? di quali competenze sono latori? quali i Maestri? hanno capacità d’indignazione davanti alle ingiustizie che inzuppano la società? sanno che è facile essere ingannati e che i giovani attirano i politici politicanti come il miele le mosche? non sono subalterni al feudalesimo versipelle degli uomini di partito? sanno che a nessuno farebbe piacere vederli intruppati come pecore con le orecchie basse? sanno che la politica o è fatti o è nulla? che la politica sono gli altri? hanno la mente e il cuore scevri da mire eminentemente personali? sono dotati di tale panoplia di fede speranza e carità per Matera che nulla in nessuna stagione, li potrà distogliere dall’averne cura? se non ce n’è uno della loro carne vitale, sono disposti ad adottare come leader un uomo giusto, e di storia provata e, nel contempo, autorevole e competente, non un luigino qualsiasi (si rilegga il Cristo di Carlo Levi di cui ricorre il cinquantesimo della morte)?
Vi sarebbe da soppesare se le primarie che propongono non siano una sospettabile kermesse e ritornare decisamente con la meditazione sul Manifesto che raccoglie troppo diverse adesioni. Bisognerà vagliare anche le autopresentazioni di altri candidati. Alla città occorre qualcuno che, dimessa l’enfiata retorica corrente sull’identità di Matera e non buccinando progetti grandeggianti che esigono risorse non disponibili né da noi producibili, dichiarasse che gli essenziali imperativi cui intende obbedire di buona e generosa lena, sono semplicemente porre rimedio alla sanità scompaginata; provvedere ad alternative di occupazione per ostare gli abusi del lavoro nero; tessere una rete di efficace soccorso a non pochi cittadini in difficoltà economica; rispondere al drammatico bisogno di abitazioni di un certo numero di famiglie stente; garantire una quotidiana nettezza urbana sia al centro sia alle periferie, accudire e incrementare il verde. Se poi avesse una ricetta per la gentilezza e la felicità sociale che scarseggiano, sarebbe la parte quasi soprannaturale, da fare fino in fondo.