Il politologo materano Franco Vespe in una nota si occupa dell’insediamento ufficiale alla Casa Bianca del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump, dei limiti dell’Europa e si chiede se non sia il caso di tornare alla frantumazione degli Stati e tornare alle Signorie (se vogliamo, al modello odierno della Svizzera). Di seguito la nota integrale.
Fra pochi giorni si insedierà il nuovo presidente degli Stati Uniti: il sorprendente Donald Trump. Sorprendente vittoria di un personaggio eccentrico, fuori dai canoni tradizionali e compassati della democrazia più potente del mondo. Sorprendente, aldilà degli aspetti pittoreschi e grotteschi del personaggio, perché ci ha svelato un’America che non ci attendevamo. Avevamo nel nostro immaginario collettivo impresso il fulgore, l’avanguardia, la vivacità culturale e finanziaria, la carica innovativa della sua“East” come della West coast. L’hi-tech chiusa nelle scatole magiche create da Apple, il trionfo delle piazze virtuali di facebook, gli angoli del mondo scovati e documentati da Google, l’audacia informatico-finanziaria della Microsoft, il tempio del NYSE, avevano nutrito e rinnovato il grande mito del sogno americano. Insomma credevamo che gli USA continuassero ad essere il tetto del mondo con i suoi alti tassi di crescita del loro PIL negli ultimi anni e per la loro guida mondiale nel campo dell’Innovazione. La vittoria di Trump invece ha fatto emergere un’america profonda, non solo del profondo Sud ma anche del Middle East come del Middle West, indietro, piena di paure, non più al passo con la modernizzazione, sconfitta anch’essa dal tritacarne di una globalizzazione ormai alla mercé dei grandi,miopiinteressi delle multinazionaliche ormai piegano nazioni stati, interi popoli azzerando la forza della politica esaltando di contro il ruolo ri-equilibratore del mercato e la finanza.Le illusioni che la globalizzazione potesse essere guidata dai popoli facendo leva sulla risorsa sociale ed umana, storica e culturale sembra sia stata spazzata via. Definitivamente sconfitte sotto i colpi della globalizzazione guidata invece da potentissime multinazionali che, al contrario, sognano un mondo senza differenze, uniforme, omologato nei bisogni e nella cultura perché lo stesso panino o la stessa bevanda, lo stesso salotto o lo stesso vestito si possa vendere agli Eschimesi come ai Sudafricani. Una di queste illusioni si sta melanconicamente sgretolando sotto i nostri occhi: l’Europa. Negli anni novanta le grandi offensive speculative scatenate contro paesi con economie importanti come l’Italia o la Francia aveva consolidato la convinzione che la costruzione di meta-stati come l’Unione Europea, potesse in qualche modo impedire dette offensive e governare i giganteschi processi in atto. Ci sarebbe stato bisogno di una Unione Europa con solide basi spirituali, praticando convinta solidarietà e sussidiarietà, autenticamente appassionata alle sorti dei popoli che raccoglieva. Una Europa che invece ha fatto del libero mercato interno e con l’insieme mondo il suo mantra dogmatico. Ha disinvoltamente e sospettosamente spalancato le porte a produzioni che sfruttano la schiavitù che fra, l’altro hanno costretto la de-localizzazione industriale con relativa perdita di lavoro sui nostri territori. In cambio dell’assoluta libertà di circolazione delle merci, nulla si è preteso dalle nostre multi-nazionali che per massimizzare i profitti, hanno de-localizzato made in China (ora è il Vietnam!) per poi re-importare senza nulla dovere alle frontiere. Proprio questo ha portato ad una concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochi ed alla scomparsa di quel ceto medio nelle nostre societàche non ha saputo compiere la transizione nella new-economy (grave in Europa, gravissima In Italia!) e che la vittoria di Trump ci ha rivelato essere altrettanto grave negli USA. Un ceto medio impoverito che ha dovuto ricorrere all’ indebitamento pubblico, finanche privato nel sud Europa, per salvare il suo wellfare. Così l’Europa, aldilà dei dogmi del politicallycorrect europeista i cui cardini si stanno rivelando molto sospetti quanto fallimentari, sta rivelando il suo vero volto: invece di promuovere solidarietà oltre le barriere, si è rivelata una formidabile cinghia di trasmissione degli interessi delle grandi multi-nazionali che vengono fatti forzatamente recepire ai vari stati (non più) sovrani in ossequio del sacro dogma della libera concorrenza. Questa è nei fatti la cifra del clamoroso fallimento dell’Europasistematicamente rifiutata dai popoli: una struttura meta-nazionale creata per difendere i diritti dei popoli e delle persone e che, invece, si è rivelata un formidabile strumento per rendere maggiormente pervasivi i grandi interessi delle multinazionali che avrebberodovuto invece essere educati (non combattuti ma educati!). Ma allora quale le soluzioni ? Le strutture meta-nazionali possono funzionare se e soltanto se i loro principi cardini siano solidarietà, sussidiarietà e federalismo, avendo come preoccupazioneprimariaquella di esaltare le culture e le storie dei popoli che la abitano. Ma è ormai fin troppo chiaro che l’UE non stia facendo questo! Se non fa quadrato e non difende il suo popolo è meglio chiuderla qui! La soluzione Bdovrà attingere da modelli culturali e comportamentali che al contrario favoriscano la valorizzazione della cultura e l’auto-determinazione dei popoli. Allora il modello più confacente potrebbe derivare da una ulteriore frantumazione delle sovranità statuali attuali e ritornare al modello delle Signorie o, se vogliamo, al modello odierno della Svizzera. La frantumazione delle tradizionali statualitàè ultimo antidoto da tentare per arginare la pervasività tragica degli interessi delle multinazionali per valorizzare il patrimonio sociale, culturale ed umano dei popoli. Il futuro dell’umanità dipenderà fortemente dalla capacità che avremo di valorizzare il capitale umano ed immateriale dei popoli. Già nel passato aver trascurato questo aspetto delle nazioni e dei popoli ci sono costate due guerre mondiali eduna terza combattuta a pezzi. I conflitti oggi Nord Sud, ad una attenta e più profonda analisi, sono le conseguenze perverse proprio di quella cultura omologante promossa dai grandi interessi economici e finanziari.