Francesco Paolo Francione: “Matera capitale della cultura della pace”. Di seguito la nota integrale.
Sono molteplici e varie, come è risaputo, le ipotesi avanzate dagli storici per spiegare l’origine del nome della nostra città: Matera, potrebbe indicare “il vuoto della cavità delle grotte” diffuse nel territorio; oppure il “ luogo posto in alto”; oppure, ancora, metheoron, il cielo stellato, come dall’alto apparivano le vallate dei Sassi illuminate da piccole fiammelle.
L’ipotesi meglio argomentata, invece, collega il nome alla radice latina e sanscrita che fa riferimento ai foltissimi boschi, al legname, (matheria) alla materia -madre che genera la vita. Matera come la madre-Terra“ la quale ne sustenta et governa, et produce diversi frutti con coloriti fiori et herba”.
L’ icona della Madre a simbolo della città, a me pare venga suggerita e rafforzata anche dalla narrazione che Francesco Paolo Nitti fa di quella leggendaria giornata del 21 settembre 1943: un soldato tedesco ucciso in via S. Biagio e trascinato nella “scaricata”, viene ricoperto con un lenzuolo “bianco di bucato, tutto toppe e buchi” da una madre che aveva figli lontano alle armi. “Lo guardava con un senso di accorata e materna pietà e diceva in dialetto, indicandolo a noi:
“Che peccato, era anche lui un figlio di mamma. Perché tutto questo?”
Anche nel giorno della vittoria sul nazifascismo, prevale nella donna il sentimento materno, della fratellanza universale che non giustifica nessuna forma di bestiale violenza. La Repubblica Italiana nasceva su un ideale di pace universale, coincideva – si può dire – con il ripudio della guerra “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
E’ difficile trovare espressioni più significative di quella usata dalla contadina materana per rifiutare con ogni mezzo tutte le guerre. Un sentimento attualissimo poiché, certamente, molte madri, ucraine e russe, sorelle più che mai, dinanzi ai figli morti, rivolgono ai loro governanti quella stessa domanda :” Perché tutto questo ?” E attendono da quattro mesi una risposta chiara e non ingarbugliata nelle retoriche contorsioni dei portavoce ufficiali.
C’è, oggi, un motivo in più per essere angosciati dalla guerra che si sta combattendo alle porte dell’Unione Europea; esso deriva dalla constatazione di quanto vacillante sia il potere di coloro che in questi mesi hanno gridato con più foga < All’armi>, incoraggiando e foraggiando la guerra con motivazioni semplicistiche e cangianti e, soprattutto, senza prospettive di soluzione del conflitto.
Il Primo Ministro dell’UK che con tanta baldanza ha realizzato la Brexit votata dal suo popolo cui non ha risparmiato, peraltro, un sacco di menzogne, distraendolo con un nevrotico viavai tra Londra e Kiev promettendo armi sempre più sofisticate, è stato cacciato dai suoi più fedeli e assennati compagni di partito e nel paese si attende ora un nuovo governo;
il Presidente degli Usa che, da oltre Atlantico, aveva preso posizioni forti e minacciose contro l’invasore, consapevole d’essere co-protagonista nella guerra, prende atto dello scarso consenso cui va incontro la sua azione politica e teme il ritorno del suo predecessore che la democrazia del Paese aveva messo a rischio; e, intanto, non riesce a bloccare le lobby delle armi che provocano una serie di morti assurde in patria e, forse, contribuiscono ad alimentare le guerre continue all’estero;
il Presidente della Francia che pure aveva cercato di tessere con lucida arte diplomatica un dialogo tra paese invasore e paese -vittima, ha perso le ultime elezioni e trova difficoltà nella formazione di un nuovo governo;
il Cancelliere tedesco che si è accodato ad una politica estera monotona, inviando armi e arrischiando gravi crisi economiche per il Paese, non fa che rendere più acuto il rimpianto di Angela Merkel di cui l’Europa tutta avverte la mancanza;
il Governoitaliano , nato per salvare il Paese dalla pandemia, ha praticato una politica estera in cui sono prevalsi atteggiamenti e toni i più aggressivi della UE,fino alle incredibili censure in campo culturale ; ma la maggioranza che lo sostiene si va indebolendo e le forze politiche della coalizione diventano ogni giorno più litigiose man mano che ci si avvicina alle elezioni politiche.
In breve, governi deboli e traballanti che però sisentono forti e autorizzati a politiche di dubbia saggezza, tutte incentrate sull’invio di armi e sulla serie infinita di pacchetti -sanzioni la cui efficacia resta tutta da dimostrare.
Il “senso comune”, aldilà delle spiegazioni fornite dal mass-media, intuisce che, se le industrie più floride sono quelle che producono armi, prima o poi devono essere elaborati plausibili pretesti per usarle.( Salvo poi a chiedere scusa, come fece Tony Blair per la guerra in Iraq).
Ma forse devono essere tenute presenti anche le riflessioni che J.Eaton (professore di Economia politica) sviluppava a metà del secolo scorso: “ gli antagonismi delle potenze imperialistiche si risolvono necessariamente con la guerra poiché non v’è altro mezzo per redistribuire le aree del mondo…”.
Ma, peggio ancora, è il rischio che “ un pugno di potentati industriali tenga nelle proprie mani i destini della “ democrazia “ in America , in Europa e in tutto il mondo.