Garantire i diritti politici ai cittadini”. E’ quanto chiede Maurizio Bolognetti (Radicali Lucani-Azione) nella lettera aperta inviata al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Di seguito il testo integrale.
Signor Presidente,
mi rivolgo a Lei con fiducia e nella certezza che il tema di cui provo ad occuparmi le stia a cuore, come dimostrato da suoi preziosi interventi. Mi rivolgo a Lei in quanto garante della nostra Costituzione.
In occasione del 70° anniversario di fondazione dell’Unione Stampa Periodica Italiana, Lei tra l’altro scriveva:
“La autenticità dell’informazione è affidata, dalle leggi, alla professionalità e deontologia di ciascun giornalista. Sarebbe fuorviante e contraddittorio con le stesse disposizioni costituzionali immaginare che organismi terzi possano ricevere incarico di certificatori della liceità dei flussi informativi”.
Parole sacrosante che non posso che condividere. Una docente di Harward, la prof.ssa Shoshana Zuboff, qualche tempo fa ha dato alle stampe uno straordinario libro, intitolato “Il capitalismo della sorveglianza”. Una forma di capitalismo, signor Presidente, che rappresenta, a mio avviso, un pericolo per la qualità delle nostre democrazie, per la democrazia.
I baroni del capitalismo digitale, descritto in maniera eccellente nel libro della sopracitata docente, si arrogano il diritto di stabilire quali siano le opinioni e le idee che è possibile diffondere e quali quelle che invece vanno censurate e rimosse. Potenti multinazionali quali Google, Meta (Facebook), ecc. di fatto vestono, nei confronti dei cittadini e di esponenti della libera stampa, i panni di giudice, boia, pubblico ministero e giuria, senza che ci sia una reale e concreta possibilità di opporsi alle loro opache decisioni. Lo fanno, ahimè, anche affidandosi a “certificatori”, spesso non immuni da patenti conflitti d’interesse. Questi soggetti imprenditoriali, che fin dalla loro nascita hanno operato in assenza di ogni pur necessario controllo e regolamentazione, rappresentano un autentico e concreto pericolo per le nostre democrazie, se consideriamo quanta parte dell’informazione viaggia oggi sui codici binari della rete.
E per dire quanto tutto questo sia vero, credo non sia necessario citare il caso “Cambridge Analityca”.
Non starò a dirle, signor Presidente, che io stesso, in quanto giornalista, sono stato oggetto di questa censura, che ha portato alla cancellazione di un canale Youtube che conteneva oltre 2000 video. Non glielo dirò, perché la questione che pongo, a prescindere dal mio caso, o se vuole dalla purga che ho dovuto ingurgitare, riguarda tutti; riguarda l’art. 21 della nostra Costituzione e quel diritto alla conoscenza che è sinonimo di democrazia. Lor signori non sono editori, ma si comportano da tali; non si assumono responsabilità su quanto viene pubblicato, ma nel contempo e in maniera arbitraria intervengono a censurare alcuni contenuti, mentre chiudono gli occhi su ogni sorta di oscenità che viaggia sui loro canali e magari si mettono al servizio di regimi totalitari.
Io non parlo, sia chiaro, di un diritto – che non c’è – a poter impunemente diffamare o calunniare. La calunnia e la diffamazione, quando ci sono, andrebbero perseguite duramente e celermente (cosa che quasi mai avviene) sia on-line che off-line.
No, io parlo di libertà di pensiero e di opinione, che non possono essere conculcate.
Io parlo di quel: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Tutti, appunto.
Lei, signor Presidente, il 27 luglio 2015 ha consegnato a noi tutti un prezioso messaggio: “La conoscenza – e il diritto alla conoscenza – è un tema emergente della nostra epoca, che merita attenzione a livello dello stesso sistema delle Nazioni Unite. Viviamo il tempo della globalizzazione e dell’informazione veloce, in apparenza senza confini. Le nuove reti e i network sociali sono strumenti straordinari, con enorme potenziale democratico, ma al tempo stesso non si deve dimenticare che l’informazione globale può cadere in tentazioni di rinnovato machiavellismo”.
Da uomo, da militante politico, da giornalista, da persona che da una vita intera si batte per onorare l’einaudiano “conoscere per deliberare”, rileggo spesso questo suo messaggio, che è fonte di conforto, alimento e forza.
Dall’11 maggio, signor Presidente, ho deciso di alimentare il mio Satyagraha attraverso lo sciopero della fame. Un’azione di dialogo nonviolento, da parte di chi crede nella forza della nonviolenza, che ho provato a spiegare con queste parole: “In questo Paese si incatenano le idee e il necessario dibattito su temi importanti, che vengono puntualmente rimossi dall’agenda politica. Se siamo preoccupati per lo stato in cui versano le nostre democrazie, se riteniamo che il diritto alla conoscenza sia sinonimo di democrazia, allora occorre rendere centrale nel nostro agire questo tema. Viviamo in un Paese dove a più riprese è stato violato il “Codice di buona condotta in materia elettorale”. Viviamo in un Paese in cui non abbiamo potuto illustrare le nostre ragioni per rispondere a coloro che, vestendo i subdoli panni del demagogo, hanno portato un attacco letale alla rappresentanza democratica. Viviamo in un Paese in cui, troppo spesso, le tornate elettorali non rispettano standard democratici internazionali. Viviamo in un Paese in cui la fame di democrazia, stato di diritto, giustizia e diritti umani non ha diritto di cittadinanza. La nonviolenza non ha diritto di cittadinanza”.
Signor Presidente, nel 2010 firmavo con Marco Pannella un documento intitolato “Senza democrazia non vi sono elezioni, ma solo violente finzioni contro i diritti umani e civili”.
Quel compianto Marco Pannella, che, nell’agosto del 2015, interveniva dai microfoni di Radio Radicale per chiederle di ascoltare un mio intervento, tenuto a Napoli nel corso di un convegno dedicato al rischio Vesuvio.
Il 27 novembre 2023, il gruppo “Per il giornalismo”, costituito da 21 Consiglieri del CNOG (Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti) tra l’altro scriveva: “L’ occasione dello sciopero della fame attuato da un collega iscritto all’Ordine dei giornalisti della Basilicata è utile ai consiglieri nazionali del gruppo “Per il giornalismo” per rilanciare la questione all’origine dell’iniziativa in corso. La chiusura del suo canale Youtube induce a sollecitare un dibattito pubblico sul diritto di accesso a tali piattaforme, che pur essendo di proprietà privata, svolgono ormai una funzione pubblica. L’oscuramento totale del canale YouTube e la cancellazione di oltre 2000 video senza possibilità di appello e senza una distinzione tra i diversi video, sono una forma di bavaglio inaccettabile. Non si possono così calpestare le norme in vigore in Italia, in Europa e nel resto del mondo che tutelano ad ogni individuo la libertà di manifestazione del pensiero “con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, previste dagli articoli 2, 3 e 21 della Costituzione italiana, dall’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dall’art. 10 della CEDU – Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dall’art. 19 del Patto ONU sui diritti civili e politici, firmato a New York il 16 e il 19 dicembre 1966 e ratificato con legge 25 ottobre 1977 n. 881. Riteniamo che la vicenda del collega sia emblematica e induca a una riflessione più generale sui rischi di una deriva antidemocratica delle grandi piattaforme web che di fatto sono in grado, senza alcuna possibilità di contraddittorio o confronto, di limitare in maniera pesante la libertà di pensiero e di espressione, oscurando punti di vista e voci “sgradite”.
Tutto questo in risposta alle ragioni della mia ennesima azione nonviolenta, che avevo tra l’altro provato ad illustrare così: “A più riprese in questi anni ho posto una questione: è accettabile che grandi multinazionali, che agiscono in regime di monopolio/oligopolio, possano vestire i panni di giudice, boia, giuria e PM? A mio avviso no. Chiedo alla stampa libera, se ce n’è ancora una, di darmi la possibilità di illustrare le ragioni della mia iniziativa. Chiedo che si discuta finalmente di questioni attinenti l’art. 21 della Costituzione che meriterebbero la massima attenzione anche da parte della politica. Come sempre sarà fame di democrazia, libertà, conoscenza e diritto alla conoscenza; fame di diritti umani, e il diritto alla conoscenza lo è. Fame per dialogare, forse donchisciottescamente, contro chi non vede, non sente, non parla e non vuol vedere, sentire e parlare. Fame per dialogare contro chi ogni giorno ci sottrae democrazia e verità, diritti e Stato di diritto. La fame di chi è convinto che non viviamo solo per soddisfare i nostri bisogni primari. Ci sono tanti modi di ammazzare una persona e uno di questi è decretarne la morte civile. Nel 1989, il mio compagno Marco Pannella, in una lettera indirizzata a Nilde Jotti, scriveva: «Dovunque si volga lo sguardo il prevalere di impulsi, riflessi, violenze istituzionali e sociali di carattere inequivocabilmente fascistico mi appare tragicamente chiaro. Se manca, o sembra mancare, la violenza squadristica, con le sue vittime e i suoi assassini, è perché l’assassinio dell’immagine, della verità, della tolleranza, delle idee, delle stesse leggi e del loro fondamento morale, la Costituzione, lo si compie oggi ogni ora, in modo più completo, profondo, radicale di allora, attraverso l’opera dei mass-media». Ecco, dovremmo chiederci cos’è il fascismo, qual è lo stato di salute delle nostre democrazie e se per caso non rischiamo di veder materializzarsi nuove forme di strisciante totalitarismo. Una volta di più chiudo citando Luigi Sturzo: «Non c’è libertà dove c’è menzogna, perché la libertà è figlia della verità”.
E se le dicessi, signor Presidente, che, tranne rarissime eccezioni, né l’intervento del gruppo “Per il giornalismo”, né il prezioso voto unanime dell’intero Consiglio Cnog furono ripresi dalla stampa? Verrebbe da dire: il documento è stato reso noto e quindi clandestino.
Sono convinto, signor Presidente, che a più riprese nel nostro Paese si sia consumato quello che tecnicamente il legislatore definisce “Attentato contro i diritti politici del cittadino”. Parlo di quell’art. 294 del Codice Penale che, come lei ben sa, recita: “Chiunque con violenza minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte l’esercizio di un diritto politico, ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme dalla sua volontà, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”.
C’è violenza e c’è inganno, signor Presidente, nella censura, nella rimozione, nella falsificazione, nel dibattito negato. Quella violenza e quell’inganno che si sono consumati in passato, in occasione di campagne elettorali e referendarie, per esempio. Ecco, a me sembra che, oggi più che mai, in questa campagna per le Europee sarebbe utile un suo invito ad onorare il diritto umano alla conoscenza.
Nel rivolgermi a Lei con fiducia, spero che trovi il tempo e il modo per darmi un riscontro, anche un suo cenno scritto. Sarebbe questa certo una buona ragione per sospendere l’azione in corso e sazierebbe la mia fame di democrazia, stato di diritto e libertà.
Con stima
Maurizio Bolognetti
Responsabile diritti umani Azione Basilicata
Segretario di Radicali Lucani
Giornalista freelance