Nel giorno della nostra tristezza condivisa con chi ha sofferto l’odio razziale e la emarginazione dei più deboli, bisogna affermare il principio della lotta all’indifferenza come assunto della nostra capacità di difendere le categorie più esposte ed oggetto di tirannie e soprusi.
E’ questo l’insegnamento più alto e nobile che vogliamo affermare nella Giornata della Memoria le cui celebrazioni sono state necessariamente limitate all’essenziale.
Ma le testimonianze di chi ha sofferto le pene dell’inferno dopo la cattura dell’esercito nemico tedesco e lo sterminio degli ebrei, suonano come vero monito per le giovani generazioni. Sempre, in ogni momento della nostra vita per la quale dobbiamo combattere e lavorare in difesa dei principi di libertà e democrazia.
Oggi, partecipando alla cerimonia che il Prefetto Annunziato Vardè ha tenuto in Prefettura per consegnare le onorificenze alle famiglie di tre deportati lucani, abbiamo vissuto sulla nostra pelle le emozioni e le sofferenze dei nostri corregionali e sono risuonate le parole che gli scampati allo sterminio ci hanno consegnato con i loro scritti ed i loro filmati, in uno con le parole che ci ricordava il lucano Saponara o gli ebrei del Ghetto: non dimenticate che più che l’odio potè l’indiferrenza.
Le loro parole suonano come monito, alla nostra indifferenza.
L’indifferenza che celebrò Martin Niemoeller e che faccio mia:
«Quando i nazisti presero i comunisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero comunista./ Quando rinchiusero i socialdemocratici/ io non dissi nulla/ perché non ero socialdemocratico./ Quando presero i sindacalisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero sindacalista./ Poi presero gli ebrei,/ e io non dissi nulla/ perché non ero ebreo./ Poi vennero a prendere me./ E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa».