Guerra in Ucraina, Basilio Gavazzeni: Bisogna continuare a pensare e a dire, sperando “contra spem”. Di seguito la nota integrale.
Il peggio non è sicuro?
Purtroppo il detto “Le pire n’est pas sûr” che Paul Claudel attinse dalla sapienza spagnola è smentito. Siamo impauriti. Oggi tentiamo di credere che il peggio del peggio non sia sicuro.
Fratelli
Russi e Ucraini sono fratelli come Caino e Abele. Adesso ne abbiamo la prova. E non dimentichiamo l’eccidio dei kulaki voluto da Stalin al principio degli anni Trenta per collettivizzarne le terre: 5, forse 8, addirittura 10 milioni di contadini ucraini fatti morire di fame o deportati in Siberia. Fratelli, si conceda, ma diversi: i primi controllati e oscurati da un solo uomo, gli altri ormai avvezzi alla libertà democratica. “Ergo”, negati al condominio.
Pacieri inaccettabili
Accade: mentre uno che ha del tutto ragione discute animosamente con altri che ha torto marcio, vede intromettersi qualcuno che esorta alla calma, prescindendo dalla verità sottesa al confronto. Accade anche davanti a questo conflitto, ignorando l’asimmetria che c’è fra una libera nazione aggredita e l’aggressore imperialistico.
Darwinismo irricevibile e papa Francesco
Un frammento di Eraclito recita che la guerra (il lemma greco è maschile) è “il Padre e Re di tutte le cose”. Nella “Guerra del Peloponneso” di Tucidide, gli Ateniesi contro i Melii affermano che è la legge della natura a stabilire il dominio del più forte. Putin dimostra di non pensarla diversamente. È chiaro che il diritto e l’etica vengono esclusi. Ma in che mondo vivremmo se tale iniquo darwinismo prevalesse? Papa Francesco testimonia con franchezza la verità antitetica a questa concezione animalesca (talora insinuata in modo sfumato) e ne addita l’empietà scatenata perfino sui più innocenti. Non pochi opinionisti, serrati in una mera visione geopolitica, sottovalutano le parole pur tanto condivise di papa Francesco. Cristiano scevro da confessionalismo, lui, esperto in eternità e, al contempo, in storia, ha intelligenza e cuore universali, senza indulgere a un cosmopolitismo vacuo e irresponsabile, ed esalta l’attaccamento dei popoli alla propria carne, territorio–cultura–lingua–radici–fede, ovviamente nella pace. Papa Francesco, poi, non è un uomo solo, ma è un uomo–noi. Accorato, parla e ci chiede di parlare “nell’orecchio di Dio” (Emily Dickinson) perché ci ascolti in questa distretta.
Volontari pro Putin
Corpulenti, barbuti, biecamente minacciosi, i guerriglieri ceceni convocati da Putin. Esperti in guerra urbana sono temibili. Più dei siriani e dei libici, egualmente invitati, che, non avvezzi al freddo e alla neve, potrebbero trovarsi in difficoltà, ma si riservano il diritto di stuprare e depredare. Fra loro vi sono quelli che giocavano con le teste mozze dei bambini.
“Éminence grise”
Dicono che Richelieu contasse sui pareri di “père Joseph” dal cui saio cappuccino derivò l’appellativo di “eminenza grigia”. Ancor oggi, tale è considerato un personaggio che influisce ma non compare. L’eminenza grigia (sedicente?) di Putin è invece apparso in un programma televisivo che gli ha assicurato lunghezza d’intervento. È il filosofo Aleksandr Gel’evič Dugin. Dal suo studiolo il pensatore, imperturbato e senza tergiversare, ha risposto a tutte le domande dell’intervistatore. Come un oracolo ha compendiato la sua dottrina: è necessario che la grande e santa Madre Russia corrisponda alla propria vocazione storica e contrasti il nuovo totalitarismo, la deriva morale, anzi il peccato delle democrazie occidentali. Le parole rivolte da Putin agli spettatori fatti affluire nel suo stadio hanno riproposto la stessa concezione, evocando per di più nazismo e citando il Vangelo di Giovanni.
Stallo più che blitz
“Di quel securo il fulmine / tenea dietro al baleno” è la metafora con cui Manzoni individuò la dote per eccellenza di Napoleone. Putin non ha pensato all’associazione precipite di baleno e fulmine. Avrebbe evitato l’ostensione dei carri armati. Forse la guerra lampo è stata solo una nostra ipotesi. Comunque Putin non ha previsto che l’operazione speciale finisse in stallo, e ora infierisce.
Profili paralleli?
Sul modo di comunicare di Zelensky, eroe–popolo a capo di un eroico popolo-esercito, e di Putin, solo e intavolato, non mette conto soffermarsi. Val la pena soppesare il malizioso parallelismo che qualcuno istituisce fra le proprietà all’estero dell’uno e dell’altro. Zelensky è Presidente soltanto da due anni: ciò che possiede e ha investito è farina del suo sacco di attore brillante, regista di oltre cento film e produttore. Sono meno ricchi i nostri uomini di spettacolo? Putin, da oltre vent’anni sempre più monarca assoluto della Russia, uomo fra più ricchi al mondo, proprietario di principesche dimore all’estero, per forza è un ladro che accumula ricchezze sottratte al suo popolo economicamente atterrato. Comunista e capitalista imperiale (Zar!), Putin incarna un ossimoro che dovrebbe smuovere la riflessione sui frequenti sbandamenti criminali della storia russa, almeno a partire dall’Ottobre Rosso.
Come andrà a finire?
Se le perorazioni molteplici per la pace e le richieste d’accordo falliranno per l’inflessibilità di Putin che cosa accadrà? La “force” russa avrà la meglio? E in quanto tempo e con quali perdite? Quella di Putin sarà un vittoria di Pirro? Come a Pirro gli cadrà una tegola mortale sulla testa? Chi metterà mano a ricostruire l’Ucraina? Zelensky si immolerà sul campo, cadrà come il Braveheart di Mel Gibson, catturato e imprigionato da Putin sarà esibito come Vercingetorige da Cesare che “uomo d’onore” (come ripete l’Antonio di Shakespeare) dopo averlo messo in prigione pare l’abbia fatto strangolare, riparerà all’estero? L’Ucraina sarà depezzata e il suo popolo spinto a ulteriore emigrazione, deportato e sostituito? E se per Putin la questione ucraina fosse solo un pretesto, avendo l’intento di sovvertire l’assetto dell’Occidente se non l’ordine mondiale?
Quando la storia assorda
Enfiati da uno smaccato individualismo, patiamo l’umiliazione di sentirci degli zero. Reagiamo! Riconosciamo l’oggettiva grandezza ontologica di ogni persona che, nella fraterna comunione del “noi”, può sempre far qualcosa per arginare il male.
Pensare e dire è un dovere di tutti. Chi può pensi e dica di più. V’è da ringraziare i giornalisti sui fronti che ci fanno comprendere che le nostre parole, se non sono allumacature su un terreno inzuppato di sangue, risultano comunque troppo accomodate e distanti. Ci resta di rimediarvi facendo la verità nel soccorrere i profughi.