Guerra in Ucraina, Basilio Gavazzeni. “Nel vortice: esercizi di riflessione”. Di seguito la nota integrale.
Ballada o soldate
Chissà se in Russia rivedono La ballata di un soldato (Ballada o soldate), URSS 1959, di Grigorij Čuchraj, film del disgelo che riportò il premio speciale a Cannes. L’orrore per la guerra per quanto patriottica, l’esaltazione del legame con la madre, il respiro del disteso paesaggio e il lirismo vi elevano un tema di sicuro pacifismo. La storia del soldatino che ha ballato una sola estate potrebbe essere un messaggio per i soldatini di leva russi mandati a uccidere e a morire in Ucraina. Su nessuno di loro dovremmo rimpiangere ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, le cose che avrebbe potuto fare e non ha fatto, l’amore che poteva dare e non ha dato, come invita la didascalia a chiusura del film.
Narrazione, narrativa, narrative
Ora sono fra le parole più risonanti. Vengono applicate alle propagande dell’aggressore e dell’aggredito e ai resoconti dei giornalisti. Un tempo aprivano alle prime letture i fanciulli e dischiudevano pagine e pagine all’onnivora curiosità degli adolescenti ammaliati dal canto vario del mondo. Si riferivano a Stevenson, Dumas, Kipling, Salgari e altri in edizioni ridotte o integrali. Oggi svelano una realtà striata di sangue, zuppa di lacrime, tutta missili e bombe a grappolo, distruzioni fumiganti e diaspora, guerra cibernetica economica psicologica giusta ingiusta, di terra mare e aria, offensiva difensiva di attrito, e sono applicate anche alla propaganda menzognera dei talk russi.
Gusto e rifiniture esemplari
Le immagini ucraine inondano le nostre menti e costringono alla retrocessione quelle petulanti dell’esistenza che ci gratifica. Sono immagini, per dirla con il linguaggio filmico, mediate da campi lunghissimi, lunghi e totali, da figure intere o a metà, primi piani, dettagli e materiali plastici di concentrata forza simbolica. Indelebili i primi piani che, ne adatto la definizione di Béla Balázs, sono la rivelazione dell’invisibile strazio interiore. Le immagini dei cameramen ci introducono sia in abitazioni private sia in edifici pubblici. Esterrefatti per i danni inferti, più deliberati che collaterali, può sfuggirci quanto gli interni delle une e degli altri siano rifiniti e arredati. Per forza siamo costretti a fare il paragone con quelli soprattutto delle nostre strutture pubbliche regolarmente ammalorate. Gli ucraini, ammettiamolo, sono accorti amministratori del proprio e costruttori ammirevoli. Chi li aiuterà a ricostruire con lo stesso perfezionismo?
Ronzio d’un’ape dentro un bugno vuoto
Un tempo compariva in tutte le antologia per le medie il poemetto tripartito I due fratelli di Giovanni Pascoli. Gli insegnanti possono proporlo contro il bullismo e la guerra. Verso sera due fratelli, giocando, litigano fino al sangue. La madre li stacca e li manda a letto. Poco dopo, li trova dormienti, placidi l’uno all’altro stretto. Nella terza parte del poemetto, il poeta, innalzandosi a una meditazione siderale e laica, invita alla pace gli uomini nella truce ora dei lupi e nella guerra definita ronzio d’un’ape dentro un bugno vuoto: Uomini pace! Nella prona terra / troppo è il mistero; e solo chi procaccia / d’aver fratelli in suo timor, non erra. Le loro braccia non sappiano la lotta e la minaccia, così che buoni e in pace li trovi la morte con la sua lampada accesa, quando non intesa, non vista si chinerà sopra di loro.
Necessità di voci per le anime vive
Chi ha conosciuto la Russia divulgata e tradotta da slavisti come Vittorio Strada e il geniale Angelo Maria Ripellino, in questi giorni terribili, prega che gli artisti e gli intellettuali abbiano la forza e, soprattutto, l’ispirazione per esprimere ciò che l’anima umana viva vede in quel che sta succedendo. Lo augura Olga Sedakova, considerata la maggiore poetessa russa vivente, puntualizzando che un’anima non può rimanere viva senza verità, senza libertà, senza compassione. In quale maniera? Boris Pasternak consigliava di non cercare altrove, ma di trivellare in sé stessi per trovarci il popolo la terra e il cielo.
Fiochi contro la voce del capofamiglia
In Russia gli intellettuali e i creativi hanno voci troppo fioche, a detta di Guzel’ Jachina, l’autrice di due romanzi sulla dekulakizzazione. Loro risponderebbero soltanto alla coscienza, senza rivoltare la realtà. Dall’epoca sovietica gran parte delle famiglie russe ha come capofamiglia lo Stato, alias Stalin ieri, Putin oggi. La repressione e l’incarcerazione schiacciano il dissenso. La Tv statalista catechizza con le celebrazioni della Grande Guerra Patriottica 1941-1945, accusa gli ucraini di aver consumato un eccidio nel Donbas e oscura l’occupazione russa della Crimea, coltiva l’orrore per il nazismo già profondamente radicato nella psiche dei russi mentre Putin procede come il Terzo Reich e Stalin, incita alla preparazione di una Grande battaglia contro il Male del mondo, cioè le atee democrazie d’Occidente. Sottese le teorie più magiche che cristiane sul Russkij mir e sulla Santa Rus’, condivise sia da Putin sia dal Patriarca ortodosso di Mosca, suo cappellano come lo definisce Marco Tarquinio.
I Papi, Francesco e la guerra
Tiriamo il collo alla Storia, consapevoli di saltabeccare e semplificare. All’invito di un Papa, una torma di guerrieri s’imbarcò per la Terrasanta a liberare il Santo Sepolcro. Non si dimentica la locuzione inutile strage con cui Benedetto XV stigmatizzò la Prima Guerra Mondiale. Da documenti incontrovertibili conosciamo la vera, coraggiosa posizione di Pio XII di fronte a Hitler. Stalin sornionamente chiedeva di quante divisioni disponesse il Papa. Papa Roncalli nel 1962 s’interpose per la pace nella crisi fra Stati Uniti e Cuba-Russia. A Giovanni Paolo II si attribuiscono, con un po’ di esagerazione, la caduta del Muro di Berlino e il dissolvimento dell’Impero Sovietico. Papa Francesco, a conoscenza delle innumerevoli guerre in corso, da cui noi preferiamo torcere lo sguardo, ha parlato di Terza Guerra Mondiale a pezzi. Davanti alla guerra insensata e crudele in Ucraina ha messo al lavoro la diplomazia vaticana e non fa che impetrare pace da Dio e dagli uomini. La sua voce, finora trascurata dagli esperti di geopolitica, si trova al centro delle discussioni. Il Papa non sventola una bandierina clericale e moralistica. Sa che ormai la guerra, a causa della moltiplicata potenzialità del nucleare, non deve più aver luogo. Ritiene che, mentre tanta umanità giace nella miseria, produzione e vendita di armi sono vergognose. Non che dimentichi che c’è un aggredito e un aggressore e che il primo ha diritto a difendersi. Non è per la resa, è per la pace. “Vada a Kiev” osiamo suggerirgli spudoratamente, come se, potendo, non andrebbe prima a Mosca (scansando i calici di vodka e Martini con cui a Yalta nel 1945 Stalin giocò Churchill e Roosvelt). Dovremmo piuttosto chiederci perché, uomini di buona volontà, non abbiamo radunato una grande armata gandhiana, meno costosa delle armi, per presidiare pacificamente l’Ucraina. Nel 2015, Francesco, in un discorso sul rinnovamento dell’educazione, proponeva il superamento dei determinismi e dei fatalismi con cui l’egoismo del forte, il conformismo del debole e l’ideologia dell’utopista s’impongono come unica strada possibile. A sé e a noi nel vortice insegna ignazianamente: Confida in Dio come se tutto dipendesse da te, e niente da Dio. Tuttavia metti in atto tutto, come se niente debba essere fatto da te e tutto da Dio solo.