Uno sguardo alle cifre e ai progetti rivisitati con un occhio al Mezzogiorno, a cura di Pierluigi Diso. Di seguito la nota integrale.
Il Portogallo si attesta come primo Stato membro dell’Ue a presentare il proprio piano di Recovery, mentre l’Italia serra le fila e accelera per rispettare la scadenza di fine mese. Il Presidente del Consiglio Mario Draghi e i ministri coinvolti nella stesura del Piano hanno messo a punto la bozza finale, che l’Italia deve presentare a Bruxelles entro il 30 aprile. Il piano italiano per il Next Generation Eu arriva oggi (23 aprile) in Consiglio dei ministri con cifre e progetti rivisitati. Mario Draghi negli incontri dei giorni scorsi si è limitato ad ascoltare senza rivelare i dettagli del Piano, e solo nella tarda serata di ieri sono iniziate a circolate schede e tabelle in vista della cabina di regia con i capidelegazione che dovrà mettere a punto gli ultimi dettagli prima del via libera finale in Cdm. Il Governo presenterà un pacchetto complessivo di interventi da 221,5 miliardi. Da un lato ci sono 191,5 miliardi coperti con il Recovery Fund vero e proprio (138,5 per nuovi progetti e 53 per sostituire coperture di progetti già in essere), dall’altro i 30,04 del Fondo complementare alimentato con lo scostamento di bilancio in cui dovranno confluire i progetti “esclusi” dal Piano. Ieri si è chiusa anche la Conferenza Unificata convocata dalla ministra Mariastella Gelmini, con gli ultimi incontri fra le Regioni, gli enti locali e i singoli ministri sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il Presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, sul PNRR ha detto che è “fondamentale mettere a sistema le risorse”. Il testo risulta essere blindato, facendo storcere il naso alla maggioranza parlamentare: pare sia stato segretato dal presidente e dal circolo dei cinque ministri competenti e cinque sono le riforme previste dal Piano italiano: pubblica amministrazione, giustizia, fisco, semplificazione normativa e concorrenza. Si tratta di un punto decisivo. Il gioco si ripete dopo Conte che voleva scriverlo con i suoi tecnici? Resta stabile l’impianto articolato in 6 missioni, a cambiare sarebbero invece le risorse messe a disposizione per ognuna: si riducono complessivamente i fondi per ogni settore di intervento, eccetto per ‘Istruzione e ricerca’, che guadagnerebbe risorse nella nuova versione. Le sei missioni comprendono una serie di componenti funzionali per realizzare gli obiettivi economico-sociali definiti nella strategia del Governo, articolate in linee di intervento con una serie di progetti, investimenti e riforme collegate. Tanti miliardi fanno davvero gola a molti, speriamo solo sia mantenuta la promessa dei soldi per il Sud, dando così la possibilità all’Italia e al Mezzogiorno di voltare pagina dopo vent’anni di stagnazione, destinando il 40% delle risorse partendo dagli enti locali e mettendo poi le imprese del Sud nelle condizioni di operare. Un maxi-capitolo è dedicato alla digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura con un fondo di 46,3 miliardi di euro. Anche l’istruzione avrà il suo bottino per migliorare l’accesso all’apprendimento, ridurre le disparità, implementare la ricerca universitaria, sino all’inclusione sociale. Finalmente un occhio particolare avranno le politiche per l’occupazione, le infrastrutture sociali e la coesione territoriale. Per la crescita l’Italia non ha destinato solo i fondi europei, ma ha aggiunto anche quelli del fondo complementare nazionale, che serviranno a finanziare opere infrastrutturali che potranno essere realizzate anche oltre i sei anni previsti dal Next Generation EU. Delle risorse complessive, 191,5 miliardi verranno dal Recovery and Resilience Facility e 30 miliardi confluiscono nel fondo complementare al Recovery, in cui rientrano gli investimenti che non sono inclusi nel PNRR vero e proprio. Il Piano permetterà una crescita del PIL superiore al 1,5% e del 2% nel prossimo 2026. Attendiamo adesso che le riforme indicate nel Piano siano spiegate più nel dettaglio, dal momento che la Ministra Carfagna ha detto che una “…trasparenza la dobbiamo a venti milioni di meridionali che aspettano anche un nuovo approccio politico e culturale alla ricostruzione del Mezzogiorno”. Attendiamo la partenza delle dieci opere strategiche per avviare quel processo di Green new deal di cui si parla da mesi. I progetti sono distribuita da Nord a Sud, ma si concentrano in particolare sul rafforzamento delle politiche per il Mezzogiorno. Dall’esecutivo di Mario Draghi ci aspettiamo scelte coraggiose e radicali sui progetti da finanziare, puntando sulle tecnologie pulite per la produzione di energia rinnovabile, sull’idrogeno verde, sugli impianti di economia circolare, sulla mobilità a emissioni zero in città, sulla rigenerazione urbana, sull’agro-ecologia, sul turismo sostenibile. Solo così si potrà concretizzare la transizione ecologica di cui si parla da anni e proiettare davvero l’Italia al 2030 rendendola più verde, pulita e inclusiva. È questo il momento giusto per dimostrare quella volontà politica che è mancata finora, evitando allo stesso tempo gli errori del passato. L’Italia e il Sud non devono perdere questo treno e secondo un sondaggio commissionato dal Parlamento europeo, sette italiani su dieci sono ottimisti sul piano di ripresa dell’Unione Europea.
Pierluigi Diso