Il legale Giuseppe Silvano, originario di Irsina e residente a Modena per motivi professionali, in una nota ripercorre le tappe della riforma della legge fallimentare. Di seguito la nota integrale.
La riforma della legge fallimentare realizzata negli anni 2006-2007 ha trasformato profondamente le tradizionali procedure concorsuali (e in particolare il fallimento). Quel che è stato rivoluzionario è il profondo mutamento della concezione della procedura fallimentare.
In questo nuovo quadro normativo, il fallimento da “sanzione” conseguente – sul piano civilistico – all’accertamento dello stato di insolvenza dell’imprenditore si è trasformato in uno strumento autonomo che non necessita di alcuna penalizzazione ulteriore del fallito.
L’imprenditore fallito, infatti, a condizione che abbia cooperato con gli organi della procedura fallimentare, può ora accedere al beneficio dell’esdebitazione (ovvero la liberazione dai debiti contratti).
Da qui si è venuta a creare una situazione piuttosto paradossale, e cioè che la procedura fallimentare, un tempo fortemente considerata sanzione penalizzante per l’imprenditore, ora in un certo senso si è trasformata in una opportunità che consente quindi al debitore di ripartire serenamente.
Da tale angolazione, coloro i quali erano stati esentati dal fallimento (i consumatori, piccoli imprenditori, professionisti) si sono perfino risentiti di godere di tale tutela. Nel mutato assetto normativo, l’immunità concessa ai debitori non fallibili viene piuttosto percepita come esenzione da un possibile vantaggio, ovvero l’opportunità di estinguere una volta e per tutte i propri debiti.
Anche per questo, probabilmente, il nostro Legislatore ha avvertito l’esigenza di introdurre nel nostro ordinamento l’istituto del c.d. “fallimento civile”, riservando lo stesso ai debitori esclusi dalla disciplina generale sulle tradizionali procedure concorsuali.
Con la Legge del 27 gennaio del 2012, meglio nota come “legge salva suicidi”, è stata quindi introdotta la procedura di composizione della crisi, con l’obiettivo di sottrarre il debitore al fenomeno ormai diffuso dell’usura.
Tale normativa prevede una tripla garanzia a tutela del soggetto insolvente che gode ora della possibilità di ricorrere in alternativa all’ “accordo di ristrutturazione con i creditori”, alla “liquidazione del patrimonio del debitore” e al “piano del consumatore”.
L’effetto esdebitatorio (ovvero, ripeto, liberazione dai debiti contratti) è conseguenza diretta sia dell’accordo di ristrutturazione del debito, sia del piano del consumatore, a patto che l’accordo e il piano vengano rispettati dal debitore.
Per contro, tale effetto, nella procedura di liquidazione del patrimonio, si realizza a patto che il patrimonio del debitore sia sufficientemente capiente da garantire la soddisfazione dei creditori.
In definitiva, si tratta di strumenti introdotti dal Legislatore a favore di chi intenda far fronte ai propri debiti pur non avendo la capacità economica – e forse neppure più quella emotiva – di estinguerli.
Sia chiaro, la possibilità di accedere a tali misure va esaminata caso per caso. Le condizioni richieste dal Legislatore sono numerose e non sono esaminabili in modo esaustivo in questa sede.
Ciò che però tengo a precisare – soprattutto per il periodo di grave incertezza economica che stiamo attraversando – è che anche dalle situazioni di indebitamento più grave è possibile uscirne, ed anzi uscirne vincitori!