Istituzione DIA in Basilicata, intervento di don Marcello Cozzi Presidente Cestrim e Fondazione nazionale antiusura Interesse uomo.
Quando nel 2007 il Tribunale di Potenza sancì per la prima volta in Basilicata con sentenza di primo grado la condanna di una mafia tutta lucana, i cosiddetti Basilischi (al di là del percorso tortuoso che poi ebbe questo processo fino allo stesso pronunciamento della Cassazione), da più parti si disse che ora finalmente potevano ritenersi soddisfatti quanti per anni avevano lanciato allarmi circa quella presenza, e che comunque se di mafia si trattava non era certo paragonabile alle altre che assediano le regioni a noi confinanti.
A distanza di quindici anni accogliamo con soddisfazione l’insediamento della Dia in Basilicata e ringraziamo quanti, a partire dal Procuratore Capo della Repubblica Francesco Curcio, si sono adoperati perché ciò avvenisse.
Per evitare però che l’insediamento del massimo organo investigativo antimafia del Paese venga vissuto come qualcosa che riguarda solo le forze dell’ordine e la magistratura o peggio ancora come una semplice risposta alle giuste richieste portate avanti dalla Procura, per evitare cioè che si cada in quella stessa logica di pensiero con la quale fu accolta quella sentenza del 2007, e cioè come un contentino finalmente concesso a qualcuno, c’è bisogno del contributo di ogni pezzo della società lucana.
Perchè la Dia, le Forze dell’ordine, la magistratura nell’opera di repressione potranno dirci quali sono gli affari delle mafie in Basilicata, in che modo anche dalle nostre parti si stanno evolvendo, e al massimo ci diranno – come altrove in Italia, e ce lo auguriamo – quali sono i nomi al di sopra di ogni sospetto, le connivenze con poteri più o meno forti, le nuove vie della corruzione e di certe logiche clientelari che non si riconoscono come mafia ma lo sono a tutti gli effetti.
Il resto dobbiamo farlo noi. A noi come singoli cittadini, come Politica, come Chiesa, come società civile, tocca il compito cioè di non cadere in quell’equivoco di fondo di cui parlava Paolo Borsellino: “si dice che il politico che ha avuto frequentazioni mafiose, se non viene giudicato colpevole dalla magistratura è un uomo onesto. no. La magistratura può fare solo accertamenti di carattere giudiziale. Le Istituzioni hanno il dovere di estromettere gli uomini politici vicini alla mafia, per essere oneste e apparire tali”.
Ci permettiamo insomma di dire che nessuno pensi di delegare alla Dia. La Dia va semplicemente affiancata in un cammino di contrasto comune.