“Sono molto soddisfatto per la decisione di altri colleghi senatori di sottoscrivere la mozione da me presentata sul Museo Cesare Lombroso di Torino. È il segno che viene compresa la valenza simbolica e culturale di una battaglia che unisce come un filo rosso uno pseudoscienziato di centocinquant’anni fa ai nodi ancora oggi irrisolti dello sviluppo del Meridione. Il divario di oggi è figlio anche delle ingiustizie di ieri, ingiustizie che Lombroso contribuì a ufficializzare e giustificare teoricamente. Adesso confidiamo in una rapida calendarizzazione della mozione affinché vi sia un ampio dibattito e si pronunci tutta l’Aula. La risposta del Ministro Franceschini alla mia precedente interrogazione è stata generica e superficiale. Nessuno di noi vuole chiudere musei ma semmai aprirne. Tuttavia, un museo deve essere cristallino nel messaggio che veicola, e quello di Torino non lo è”.
Lo ha dichiarato il senatore Saverio De Bonis, primo firmatario della mozione sul Museo Lombroso di Torino che è stata sottoscritta anche dai senatori De Falco, Fantetti, Lonardo, La Mura, Granato, Angrisani, Buccarella, Corrado, Trentacoste, Croatti, Nugnes, Papatheu, Lannutti, Giannuzzi: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/Sindisp/0/1300120/index.html
“La mozione – aggiunge il senatore – documenta in che modo il Museo non assolva alla sua funzione storica e scientifica, omettendo di riferire non già gli errori di uno scienziato in buona fede ma delle vere e proprie manipolazioni funzionali alla classe dominante dell’epoca. Il Museo veicola ancora oggi un messaggio parziale di che cosa sia scienza. Il metodo scientifico non consiste nello sbagliare e correggersi, ma nello sbagliare e correggersi pur avendo applicato tutti i canoni della logica sperimentale. Giusto per fare due esempi tra quelli contenuti nella mozione: nel museo non si dice che Andrea Verga sconfessò Lombroso sulla fossetta occipitale su cui quest’ultimo aveva basato le sue teorie dell’atavismo criminale (dei meridionali). Lombroso non rispose mai alle critiche di Verga, e alla fine anche per questo motivo fu cacciato dalla Società italiana di antropologia ed etnologia nel 1882. Ancora, il Museo non dice che Lombroso tolse il bergamasco Vincenzo Verzeni dalla categoria dei criminali ‘atavici’ e lo passò nella categoria dei criminali ‘d’occasione’. Lo fece perché le sue teorie razziste sarebbero state meno credibili se un settentrionale fosse stato considerato atavico. Di omissioni e inesattezze di questo tipo nel Museo ve ne sono diverse. La sua ambiguità, che rimane ancora in piedi nonostante le modifiche fatte negli anni, impone di pensare ad una revisione generale della sua missione e, soprattutto, della sua comunicazione. E poi, non si capisce perché il vero Museo di Antropologia ed Etnografia, sempre a Torino, debba rimanere chiuso per gli scarsi standard di sicurezza e invece il Lombroso debba ricevere continui finanziamenti. Forse il Ministro Franceschini farebbe bene a effettuare ricerche serie su questi temi prima di decidere. Come diceva qualcuno, ‘conoscere per deliberare'”.