Pubblichiamo di seguito l’articolo di Michele Rutigliano, dedicato questa domenica alla rinascita dei paesi lucani e al rischio
spopolamento delle aree interne della Basilicata”.
I paesi che rinascono. Una scommessa per la Basilicata che verrà.
Povera Basilicata! Sempre bistrattata e trascurata. Mai una volta che la trovi in cima alle classifiche o alle statistiche! Sta sempre in fondo o giù di lì. Nei dati relativi alla nuova occupazione oalla produzione di ricchezza, al reddito pro-capite o alla produzione industriale, nella lettura di libri o nella vendita dei giornali. Forse, negli ultimi tempi, grazie a Matera Capitale della Cultura, abbiamo scalato qualche posizione nella classifica del turismo, della sostenibilità ambientale, della qualità della vita. Ma allora è proprio vero che da quando esiste l’Italia unita, la nostra Lucania non ha mai raggiunto un primato? No, signori miei! Un primato l’ha raggiunto. Allorquando il Capo del Governo e Duce del fascismo, Benito Mussolini, in un comizio che tenne a Potenza il 27 Agosto 1936, disse testualmente “La Lucania ha un primato che la mette alla testa di tutte le regioni italiane: il primato della fecondità, la quale è la giustificazione demografica e quindi storica dell’Impero”. Così ci riferisce un grande storico italiano, Rosario Villari, nel suo libro, “Il Sud nella Storia d’Italia”, edito da Laterza. Ebbene, 84 anni dopo, nell’anno di grazia, si fa per dire, che stiamo attraversando, nessuno avrebbe mai immaginato né Mussolini, né tantomeno gli storici che la questione demografica avrebbe costituito un altro serio problema per lo sviluppo della Basilicata. Come se non bastassero quelli che già abbiamo, dalla mancanza di lavoro e di infrastrutture, dalla debolezza delle aree interne fino alla sopravvenuta povertà di tante famiglie, ancor più debilitate da questa brutta emergenza sanitaria.
Il 12 febbraio scorso e quindi prima che scoppiasse la pandemia, il Quotidiano di Basilicata titolava così: “La Basilicata va verso l’estinzione, registrato il maggior calo di popolazione in Italia. È emergenza. E poi nel sommario, “ più morti che nascite e saldo migratorio interno negativo. Gli stranieri non bastano.” E va bene, anche se il titolo è un po’ sensazionale, nella sostanza, però, la verità è quella. La Basilicata si sta spopolando e a forte rischio sopravvivenza sono quasi tutte learee interne sia della provincia di Potenza che di Matera. Sempre l’Istat ci informa che questa volta è la Basilicata a raggiungere, insieme al Molise, un record negativo. E’ la regione che ha perso più abitanti. Fino a qualche anno, fa la popolazione regionale andava oltre le 600.000 anime. Nel 2019 è scesa a558 033. In un interessantissimo saggio dello storico lucano Angelo Raffaele Colangelo, pubblicato sulla rivista online Myrrha, sempre su questo tema dell’emergenza demografica, è riportata un’altra amara verità. In un secolo e mezzo di storia unitaria, la nostra Regione è passata da 509.060 del 1861 a 578.036 del 2011. In 150 anni la Lucania è cresciuta solo di 68.976 abitanti, pari ad un tasso medio annuo di appena lo 0,09%. E questo mentre la popolazione italiana, nello stesso periodo, cresceva di 37.257.267, pari al 168%. Sono cifre che valgono di più di un trattato di sociologia, perché condensano in pochissimi numeri la sofferenza della regione alle prese, ciclicamente, con flussi migratori imponenti che l’hanno svuotata di forze giovanili e vigorose, attive e intraprendenti.
Ed è questo “malessere demografico diffuso e crescente” che viene analizzato da un altro autorevole studioso della materia, il demografo Antonio Golino. Soffermandosi in particolare sullo spopolamento della Basilicata, faceva notare che i comuni più compromessi (“in grave crisi demografica”) erano undici. Quelli comunque in difficoltà, che presentavano un tasso di incremento naturale medio annuo, sceso al di sotto dello zero, erano ben 69. E stiamo parlando del censimento del 2011. Chissà cosa verrà fuori analizzando il censimento del 2019.Quest’anno, però, è successo un fatto epocale. Una pandemia così non si registrava dai tempi della “Spagnola” e seppure non abbia provocato milioni di morti, come avvenne nel 1918/19, sta causando danni enormi all’economia italiana e soprattutto a quella meridionale. Ora, la domanda che dovremmo porci è questa: la pandemia potrà invertire questa tendenza allo spopolamento della Basilicata? Le nuove generazioni meridionali continueranno a fuggire a Milano, a Londra, in America, oppure, impauriti dall’incertezza del futuro, sceglieranno di rimanere nei loro paesi e nelle loro città, per costruirsi un futuro professionale degno delle loro aspettative? Ogni giorno che passa, sentiamo sempre lo stesso mantra. Arriveranno tanti di quei soldi dall’ Europa. Ci sarà da attingere a piene mani dal Recovery Fund, dal Mes, dalla Bce e da chi più ne ha più ne metta. Ma di cosa hanno bisogno veramente i giovani del terzo millennio, per restare nei loro paesi? Sarà solo una questione di bonus e sussidi; di finanziamenti o prestiti garantiti dallo Stato? Non credo proprio. La questione, soprattutto in Basilicata, è molto più complessa e non è tanto facile da risolvere. Non ci vorranno solo tanti soldi. Ci vorranno anche tante belle idee e soprattutto una visione del futuro per tutta la Regione.
La pandemia, volere o volare, ha cambiato le carte in tavola. E ciò che fino a ieri era impensabile, oggi è diventato possibile. Quelle scene alla stazione di Milano che abbiamo visto in televisione il giorno prima che scattasse il lockdown a Milano e in Lombardia, rappresenteranno un momento cruciale nella percezione dei pericoli e dei timori collettivi provocati dalla pandemia. C’è poco da fare.Qui entra in gioco la psicologia di massa. Quelle immagini hannoun alto valore simbolico. E’ come se, tutti quei giovani universitari e precari, free-lance e camerieri, contrattisti e tirocinanti, ammassati sulle piattaforme dei binari, avessero urlato in coro: Veneto, Piemonte, Lombardia! Voglio tornare a casa mia! Proprio così, dinanzi ad un imminente pericolo di vita, non c’è Nord o Milano che tenga. I meridionali, noi meridionali, sentiamo fortissimo “il richiamo della foresta”. Ecco, parliamo allora di questa benedetta foresta, perché la Basilicata non è solo Potenza o Matera. Non è solo Melfi o Maratea. Non è solo la Valbasento o la Vald’Agri.
Queste aree, come avrebbe detto quel grande meridionalista che fu Manlio Rossi Doria, sono la polpa della Regione. E’ l’osso il suo vero, grande problema. Ed è tutto racchiuso nelle sue aree interne. Sono territori agibili e vivibili ? Qui divergono le opinioni. Ma al di là di una sana dialettica tra chi ama il paese e chi preferisce la città, non esiste proprio che per andare da Matera a Cirigliano, a Garaguso o a San Mauro Forte, si debbano impiegare quasi due ore. Un turista che arriva a Matera e vuole proseguire per Maratea, non può impiegare tre ore per l’andata e altrettante per il ritorno. Sono bellissimi i paesi sul Pollino, ma è un’impresa arrivarci. Vogliamo parlare poi dei presidi ospedalieri, della medicina territoriale, delle scuole, delle infrastrutture vitali per un turismo di qualità, rispettoso della natura, in grado di attrarre ospiti dall’Italia, dall’Europa e dagli altri continenti? Ecco allora imporsi alcune priorità: infrastrutture, industria, trasporti. E poi ancora banda larga, digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche, e soprattutto grandi progetti che ridiano slancio a quei territori in affanno e da sempre trascurati.
Negli anni cinquanta e sessanta, in Basilicata furono costruite infrastrutture grandiose. Pensiamo alle superstrade di fondovalle, alla Basentana, alla Sinnica, alla Valdagri, alla Bradanica. Evidentemente non sono bastate solo le infrastrutture. Ci vogliono le imprese, ci vuole il lavoro. Ora che la pandemia ha capovolto tante nostre priorità, la Lucania può mettere in campo energie nuove, (e ce ne sono) che spaziano dalla politica, all’imprenditoria; dalla scuola all’Università; dall’agricoltura, al commercio, all’artigianato. Ci sarà una fuga dalle grandi città e dai grandi agglomerati urbani? Non è sicuro che ciò accada, ma questo scenario è molto probabile. Una scommessa o semplicemente un sogno? Io che vivo a Roma da oltre quarant’anni sono rimasto sbalordito quando ho saputo che Amazon avrebbe aperto in Italia un altro Maxi centro di smistamento (Hub) a Passo Corese, a un tiro di schioppo dalla Capitale. Più di duemila posti di lavoro per un’altra sede di una multinazionale che inevitabilmente andrà a congestionare quel tremendo imbuto viario che è il Grande Raccordo Anulare di Roma. E allora ho pensato: ma se la Fiat è venuta a investire a Melfi, perché Amazon non ha scelto la Valbasento? Ve lo immaginate voi, duemila posti di lavoro in una regione che si spopola sempre di più. Questa sì che sarebbe stata una rivoluzione, per la Basilicata e per il Mezzogiorno. Ma queste scelte, ahinoi, non sono di competenza dei giornali o degli editorialisti. Si, è vero, sono scelte che spettano alle multinazionali. Ma sappiamo anche che possono essere fortemente condizionate dalla Politica. Per questo serve una classe dirigente di sindaci, amministratori e manager che sappia guardare lontano, che metta sul piatto della bilancia tutte le opportunità e i vantaggi del proprio territorio, in grado di offrire soluzioni inedite e originali. Non sta scritto da nessuna parte che il Mezzogiorno debba essere condannato all’impotenza.Certe cose si possono realizzare con le proprie forze, senza dover aspettareil provvidenziale intervento della Regione-Mamma,dello Stato-Papà o della vecchia, cara, zia Europa.
Michele Rutigliano