Morte di Belmaan Oussama nel Centro di permanenza per i rimpatri di Palazzo San Gervasio, intervento di Libera coordinamento Basilicata e Presidio Vulture Alto Bradano. Di seguito la nota integrale.
Sono tante le domande che meriterebbero una risposta sulle vicende, tutte, che riguardano il Centro per il rimpatrio di Palazzo San Gervasio. Lo chiediamo da tempo. Lo pretendiamo. A queste domande, oggi, se ne aggiungono altre. Riusciamo a conoscere, finalmente, il nome di un ragazzo di 19 anni morto ieri all’interno del centro. Si chiamava Belmaan Oussama. Riusciamo a non raccontarlo, come fatto nelle ore immediatamente successive alla notizia della morte, come ad un ragazzo ”di origine africana”. Era algerino. In attesa che la Procura lavori nel coordinamento delle indagini che, come ha detto il Procuratore Curcio, ” non esclude alcuna fattispecie di reato”, compresi “l’omicidio doloso, colposo e un atto autolesionistico”, sono altre le domande che dovrebbero non farci dormire la notte. Quale storia aveva? Quali sogni? Quali sono state le vicende che lo hanno condotto, seppur così giovane, ad andare incontro ad una fine così atroce e repentina?
Non è il primo caso. Nell’ottobre di due anni fa toccò ad Osaro Uhnmwangho, un ragazzo nigeriano arrivato in gravi condizioni di salute al Cpr di Palazzo San Gervasio in Basilicata.
Questi eventi sollevano una serie di questioni urgenti che richiedono risposte chiare e tempestive. Che tipo di assistenza sanitaria viene fornita all’interno del centro? Come vengono trattati i migranti durante la loro permanenza? Quali misure di sicurezza sono in atto per prevenire tragedie come queste? È essenziale che le istituzioni preposte si assumano la responsabilità di garantire la sicurezza e il benessere di ogni individuo presente nei centri di rimpatrio.
Inoltre, dobbiamo riflettere sulle politiche migratorie che portano a tali situazioni. È necessario un approccio più umano e rispettoso dei diritti fondamentali delle persone. I centri di rimpatrio, spesso luoghi di grande sofferenza e disumanizzazione, devono essere riformati o, in alcuni casi, chiusi. Le storie di Belmaan e Osaro non devono essere vane; devono spingerci a un cambiamento concreto e a una maggiore sensibilità nei confronti di chi cerca una vita migliore lontano dalla propria terra d’origine.
Infine, è fondamentale che la società nel suo complesso si faccia carico di queste vicende, non lasciando che cadano nell’oblio. Ogni vita persa è un richiamo alla nostra coscienza collettiva, un monito a non chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie e a lavorare attivamente per un mondo più equo e giusto per tutti.