Una riflessione sul futuro di Fratelli d’Italia dopo la vicenda legata alla fondazione di Alleanza Nazionale
Ha il sapore e il fascino stanco della nostalgia, per la destra italiana, il week end appena trascorso: è andato in scena, infatti, all’hotel Midas di Roma l’ultimo congresso di Alleanza Nazionale.
E’ il primo caso, nella politica italiana, di congresso postumo: An, infatti, è defunta, confluendo nell’anch’egli defunto Pdl, dal lontano 2008, ma la sua “anima” resta in vita nell’omonima Fondazione che si è riunita, appunto, sabato e domenica scorsi.
Defunta AN, defunto il Pdl in cui An è confluita, defunti i movimenti politici nati da An in aperta contestazione con la scelta di finire nel partito di Berlusconi: più che un congresso era un funerale, con tanto di lite sull’eredità. L’assurdo appare ancora più evidente se pensiamo che il rapporto tra Alleanza Nazionale e i congressi è stata quanto meno complicata….
Più che l’anima di An, l’unica cosa che è apparsa ancora in vita erano le anime: i colonnelli, e una buona parte delle loro truppe stanche, per un giorno hanno subito il fascino del tempo che fu tra mozioni, riunioni fino a notte fonda, accordi e tradimenti veri e presunti e, addirittura, il ritorno sulla scena del male assoluto (questa volta, sì, la definizione è giusta) Fini.
Anche in un quadro così funereo come quello che ho appena dipinto, qualcosa di positivo nel week end appena trascorso può esserci: il risultato finale. La mozione approvata dalla Fondazione, lascia il mondo com’è, legittimando l’eredità (solo politica!) della destra italiana in capo a Fratelli d’Italia e sbarrando la strada a fantasiose ipotesi di costituzione di non meglio definite Associazioni, che rischiavano di riportare in campo gli artefici del disastro degli ultimi due decenni.
E’ infatti bene ricordare che negli ultimi due decenni An è stata destra di governo e ha governato tutto ciò che si poteva governare: alcune delle maggiori regioni italiane, il Cda della Rai, Roma Capitale, ministeri importantissimi, producendo poco, molto poco e in alcuni casi nulla. Questa è la risposta che va data ai chi si chiede (ancora?) perché la destra è passata dal 10 al 4%: l’elettorato, purtroppo, fa fatica a dimenticare.
Ma occorre guardare al futuro e non solo leccarsi le ferite del passato, occorre ripartire. E la mozione approvata dall’Assemblea della Fondazione, in un contesto surreale, offre quest’occasione.
Fratelli d’Italia è il progetto politico che rappresenta la destra in Parlamento, è un movimento ancora piccolo nelle percentuali di voto ma con crescita continua e margini ancora inesplorati. Per esplorarli però, e lo dice chi in Fdi c’ha creduto dal primo momento, serve coraggio: ripartire innanzitutto da tutti coloro che sui territori, nonostante il vuoto cosmico che li circondava a livello nazionale, non hanno smesso di crederci e di lavorare, trovando il modo per coinvolgerli e motivarli nel progetto Fratelli d’Italia; sfruttare la leadership consacrata dai sondaggi di Giorgia Meloni che non trova riflesso nelle percentuali del partito; concretizzare i grandi dibattiti culturali che investono l’opinione pubblica in proposte politiche, partendo dalle occasioni offerte da manifestazioni quali Atreju (basti pensare al seguito che ha avuto sui media nazionali la partecipazione di Giovanni Lindo Ferretti all’ultima edizione); recuperare, e lo dico responsabilizzando innanzitutto me stesso, il ruolo propulsore del movimento giovanile; liberarsi, nei meccanismi di selezione della classe dirigente del partito, dei metodi di vicinanza o di devozione a leader veri e presunti, nazionali e locali; smetterla di alimentare continue ed infinite liti dovute a motivazioni più personali che politiche.
Occorre insomma guardare al futuro e non soffrire il fascino stanco della nostalgia, già prima evidenziato.
Occorre comprendere che il 900 è passato, l’era dei partiti ideologizzati di massa anche e che le idee di sempre hanno bisogno di fatti che le concretizzano: in questo uno slancio può venire dal ruolo della Fondazione, che magari potrà stimolare metodi di formazione della classe dirigente e studi capaci di permettere di declinare le istanze del popolo in maniera un po’ meno “salviniana”
Occorre, in conclusione, comprendere che una stagione è conclusa: quella dei colonnelli e dei generali, responsabili in tutto e in parte, in buona o in cattiva fede, del fallimento prima evidenziato.
I quarantenni, i cinquantenni, i novantenni, i ventenni e i trentenni di buona volontà, invece, sappiano che in Basilicata e in Italia dovranno trovare in Fdi un contenitore aperto pronto a non disperdere il glorioso passato della destra italiana e a rilanciare nuove sfide, con un obiettivo: liberarsi dal centrosinistra al governo.
Il mondo corre e il tempo non aspetta colonnelli, mozioni, fondazioni: ecco perché è meglio litigare per diventare classe di governo e non accapigliarsi per un misero 5%.
E perché, parafrasando Mahler e la citazione riportata sulla maglietta di Atreju15, custodire la tradizione della destra politica italiana significa alimentarne il fuoco -attraverso il consenso e non certo con le divisioni – e rispettarne la storia non vuol dire adorare i volti da museo delle cere e la cenere che esse hanno prodotto.
Canio Sinisi, Coordinatore regionale Gioventù Nazionale Basilicata
“La politica ha i suoi esiti, uno dei quali è quello elettorale. Si compete per vincere ed essere maggioranza”. Una riflessione sul futuro di Fratelli d’Italia dopo la vicenda legata alla fondazione di Alleanza Nazionale
Dietro la questione della Fondazione di Alleanza Nazionale non c’è solo il conflitto politico e generazionale fra gruppi e pezzi di classe dirigente della destra storica italiana. Il richiamo alle radici, ai valori. L’idea di quale percorso nuovo intraprendere. Lo scontro tra visioni è sempre affascinante e richiede anche l’ausilio degli storici.
Non essendo il mio vissuto non intendo soffermarmi su quest’approccio. Sarebbe persino irrispettoso.
Ma comparendo, dal congresso di Fratelli d’Italia Alleanza Nazionale di Fiuggi, come un dirigente nazionale di questo partito e provenendo dall’esperienza di “Officina”, il laboratorio politico che apriva l’esperienza della destra politica che fa riferimento a Giorgia Meloni, Guido Crosetto e Ignazio Larussa a mondi culturali più larghi, mi preme fare qualche considerazione sul futuro.
Non si tratta di derubricare le ideologie. Penso che i campi di appartenenza culturali debbano marcare una identità. Nonostante quello che cantava qualche decennio fa Giorgio Gaber su cosa è la destra e cosa è la sinistra ritengo, infatti, che le differenze, al netto dei radicalismi, la cui valutazione affidiamo appunto agli storici, le differenze ci sono e debbano continuare a marcare le appartenenze.
La politica ha i suoi esiti, uno dei quali è quello elettorale. Si compete per vincere ed essere maggioranza. Alla fine per governare i processi e non per subirli o solo criticarli da posizioni di nicchia. La vocazione maggioritaria è insita nei partiti moderni che si accompagnano alle leadership. E’ così in tutti i paesi occidentali.
Se, dunque, non si è capaci di cogliere il senso dello spirito maggioritario (fare maggioranza), non si può comprendere fino in fondo la necessità di costruire movimenti politici che contengano, nell’ambito di un campo dato, di valori e regole condivise, anche espressioni culturali non del tutto affini.
Capita a sinistra, per esempio, nel partito di Renzi, dove i così detti dem, di matrice post comunista coniugano la loro presenza nel Pd con riformisti, cattolici, socialisti e persino con qualche liberal. Appartengono alla grande famiglia social democratica europea, ma all’interno del Pd le differenze ci sono, si vedono e confliggono.
La crisi del berlusconismo, gli errori (non giudico) di Fini hanno reso vano nel centro – destra il tentativo che andava sotto il nome di Pdl. Ma, sostanzialmente, l’idea era quella di produrre dall’altro lato del campo, un emulo del Pd. La nuova legge elettorale potrebbe proporre un effetto di ricomposizione simile al Pdl, quello che giornalisticamente passa sotto il nome di listone.
Ecco allora che la tesi di Giorgia Meloni, di considerare FdI un punto di partenza della nuova destra italiana, prende forma. Avere una vocazione maggioritaria e guardare al di là del semplice progetto di ricomposizione culturale e politica di un’area.
In questo senso la mia adesione è forte e convinta.
Se mi trovassi dinnanzi ad un processo nostalgico o, peggio dentro un sistema di riposizionamento di pezzi, componenti e personalità della vecchia destra italiana, non avrebbe senso continuare questa esperienza.
Nel nostro piccolo, la vicenda potentina, materana e lucana sta dimostrando che guardando verso i corpi sociali, il territorio, le liste civiche, le identità locali è possibile dare contenuto alle aspirazioni maggioritarie. In questo senso siamo stati laboratorio senza snaturare l’antagonismo alla sinistra e il senso culturale di appartenenza.
Penso proprio che questa sia la strada.
Gianfranco Blasi, Dirigente nazionale di Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale