Nino Grilli esprime le sue riflessioni sulla valorizzzione della personalità umana rispetto al uso della giustizia attraverso un paragone tra come veniva utilizzata nell’Antico Impero Romano e quello che accade ai nostri tempi.
Grilli: Quisque de populo e presunta nobiltade.
Bella e strana era l’epoca dell’antico Impero romano. Eppure il Belpaese discende proprio da lì. Alcune espressioni significative sono tramandate anche ai nostri tempi. Prendiamo ad esempio la locuzione Quisque de populo che classificava in genere “uno preso dalla folla, oppure “l’uomo della strada”, “il cittadino medio”. In quell’epoca il quisque de populo era fortemente penalizzato quando doveva contrapporsi al cosiddetto nobile di turno. Chi la adoperava solitamente era per denigrare e sminuire la figura di un contrapponente. Era, in realtà, una maniera piuttosto vile per porre in essere un immotivato dispregio verso chi intendeva esprimere le sue ragioni in un qualsiasi e civile dibattito contrapponendosi a chi, in particolar modo, credeva di appartenere ad una razza superiore o a un livello sociale che sfiorando una presunta santità in terra, in realtà altro non era che superbia, alterigia, boria, arroganza e sfrontata insolenza. Chiunque ricorreva a certi mezzucci in genere altro non assumeva che un comportamento assimilabile a quello dei veri farabutti. Poco contava in quel tempo se il quisque de populo dicesse la verità e persino portasse validi elementi per sostenere le sue ragioni. Se il valore morale e professionale del quisque de populo non fosse nemmeno paragonabile, in quanto a provata onestà morale e intellettuale, a quello dello scaltro nobile di turno. Se il quisque de populo nel corso della sua esistenza avesse dato ampie prove di rettitudine al confronto di un qualsiasi nobile o presunto tale che di pecche e nefandezze nel corso della sua esistenza ne aveva combinate di ogni specie. Se persino le leggi in vigore a quell’epoca potevano (e forse dovevano) essere applicate correttamente con un metro di giudizio equanime, evitando di privilegiare, in maniera del tutto scorretta il nobile di turno e conferendo così la corretta interpretazione all’espressione che la legge deve essere uguale per tutti. Niente di tutto ciò! In quell’epoca le cose andavano così. Il quisque de populo non aveva scampo! Era destinato, ancorchè portatore di verità e di acclamata e documentata onestà, a soccombere. Avveniva anche per lo più perché chi era preposto a decidere nel merito delle controversie non osava mettersi contro la superbia, alterigia, boria, arroganza e sfrontata insolenza del nobile di turno (o presunto tale). Temeva evidentemente che quest’ultimo si adoperasse in qualche modo per rovinare la sua carriera, utilizzando le sue losche conoscenze in alto loco, come la corrotta nobiltade del tempo consentiva, a totale discapito del pur onesto quisque de populo. Va da sé che stiamo parlando di un periodo storico in cui la corruzione era del tutto evidente, dove i cosiddetti nobili più erano malvagi e malfattori e più avanzavano nelle loro assurde carriere, più combinavano fatti illegali e più acquistavano considerazione nelle alte sfere della società, più favorivano con i loro sporchi inganni personaggi di dubbia moralità e rettitudine e più acquisivano potere, tanto da incidere nelle decisioni dei giudici dell’epoca portandoli assolutamente a emettere giudizi del tutto fuori dalla legalità. Poi tutto questo è stato vanificato nel tempo. Persino l’immenso e strapotente, ancorchè superbo Impero romano ha fatto la fine che tutti conosciamo. I falsi, corrotti, superbi, boriosi, arroganti e di sfrontata insolenza di coloro che si credevano essere presunti santi in terra sono stati travolti dal destino per lasciare il posto a chi in una società civile, onesta, laboriosa veramente se lo meritava; a chi non deve ricorrere all’inganno e alla corruzione per ottenere giustizia. Una società dove il quisque de populo può e forse deve occupare il posto che gli spetta di diritto, dove non si può consentire a nessuno di considerarlo come un cittadino di second’ordine, soprattutto quando si trova al cospetto di gente peraltro malvagia e indisponente e che usa la sua millantata autorevolezza per intimorire chi deve giudicare, costringendolo così in maniera del tutto sfrontata a trasformare l’illegalità in normalità. Ma ancora più ora il quisque de populo non dovrebbe più temere nemmeno la seconda ipotesi, perché se chi è preposto ed esprimere un giudizio dovesse farlo in maniera del tutto illegale, secondo le nuove norme in materia rischia seriamente di doverne pagare pesanti conseguenze. A chi dovesse privilegiare, ripeto in maniera illegale, certi loschi personaggi in dispregio della legge e della legalità, viene spontaneo dire ma: il gioco vale veramente la candela o è piuttosto meglio rispettare una volta per tutte la legge, come correttezza morale e civile impone?