Riceviamo e pubblichiamo la nota inviata da Giovanni Scarola, Consigliere comunale PD, sul recupero costi aree Peep San Giacomo riferiti agli anni ottanta e novanta.
Dopo un’attenta riflessione ho ritenuto intervenire, da consigliere comunale di questa città, al fine di
offrire un contributo di chiarezza, sull’annosa questione del recupero dei crediti delle aree Peep (piani di edilizia economica e popolare) perimetrati ai sensi dell’art.34 della legge 865/71 negli anni 80 e 90.
Il presente contributo è diretto ai concittadini, titolari oggi dei diritti reali di proprietà delle abitazioni,
realizzate a suo tempo dalle cooperative sottoscrittrici delle convenzioni previste dalla 865/71. Va rilevato come sia centrale nella definizione della vicenda la disamina della norma contenuta nell’art. 35 legge n. 865/1971. Tale disposizione prevede esplicitamente che: “la convenzione stipulata dal Comune per concedere il diritto di superficie sulle aree incluse nel P.E.E.P. deve prevedere il corrispettivo della
concessione in misura pari al costo di acquisizione delle aree, nonché al costo delle relative opere di
urbanizzazione realizzate o da realizzare, allo scopo evidentemente di assicurare la copertura delle spese complessivamente sostenute o da sostenere da parte dell’Amministrazione”. Si tratta di norma
inderogabile che va ad integrare la disciplina dettata dalle singole convenzioni stipulate dal Comune con i beneficiari (ex art.1339 c.c.). Il testo normativo rende palese il diritto del Comune di recuperare quanto speso sia per l’acquisizione delle aree (corrispettivo da adeguare all’effettiva somma dovuta agli espropriati a seguito della definizione della pratica espropriativa) sia per la loro urbanizzazione, come dal costante orientamento della giurisprudenza (ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. V, 3 luglio 2003, n. 3982).
Inoltre nelle convenzioni sottoscritte il dettame normativo ha esplicitamente previsto, con riferimento ai costi sostenuti e da sostenere dall’amministrazioni, il “salvo conguaglio”. Le doglianze rilevabili dai vari comunicati delle rappresentanze dei concittadini (adiconsum, ecc…) sono tutte censurabili e censurate sia dalla già citata sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 3 luglio 2003, n. 3982 sia dalla recentissima del Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 17.5.2012, n. 2854, che invito a consultare sul sito www.giustiziaamministrativa.it. Tanto si rileva al fine della tutela dei singoli cittadini, che oggi, giustamente, si lasciano trasportare dall’onda più favorevole, salvo l’eventualità di trovarsi poi il peso di ulteriori oneri per interessi e spese tecniche e legali, dati i tempi lunghi di definizione delle controversie. I ricorsi anticipati per stampa sembra si basino, tra l’altro, sulla mancata partecipazione ai giudizi di resistenza condotti dall’Amministrazione contro l’opposizione alle stime, doglianza che il Consiglio di Stato ha già ritenuto infondata. Ancora più grave è la continua confusione che viene fatta dai tecnici di parte, a cui non è chiara la differenza tra “costo delle opere di urbanizzazione” ex legge 865/71 e “oneri di urbanizzazione” ex norme di attuazione della legge 10/77 (l.r. 28/78 e succ. mod.). Il parametro su cui è stata correttamente basata la ripartizione è la “superficie convenzionale”, che tiene conto proporzionalmente, oltre che del lotto edificato, dell’area necessaria alla formazione della volumetria assegnata e della superficie degli standard obbligatori (verde, parcheggi, ecc). Il dato incontrovertibile è che l’Amministrazione ha trasformato aree non pianificate in aree edificabili ai sensi dell’art.34 della legge 865/71. Il recupero degli oneri va riferito a quel tempo. Se in tempi successivi l’Amministrazione ha operato altre varianti sulle stesse aree lo ha fatto nella sua piena facoltà pianificatoria di governo del territorio e sempre nell’interesse pubblico e mai
particolare. Qualsiasi doglianza riferita quindi ad atti successivi allo “stato urbanistico e patrimoniale” come rilevabile all’epoca delle occupazione d’urgenza non potrà che essere censurato. E’ bene chiarire una volta per tutte che l’Amministrazione Comunale non ha commesso alcun “crimine” come taluni rappresentanti dei consumatori vogliono far credere ai cittadini. Se da quanto traspare c’è un riconoscimento, seppur parziale, del debito, perché ad oggi le stesse associazioni non invitano i cittadini a versare quanto da loro calcolato? Potrebbe costituire l’avvio di quel dialogo cercato che non può essere estorto all’Amministrazione con le “carte bollate”. E’ dal 2007, e sono passati ormai 5 anni, che dalla prima determina dei calcoli dei costi sostenuti dall’Amministrazione (redatta dal sottoscritto all’epoca dirigente), il tempo trascorre inutilmente a fare e rifare “i calcoli”. Salvo passare alla legittimazione del principio di base del calcolo della stessa determina, come ha stabilito la sent. 285/2012 del Cons.Stato. E’ il momento in cui bisogna abbandonare i giudizi ed affidarsi al Consiglio Comunale, unico organo sovrano che potrà e saprà trovare i giusti indirizzi da dare al dirigente responsabile su possibili riduzioni (per chi si impegna a saldare subito senza ricorrere in giudizio) e rateizzazioni, dati i tempi. Tale affidamento potrebbe essere confortato da un eventuale parere del Giudice Contabile, a cui non possiamo chiedere altra pazienza.
Giovanni Scarola, Consigliere comunale PD
Finalmente qualcuno che parla il linguaggio della chiarezza.
La realtà è che tutti i materani che non abitano a San Giacomo (tra cui anche io) hanno pagato per loro il costo delle aree e delle urbanizzazioni su cui loro hanno costruito le proprie case.
Perchè dobbiamo pagare noi per loro?