Pasquale Tucciariello, segretario regionale della Federazione DC, ha realizzato un’intervista a Publio Fiori, uno dei leader storici della Democrazia Cristiana. Di seguito la nota integrale.
Publio Fiori. Storie democristiane di ieri e di oggi.
Publio Fiori (1938), romano, avvocato dello Stato, costituzionalista, aderisce nel 1956 alla Democrazia Cristiana e in breve diventa a Roma uno dei dirigenti del Comitato Romano. E’ consigliere comunale nel 1971, assessore ai lavori pubblici nel 1974, consigliere regionale nel 1975, sette volte deputato, più volte sottosegretario, poi ministro e vice Presidente della Camera. Con la frantumazione della Dc nel 1993 avvia un nuovo percorso per bloccare l’operazione “Arco costituzionale” volto ad escludere dalla rappresentanza politica circa 2 milioni di elettori e prende iniziative per riordinare le fila dei dc sparsi al fine di recuperare i contenuti ideali della politica cristiana. I suoi tentativi cozzano con soggetti politici più interessati a ruoli di guida e di leadership che al progetto ideale. Fonda “Rinascita Popolare” nel tentativo di rimettere al centro dello schieramento politico italiano la visione cattolica della vita e della società. Anche il tentativo ultimo con la Federazione Popolare dei Democratici Cristiani sembra risolversi in una progressiva delusione. Ora osserva a distanza scrutando l’orizzonte alla ricerca di un segnale che dia speranza al suo progetto.
Onorevole, questi continui cambi di casacca di parlamentari che con tanta disinvoltura migrano da un gruppo ad un altro denotano scarso attaccamento alle radici, o forse sono proprio il risultato di assenza di radici e quindi di identità? C’è un problema di autenticità nella politica italiana?
La sostanziale eclissi dei partiti ha determinato la caduta dei riferimenti della tradizione politica e la fine di quella partecipazione politica prevista dall’art. 49 della Costituzione.
Ciò ha comportato inevitabilmente una presenza di “non eletti” che seguono unicamente l’istinto al potere e alla conservazione del posto.
Con la conseguente, naturale disponibilità a “collocarsi” nelle posizioni che appaiono più confacenti ai loro interessi personali.
Il passaggio dal governo Conte al governo Draghi è dovuto alla necessità di velocizzare il processo di vaccinazioni e di riorganizzare economia e sviluppo o invece c’è anche dell’altro, cioè scomposizione e ricomposizione di assetti e quadri politici più coerenti?
C’è una carenza di classe dirigente che rende difficile la soluzione dei problemi del Paese.
E’ sufficiente ricordare che gli attuali partiti e movimenti non riescono ad esprimere vere leadership: il fatto che il Presidente della Repubblica e il nuovo Segretario PD siamo stati scelti nella “vecchia” classe politica DC e che il Presidente del Consiglio sia stato individuato in un tecnico certamente né PD, né grillino e né leghista ne è una chiara testimonianza.
E’ un ritorno all’identità, alla competenza, alla preparazione e ai riferimenti ideali e culturali.
Un ritorno alla speranza di una ricomposizione dello scenario politico.
I partiti politici che amano rendersi credibili sicuramente avranno necessità di contarsi elettoralmente se vorranno appropriarsi di specificità ideali e programmatiche. Questo sarà possibile solo con una nuova legge elettorale di tipo proporzionale per evitare ingabbiamenti assurdi e non più improponibili. Il maggioritario nega libertà di espressione e di voto, aut aut, rimani schiacciato, escluso, tertium non datur, logica aristotelica ineccepibile: il principio del terzo escluso è negazione di libertà. Ora sicuramente dovranno correre ai ripari sia il neo segretario Pd, Letta, sia il leader Cinquestelle, Grillo se vorranno liberarsi dal cappio. Una corda che sta stretta anche a Forza Italia, anche a Italia Viva, anche a Azione. E ovviamente anche ai democristiani se saranno capaci di rimettersi insieme e in cammino.
Il problema non è il sistema elettorale (se proporzionale o maggioritario), bensì come restituire rappresentanza agli elettori mettendoli in condizione di scegliere i propri rappresentanti mediante il recupero delle preferenze o l’introduzione delle primarie come parte formale della procedura elettorale pubblica regolamentata con legge.
Affidare, come è oggi, la scelta degli eletti agli apparati dei partiti comporta inevitabilmente il decadimento della classe politica.
Veniamo alla nostra casa ideale comune rimasta solo con le fondamenta, il Vangelo, ma senza mura perimetrali, dunque senza copertura, senza impianti interni, senza abitabilità. La metafora della casa la dice lunga sullo stato di ricomposizione di un’area politica cattolica equidistante sia dalla sinistra e sia dalle destra. Quest’area tarda a rimettersi in marcia. Eppure è l’unica a garantire equilibrio, stabilità democratica, sviluppo e progresso, solidarietà e disegno generale di giustizia e di pace. Ed è garanzia di identità. E’ nel Dna della filosofia cristiana. Non pensi che rimanerne estranei renda più difficile l’attuazione del progetto di ultimazione e di rifinitura della casa per renderla abitabile?
Il Cristianesimo oltre al suo fondamentale valore escatologico è anche una “filosofia di vita” che può ispirare un progetto politico riformista, di giustizia sociale, economico, morale e di progresso anche spirituale, come prescrive l’art. 4 della Costituzione.
Se manca il “collante” dei valori e dei riferimenti ideali delle grandi Tradizioni storiche, la politica si sfalda e diventa il luogo delle mediazioni di basso profilo, della demagogia, della retorica e degli opportunismi.
Quando prevalgono queste posizioni conviene lavorare per linee interne e sul versante culturale, in attesa che la situazione determini quella “rivolta morale” che è il fondamento di ogni cambiamento non “gattopardesco”.
Quindi non “estranei”, ma al momento con un ruolo diverso.