“Un PD finalmente unito per il bene comune della città di Matera da qui al 2019”. Questo in sintesi l’auspicio contenuto nella nota inviata alla nostra redazione da Pierluigi Diso. Di seguito il testo integrale.
Venerdì 21 luglio in piazzetta Pascoli a Matera i big del PD materano hanno cercato di spiegare ai cittadini presenti il perché del loro ingresso nella giunta De Ruggieri. Il compimese c’è già stato, ma in quella piazzetta, quasi sempre affollata di turisti a tutte le ore, di cittadini ce n’erano davvero pochi: segno evidente che la società civile vorrebbe un rapporto più saldo con la classe politica locale che li rappresenta e governa. La cittadinanza, che ha votato non per, ma contro il PD, vuole adesso capire le ragioni di una simile scelta politica e il partito tutto ha voluto incontrare i materani e così giustificare quel “bene comune” che lo ha spinto ad entrare in giunta. Il segretario cittadino ha portato a termine un lungo e tortuoso percorso innanzitutto per spiegare al suo popolo elettore che una simile mossa non era da considerarsi solo una conquista di postazioni di potere, ma che serviva a realizzare il “governissimo”De Ruggieri, accompagnandolo di qui al 2019….per il bene di Matera e di tutti i materani. Quel treno non andava perso e nessuno doveva rimanere a terra. Su quel palco venerdì sera erano presenti parlamentari, assessori e consiglieri regionali ed il segretario cittadino del PD, tutti leader che hanno voluto dare un segnale di unità del partito democratico per il bene della città. Per un momento polemiche, contestazioni e scissioni sono state messe da parte e le finestre son rimaste ben chiuse onde evitare quegli “spifferi” che hanno sempre fomentato le battaglie nel centrosinistra e nel PD. In vista delle prossime consultazioni elettorali, ormai alle porte, e dei congressi del partito democratico serve un buon impasto, per fare una buona torta. Con il sistema proporzionale si torna alle alleanze tra partiti in competizione elettorale tra loro e come scriveva Prodi su L’Espresso “gli ingredienti devono essere compatibili…i programmi lo sono, le personalità non so”. Nel frattempo si è logorata anche la figura del leader e l’unico indiscusso è rimasto Renzi, come ha riferito ieri il segretario cittadino PD di Potenza, annunciando le sue dimissioni. Nel suo ultimo libro Luciano Violante ha detto “il leader non è colui che tende a circondarsi di una classe dirigente e non di una classe somigliante, nella quale possa rispecchiarsi traendone sicurezza e che si possa rispecchiare in lui traendone legittimazione, in un narcisismo reciproco e crescente”. E’ forse quello che è successo alla leadership di Renzi? Fatto sta che venerdì sera a Matera un cittadino, ascoltando quei relatori,ha poiesclamato: “è possibile essere al tempo stesso leader e servitori?”. E’ chiara la nostalgia da prima Repubblica, visto che coalizione non fa rima con rottamazione, se poi è vero che sono rinati appetiti e sono state sollecitate ambizioni di vecchi attori che dovevano essere già usciti fuori dalla scena. Il quesito puòsembrare a prima vista una contraddizione, ma quel cittadino ha ricercatoil condottiero leader, che non si limita a fomentare i suoi “soldati contro il nemico”, bensì combatte attivamente, testimoniando coi fatti quanto trasmesso a parole. Quel cittadino ha ricercato il “superuomo” che, consapevole del ruolo centrale della massa nel realizzare i suoi progetti, la prende per mano e le illustra la grandezza del suo progetto politico attraverso le parole. Se già D’Annunzio riuscì a dar forma al suo ideale di unione tra popolo e leader carismatico, incarnazione del superuomo nietzschiano, capace di porsi al di sopra e allo stesso tempo di fondersi con la folla, nell’epoca d’affermazione dei mezzi di comunicazione di massa sarà facile per un vero leader condurre il suo elettorato alla realizzazione di un concreto progetto politico per il “bene comune”. Un servant leader offre la propria disponibilità ai propri collaboratori, si mette al loro servizio, cercando di spronarli a dare il meglio, supportandoli nel raggiungimento dei loro obiettivi e nel miglioramento delle loro performance.Se il bene dev’essere quello “comune” il “noi” supera l’”io”. Guidare, servendo, rappresenta una prospettiva realistica per diventare leader, mettendosi a servizio dei collaboratori per farli crescere; e la loro crescita, di conseguenza, inciderà positivamente sul miglioramento e sullo sviluppo dell’ambiente in cui operano.I “servant leader” fanno del “guidare, servendo”, una vera e propria missione; il feedback, in tal senso, rappresenta uno strumento di crescita attraverso un confronto continuo, aperto e costruttivo. Una comunicazione efficace ed assertiva, come quella che si è vista in piazzetta Pascoli venerdì scorso, è alla base del processo di sviluppo del team, dal quale il leader sente rafforzata, e non minacciata, la propria autorità di ruolo. I self-serving leader, invece, manifestano comunemente la caratteristica di lavorare principalmente per se stessi; la difesa del proprio status e dei propri interessi personali mette in secondo piano il tema della crescita dei collaboratori.Un servant leader guarda al futuro, stabilisce obiettivi a medio e lungo termine, comunica la propria visione organizzativa, si sforza di coinvolgere il team nella condivisione di tale visione e progetto politico. I risultati, in questo modello di leadership, non possono prescindere da un’attenzione alle relazioni con i collaboratori: il successo deriva da un sapiente mix tra focus sui risultati e cura delle relazioni; si tratta di due aspetti strettamente legati fra loro. Anche i collaboratori si sentono così fortemente responsabilizzati: nella misura in cui percepiranno attenzione al proprio sviluppo professionale, disponibilità al dialogo e coinvolgimento nei processi decisionali da parte del proprio leader, vedranno accrescersi i livelli della propria motivazione. Ecco perché al ceto politico e ai vertici delle istituzioni politico-amministrative oggi vengono riconosciuti alcunidemeriti e responsabilità ed è sotto scacco per i suoi metodi e i suoi sprechi. Oggi è tra l’incudine di un’economia cresciuta che si sta ristrutturando e il martello di una società competente, che vuole maggiore governabilità e partecipazione, maggiori capacità e trasparenza decisionale, maggiore concretezza nella regolazione democratica del sistema politico-amministrativo. Una bassa considerazione delle èlite, un basso ricambio generazionale è la matrice di molte delle degenerazioni di questi aggregati politico-pubblici (soluzione avversa ai meritevoli e favorevole ai fedeli magari di basso calibro, mercato politico clientelare, comportamenti autoreferenziali di ceto). Queste degenerazioni della qualità delle istituzioni alimentano sia il vuoto odierno tra governanti e governati (che svalorizza anche le opposizioni tra destra e sinistra nella nostra democrazia) sia l’emozione della credibilità dell’autorità. La resistenza al ricambio da parte degli inamovibili crea un ceto politico che appare autoreferenziarsi, senza badare né al merito né a quello che si è guadagnato sul campo. Non ci sono regole di reclutamento, ma discrezionalità da parte di chi è deputato a cooptare; manca quindi anche la fiducia e la stima nel prossimo. Alla luce di ciò una prima direzione per il miglioramento delle nostre classi dirigenti politico-amministrative è senza dubbio un’agevolazione del ricambio che può favorire una ripresa della circolazione, con l’obiettivo di legittimare sia merito educativo che nuova classe dirigente.
Pierluigi Diso
La fotogallery dell’incontro in piazza Pascoli a Matera (foto www.SassiLive.it)