Pierluigi Diso in una nota si domanda se la politica ha ancora una questione morale da porre al suo elettorato. Di seguito la nota integrale.
Da qualche settimana ormai nei week end nella piazza centrale di Matera troneggia uno o più gazebo di vari movimenti o forze politiche che cercano di diffondere al popolo materano il loro “verbo” e spingono gli amici “liberi e forti” ad interrogarsi, oggi più che mai, se la politica ha ancora una questione morale da porre al suo elettorato. Per molti sembra che fare politica equivalga a fare intrallazzi, compromessi, usare ed abusare del potere e della cosa pubblica per interessi privati o ambizioni personali. È una opinione ormai diffusa tra la gente che vota, purtroppo. Ciò deriva da un’ingiustificata generalizzazione di fatti reali, ma per fortuna tali da non costituire una consuetudine. I giudizi negativi devono riguardare le singole azioni del politico di turno, le singole attività, fatti concreti deplorevoli, non già la funzione della politica, la cui alta finalità non deve cogliersi dalle degenerazioni, ma dalla sua natura e dal suo significato più profondo. Ecco che fare politica diventa l’esigenza necessaria della socialità e della umana convivenza, finalizzato a procurare il bene comune e la completa promozione della persona umana.La politica non è pura ideologia, né pura tecnica; ma è attività umana che deve scaturire da una coscienza ispirata almeno al fondamentale valore del bene comune. Avendo come finalità questo bene, compete al politico studiarlo, definirlo, puntualizzarlo, in un continuo rapporto con il popolo elettore, possibilmente indirizzando le scelte politiche non al particolare, al contingente, al costume del momento, ma alle esigenze che scaturiscono come condizioni essenziali per il conseguimento di tale bene.Allora il fare politica, a tutti i livelli, in ogni settore della “pòlis”, vuol dire non solo osservare, studiare e impegnarsi nella cura dei mali sociali, ma soprattutto cogliere le varie esigenze della società, calcolare le disponibilità, predisporre i servizi necessari, controllandone il corretto svolgimento. Il buon politico non deve agire trascinato dalla piazza tumultuosa, incostante e contraddittoria, dando così l’impressione del vuoto, dell’incertezza politica e della debolezza; ma deve precedere la comunità aprendo e indicando sentieri anche nuovi nelle nuove situazioni, ma sempre chiari e con convincenti motivazioni. In questo compito di indirizzo si manifesta la funzione educativa della buona politica. Ma per educare occorre prima educarsi. Mancando questa base è normale che il popolo si considera depositario di tutte le virtù politiche e sociali e vuole essere difeso dai raggiri machiavellici dei ceti dominanti, avanzando proposte politiche atte a gratificare i desideri di rivalsa del popolo minuto, contrapponendolo alle élite politiche che spesso hanno fatto passare un diritto del cittadino per un favore, trincerandosi dietro un “familismo amorale”. Da qui la diffidenza dei nuovi populisti verso tecnici ed esperti, giudicati asserviti alle élite, ai “poteri forti” e la loro voglia matta di mettere le mani in pasta, esprimendo una democrazia diretta e popolare, senza intermediazioni e che va alla ricerca del suo demagogo del terzo millennio e senza candidati giolittiani.In tutto questo il male di tutti i mali è la sensazione dell’assenza di una figura politica di spessore, carismatica, che dia fiducia in un momento politico in cui tanti sono i “galli” a cantare. Alla gente chi ci pensa più? E la gente cerca il suo leader, che sappia gestire non solo il presente ma anche immaginare e costruire il dopo. E’ oggi venuta meno quella spinta esterna che ha caratterizzato intere generazioni del passato fatte di ideali, di passioni, di visione strategica. Ecco lo svuotamento di ideali dei partiti e dei movimenti protagonisti comunque in crisi nel confronto politico contemporaneo, insieme al disimpegno del ceto medio e della borghesia nella politica in generale e nell’amministrazione della cosa pubblica. Occorre ricercare una nuova leadership, moderna, al passo con i tempi; che possieda quella continuità di conoscenza frutto di anni di lavoro e che sappia gestire realmente il cambiamento e sia responsabile e consapevole di quanto il processo della costruzione del dopo debba e possa dipendere dalla conoscenza, dalla gestione del presente, del processo verso il futuro. La trasformazione dei partiti, il rapporto tra populismo e antipolitica, la personalizzazione della politica e della leadership sono gli input da cui partire e gli “uomini liberi e forti” per fortuna continuano ad alimentare il dibattito per il bene della comunità.