In occasione della visita odierna a Potenza del premier Giuseppe Conte per la presentazione del contratto istituzionale di sviluppo per la Basilicata i rappresentanti regionali di Cgil, Cisl e Uil Basilicata, Angelo Summa, Enrico Gambardella e Carmine Vaccaro, hanno inviato alla nostra redazione il testo integrale della lettera aperta le riflessioni sul tema.
Gentile Signor Presidente,
in occasione della Sua visita alla città di Potenza avremmo voluto rappresentarLe, al pari dei Sindaci e delle imprese, una visione della Basilicata basata sull’impegno delle persone nel mondo del lavoro e sulle condizioni degli anziani, dei giovani, delle donne e dei disoccupati che vivono in una regione dalle grandi risorse ma povera di prospettive, investimenti e infrastrutture.
Ci è stato comunicato che, nell’ambito della Sua visita, non ha previsto l’incontro con le Organizzazioni Sindacali che in Basilicata rappresentano oltre 150.000 lavoratori. Ce ne rammarichiamo, non condividiamo la Sua scelta ma, nel profondo rispetto del Ruolo e della Istituzione da Lei rappresentata, Le consegniamo, per tramite del Signor Prefetto di Potenza, questo nostre riflessioni sicuri della Sua considerazione.
Premessa
A partire dall’analisi delle più recenti dinamiche dell’economia meridionale e prendendo spunto dalle 12 proposte contenute nel documento per il Sud, definite unitariamente da Cgil, Cisl e Uil, c’è una specificità lucana che intendiamo porre all’attenzione del governo quale base di un auspicabile quanto necessario confronto di merito, oltre che di metodo, per il rilancio della discussione sul futuro del Mezzogiorno e sulle politiche necessarie a contenere – e in prospettiva a superare – il divario storico che separa le due aree del paese. Aver abolito il tema del Sud – come si è fatto e non da oggi – dal dibattito pubblico nazionale ha significato il suo accantonamento come tema politico nella sostanza. Cgil, Cisl e Uil intendono invertire tale tendenza ricollocando il Sud al centro dell’agenda politica dell’esecutivo e del parlamento.
In sintesi e per punti principali.
Infrastrutture
È il tema centrale dell’incontro di oggi con i 131 sindaci lucani. Come è noto, nei giorni scorsi il governo ha comunicato di aver stanziato 6,6 milioni di euro a favore degli enti locali della Basilicata. Si tratta di 30 Comuni in provincia di Matera (1,67 meuro) e 99 Comuni in provincia di Potenza (4,94 meuro). I Comuni con meno di 20 mila abitanti potranno utilizzare i fondi per la messa in sicurezza di scuole, strade, edifici pubblici e patrimonio comunale in genere.
Questo intervento, pur importante per dare una boccata di ossigeno alla micro-economia locale, non è sufficiente e risulta ben poco ambizioso alla luce della moltitudine di opere pubbliche bloccate o che si trascinano lentamente verso un approdo che appare sempre sfuggente, in particolare nel settore delle infrastrutture di trasporto in cui la Basilicata conta un non invidiabile primato di arretratezza. Per Cgil, Cisl e Uil si tratta di assolute priorità per l’importanza che esse rivestono nella mobilità di merci e persone sul territorio regionale. Ci riferiamo in particolare: alla SS658 Potenza-Melfi che continua a registrare troppi incidenti e purtroppo anche mortali di lavoratori che la percorrono ogni giorno per raggiungere lo stabilimento Fca e l’area industriale di Melfi (e non solo); all’adeguamento e alla messa in sicurezza della SS407 Basentana; all’ammodernamento strutturale e tecnologico delle linee ferroviarie Metaponto-Potenza-Salerno (ivi compresa la diramazione FS per Matera) e Potenza-Foggia. L’interesse del sindacato è legato anche alle migliaia di posti di lavoro che si possono realizzare nei cantieri di queste e altre opere pubbliche, tra cui non possiamo non citare la regina delle incompiute: lo schema idrico Basento-Bradano, la cui tormentata vicenda è esemplificativa delle problematiche strutturali che frenano le opere pubbliche nel nostro paese. Ci sembra, in proposito, ragionevole l’idea lanciata dai sindacati del settore edile di una governance partecipata dei cantieri, sul modello di quanto fatto in un apposito protocollo con l’Anas, con l’obiettivo di prevenire e ridurre i contenziosi, vero cancro delle opere pubbliche.
Matera 2019
È indubbio che il successo di Matera 2019 è tanto maggiore quanto più gli eventi proposti potenziano l’infrastruttura materiale e anche immateriale della città, producendo non solo reddito aggiuntivo, nuova occupazione, sviluppo locale, ma anche consolidando e reinventando il capitale sociale e umano. Si tratta ora di raccogliere e consolidare gli elementi di “invenzione” di un modello di industria culturale e di progetto di rigenerazione urbana nel lavoro quotidiano delle forze in campo per Matera 2019. In sintesi, auspichiamo un progetto che si basi – come assi di intervento centrati – su investimenti e occupazione; struttura sociale e culturale; governance (città/cittadinanza). Tra gli obiettivi spiccano: la costituzione di un distretto culturale; la definizione di un contratto di sito e di area; la risoluzione delle questioni logistico-infrastrutturali; la creazione mirata su Matera di alcuni presidi permanenti di innovazione (design, urbanistica e architettura dei centri urbani minori, servizi innovativi, marchio “made in Matera”) per dare continuità all’esperienza di capitale europea della cultura.
C’è poi il problema – non certamente secondario – di tenere un monitoraggio sempre aggiornato della rete attuativa delle opere e degli interventi in corso di realizzazione. La valutazione dei processi programmati, infatti, ha rilevanza sociale e sindacale oltre che tecnica. Per il complesso di interventi che stanno interessando la città di Matera, per un valore stimato di circa 60 milioni di euro, stimiamo un potenziale effetto occupazionale di almeno di un migliaio di nuovi posti di lavoro. Il nostro auspicio è dunque di arrivare a un’intesa e a un crono-programma condiviso e credibile su questi e altri punti qualificanti per rafforzare Matera 2019. Il processo trasformativo culturale, urbano, economico e sociale che sta investendo Matera può, anzi deve contagiare l’intero territorio regionale.
Matera 2019 non è il punto di arrivo ma la stazione di partenza di un percorso che deve portarci verso un nuovo patto di sviluppo diffuso e generativo che coinvolga l’intero territorio regionale, a partire dalle aree di prossimità che gravitano intorno alla città, come la fascia jonica con le sue infrastrutture di ospitalità e la collina materana. Si tratta di favorire un contagio delle buone pratiche sperimentate a Matera per fare della Città dei Sassi una capitale cosmopolita aperta sul futuro ma anche una finestra aperta sullo sviluppo dell’entroterra lucano. Un obiettivo che può essere raggiunto con il rafforzamento della cooperazione istituzionale e il suo allargamento alle parti sociali.
Zona economica speciale
Grande interesse e speranze sono riposte nel quadro nazionale e internazionale in movimento: i progetti cinesi che riguardano i porti italiani; Matera stessa che dimostra come l’attrazione di flussi turistici non debba essere legata esclusivamente alle località sul mare ma possa giovarsi di un racconto più sofisticato e moderno, ancora tuttavia da organizzare. In ogni caso è necessario sfidarsi e sfidare istituzioni e mondo della cultura e dell’università per cominciare a praticare e sperimentare modelli di Zes sia verso il governo che verso la Ue, finalizzando le misure dei POR. Si tratta di una sperimentazione da mettere in atto anche con un maggior coinvolgimento delle grandi imprese private e pubbliche presenti nel Sud, a cominciare da Fiat Chrysler, passando per Leonardo, General Electric, Sevel, Barilla, Ferrero, Nestlé, etc.
Dunque, è decisivo che le Regioni meridionali sappiano lavorare insieme, individuando strategicamente i luoghi dello sviluppo da gestire con connessioni trasversali di rilievo mediterraneo. La Basilicata, per la sua parte, dovrà ripensarsi con la sicurezza ambientale e il suo patrimonio forestale montano, con le sue piattaforme manifatturiere, con l’automotive, con uno sfruttamento sostenibile delle sue risorse petrolifere, con la vocazione delle aree interne, la logistica agroindustriale (in parte finanziata) che potrebbe attingere alle risorse aggiuntive previste nel decreto 91/2014 fino a 50 milioni di euro.
Il rischio da scongiurare è che, dentro un più complessivo riassetto del sistema portuale meridionale, le Zes avvantaggi le regioni dotate di grandi infrastrutture marittime (tra queste non c’è la Basilicata) rivelandosi così un’opportunità di sviluppo effimera per la nostra regione per via del perdurante deficit infrastrutturale e l’assenza di opere di raccordo in grado di convogliare il traffico merci verso il retroporto di Ferrandina.
Altre vie, come si osserva già oggi, possono portare a rivendicazioni e chiusure territoriali. La sfida è affermare un’idea nuova e aperta di regione. Un’idea virale – si direbbe oggi – legata alla seconda grande trasformazione: l’innovazione. La Basilicata non può essere rappresentata ancora come cerniera logistica, etc. perché essa è già altro: è già un luogo di relazioni produttive e vitali integrate nella gran parte delle economie delle regioni contermini.
La prima traccia è quella che fa perno sul porto di Taranto e sul retroporto territoriale che risale fino a Matera-Ferrandina e alle Murge pugliesi, ma che può avanzare fino alla penisola salentina. È la Zes di maggiore evidenza, più approfondita e studiata che si collega bene al potenziale di sviluppo rappresentato da Matera 2019.
L’altra traccia poggia su di una connettività di sviluppo che svirgola lungo le coste tirreniche. È la linea dei porti e retroporti che si inarca da Gioia Tauro, al comprensorio del golfo di Policastro, al porto di Salerno e di Napoli-Bagnoli. In definitiva nello spazio delle Zes il modello di “regione aperta” può prendere corpo con nettezza e organicità. La dorsale appenninica, le aree interne, il comprensorio del Pollino, il Metapontino, Matera e il suo hinterland, l’area del Melfese verso l’asse adriatico, che insieme, in “forma di cerchio”, sono inscritte nei due grandi alvei ionico e tirrenico.
Petrolio
In attesa delle decisioni definitive del governo in materia di moratoria e quindi di nuove ricerche petrolifere in mare e in terra ferma, si deve definire una strategia per quanto riguarda le attuali produzioni-estrazioni di idrocarburi che interessano sul nostro territorio l’Eni e la Total (a breve in produzione). Per l’Eni è scaduto l’accordo di programma del 1998 che stabilisce percentuali di royalties e interventi. Il sindacato chiede un tavolo con ministeri interessati, Eni e Confindustria per un aggiornamento e un adeguamento delle royalties, nonché una loro migliore finalizzazione.
Solo l’Eni in cambio dell’estrazione del petrolio ha versato 1,6 miliardi di euro in poco meno di 20 anni. Soldi che dovrebbero essere spesi per rilanciare l’economia lucana. Invece, ben 170 milioni sono stati usati per tappare i buchi di sanità e istruzione universitaria. In tutti questi anni è mancata una visione a livello nazionale di cosa si debba fare con tutti questi soldi.
La nostra proposta di istituire un Fondo per accompagnare la transizione energetica, secondo le linee tracciate dall’Unione Europea, questione che va assunta dal Governo. Un fondo di transizione strutturale che permetta di accompagnare la riconversione e il mantenimento dei posti di lavoro, con la funzione di ammortizzatore anticiclico, che accumulando le risorse da royalties, anziché utilizzarle per alimentare spesa proco produttiva (o persino veri e propri fallimenti, come il Po Val d’Agri), assuma la funzione di un fondo di investimento a beneficio delle future generazioni, e di riserva per ammorbidire fasi cicliche negative dell’economia regionale, con programmi di investimento pubblico.
Un fondo finanziato con risorse dell’Unione Europea e del governo nazionale, con i fondi delle royalties regionali e comunali per investimenti pluriennali e per un definitivo superamento dell’economia viziata della sussistenza che molto spesso il regime di royalties ha garantito. Una grande sfida che punta alla sostenibilità e alla capacità di saper cogliere le trasformazioni in atto, tracciandone già da adesso la traiettoria.
Nei prossimi 10-20 anni l’indotto del barile petrolifero genererà 10-12 miliardi di euro, comprensivi dell’introito dell’Ires ottenuto con la negoziazione sullo Sblocca Italia, che possono a loro volta alimentare un grande piano infrastrutturale in grado di cacciare dall’isolamento la Basilicata.
L’esperienza ventennale con le estrazioni petrolifere va letta anche sotto il profilo della governance e delle relazioni tra le compagnie petrolifere, le parti sociali e le comunità locali. Le recenti polemiche legate alla messa in esercizio del centro olio di Tempa Rossa e il ben noto caso del centro olio di Viggiano impongono una seria riflessione sulla necessità di un rapporto tra compagnie petrolifere e comunità locali fondato sulla trasparenza, sulla partecipazione e sulla responsabilità. In questo senso va sviluppata e articolata l’idea di istituire organismi partecipativi permanenti in cui possano trovare ascolto le istanze di tutti gli stakeholder coinvolti nelle aree interessate dalle estrazioni petrolifere e che funga anche da luogo di co-progettazione economica e sociale.
In più occasioni abbiamo ribadito l’urgenza di un modello di governance più democratico in cui le molteplici espressioni delle comunità e degli interessi legittimi possano trovare adeguata rappresentanza e soddisfazione dentro un quadro di regole certe. L’attuale modello, imperniato sul negoziato pressoché esclusivo tra compagnie petrolifere e Regione, tutt’al più allargato ai sindaci dei comprensori immediatamente interessati, ha dimostrato in oltre vent’anni di sperimentazione in Val d’Agri carenze evidenti, come dimostra la crescente e giustificata opposizione delle popolazioni locali alle estrazioni petrolifere dinanzi alla condotta omissiva e opaca delle compagnie.